AFRICA/LIBERIA - Cambio al vertice, ecco le emergenze che attendono il nuovo Presidente

sabato, 25 novembre 2023 politica   chiese locali  

Monrovia (Agenzia Fides) - La Repubblica della Liberia ha da qualche giorno un nuovo Presidente. È Joseph Nyuma Boakai, 78 anni, ex Vicepresidente che, dopo un secondo ricorso alle urne - necessario dato che il primo non aveva decretato la maggioranza delle preferenze nel testa a testa con il Presidente uscente George Weah -, ha superato il contendente con il 50,64% dei voti (49,36% Weah).
Il risultato giunge al termine di un lunghissimo processo elettorale passato per un primo turno svoltosi il 10 ottobre, ben 38 giorni prima del secondo, al quale Weah e Boakai arrivavano con un distacco risibile: rispettivamente 43,8% e 43,4%.
L'elezione, sei anni fa, del primo calciatore africano a vincere il Pallone d'oro, volto molto noto tra i liberiani ma un assoluto neofita della politica, aveva suscitato grandi speranze di cambiamento in un Paese che sta ancora uscendo da un durissimo periodo segnato da due guerre civili consecutive e dell'epidemia di Ebola del 2014-2016.

Il popolo liberiano matematicamente spaccato a metà rispetto al nuovo cambiamento al vertice. Padre Lorenzo Snider, missionario SMA, parroco di St John Vianney a Foya, offre in una conversazione con l’Agenzia Fides spunti di giudizio sulle incertezze che pesano sul percorso di riconciliazione nazionale in un Paese che ha vissuto guerre civili durissime, ha conosciuto il fenomeno dei bambini soldato e ha visto precipitare la propria economia
I cattolici sono il 7,5% circa della popolazione.

“Questo periodo” riferisce padre Snider “è stato caratterizzato da un sentimento di grande apprensione da parte di tutti. La memoria della guerra civile è ancora viva nelle menti, nei cuori e nei corpi di molti. Il rischio di ricadere in un conflitto è stato percepito come attualissimo. La tensione continuava a crescere con il passare dei giorni, con le dichiarazioni e gli interventi nelle radio locali, le voci diffuse riguardanti le creazioni di gruppi paramilitari. Il pugno di voti che separavano il presidente Weah dal suo oppositore dopo il primo turno faceva presagire la possibilità di un risultato contestato. In generale comunque ha vinto il buonsenso e il momento post-elettorale non ha visto una escalation di violenza. Solo alcuni episodi, ad esempio un distretto qui vicino, a Vahun, dove i simpatizzanti dei due gruppi politici si sono scontrati ed alcune persone sono rimaste ferite”.
A spoglio quasi ultimato, il Presidente uscente George Weah ha detto “IL mio partito ha perso ma la Liberia ha vinto” e rilasciato dichiarazioni di distensione a cui hanno fatto eco le parole di Boakai che ha prima ringraziato l’ormai ex presidente a poi ha aggiunto che l’ammissione della sconfitta ha evitato il ritorno alle armi. “Le dichiarazioni del Presidente Weah – riprende Padre Lorenzo -sono state più che provvidenziali e tempestive. Sono state la vera chiave di volta della pace. Con un prima e un dopo. Prima paura e tensione, dopo gli scenari sono cambiati in modo radicale, vari leader del governo e dell’opposizione si sono allineati, il linguaggio è cambiato e nel Paese si respira aria di pace. Ora si apre il vasto campo della riconciliazione su cui occorrerà lavorare, soprattutto a livello locale e comunitario. Il risultato della consultazione elettorale, come detto, che ha visto praticamente i due fronti equivalersi e Joseph Boakai prevalere con un margine sottilissimo, mostrano la profonda divisione del Paese”.
Terminati i festeggiamenti, il nuovo Presidente dovrà affrontare una serie di sfide particolarmente complicate in uno dei Paesi tuttora più poveri dell’Africa occidentale, sebbene alcuni parametri siano in crescita. “Nel programma elettorale di Boakai riferisce il missionario - ci sono ambiti prioritari che rappresentano probabilmente le sfide più urgenti del Paese: stabilità macroeconomica e infrastrutture, la riforma del sistema sanitario, l’educazione, la lotta alla corruzione, lo sviluppo dell’agricoltura, stato di diritto e buon-governo, la lotta contro la disparità di genere e la protezione dei minori. Ciascuna di questi punti meriterebbe alcune parole di approfondimento. La rete stradale del Paese, per esempio, è una delle peggiori dell’Africa occidentale ed intere regioni rimangono isolate durante la stagione delle piogge; il sistema sanitario va potenziato e riposto al servizio della popolazione. Durante la prima fase del Covid l’intero Paese disponeva di un solo ventilatore polmonare. Così il sistema scolastico con un terzo dei ragazzi costretti ad abbandonare la scuola, la corruzione endemica in quasi tutti i settori dell’amministrazione etc. A mio modo di vedere la sfida a lungo termine è quella di accompagnare la Liberia, che ha ancora amplissime zone di foresta primaria, su un cammino di sviluppo integrale, che non lasci indietro nessuna fascia della popolazione e protegga tanto l’ambiente soprattutto dalla voracità straniera”.
Il terrore della violenza, della guerra, il ricordo dei bambini soldato, sono ancora troppo recenti per essere dimenticati. Come le stesse settimane elettorali hanno dimostrato, la popolazione, ha vissuto nella paura che si potesse tornare alle armi e alcuni episodi hanno fatto pensare che l’evenienza stesse per accadere e che il faticosissimo processo di riconciliazione nazionale, potesse crollare. “In tutto il Paese” racconta padre Lorenzo “c’era paura. Una paura profonda della possibilità di ricadere nella guerra civile. Alcuni episodi di violenza, seppur limitati, durante la campagna elettorale e in questi giorni sono stati gestiti con molta prontezza dalle forze dell’ordine, ma avrebbero potuto degenerare in scontri di massa. Le voci di gruppi paramilitari organizzati erano molto diffuse e i casi dei container di armi trovati al porto di Monrovia qualche mese fa rendevano credibili queste tesi. Per fortuna invece ragioniamo su una realtà che non ha la controprova reale. Nel 2005 è stata creata la commissione per la verità e la riconciliazione. Ha lavorato fino al 2011 producendo un rapporto dettagliato dei fatti e delle responsabilità, con proposte di vie di azione da seguire. Secondo molti osservatori questo rapporto è stato ampliamente ignorato ed ha avuto una scarsa ricaduta pratica. La coscienza della possibilità e della crudeltà della guerra è decisamente viva in tutti coloro che hanno più di 30 anni. Qui a Foya a causa degli scontri durante la campagna elettorale, che hanno lasciato sul terreno due persone, abbiamo assistito a una fuga di massa della popolazione. Anche se la capacità di resilienza della gente è straordinaria, tante sofferenze e drammi sono rimasti ancora inascoltati e questo genera frustrazione e ferite interiori che continuano a sanguinare”.

Durante la campagna elettorale – riferisce il missionario - la Chiesa cattolica “ha sempre mantenuto una posizione neutrale sbilanciandosi chiaramente sempre per la pace, il dialogo, la non violenza e invitando tutti i fedeli a sostenere il processo elettorale nella preghiera”.
Comunità minoritaria, in un Paese a maggioranza protestante e pentecostale, quella cattolica liberiana ha una storia di radicamento nella società e vanta figure che in passato sono state di grande riferimento per l’intera popolazione, come quella dell’Arcivescovo di Monrovia Michael Francis (1936/2013). “E’ una comunità che soffre e spera con e come tutto il Paese. Il processo sinodale della Chiesa universale” auspica padre Lorenzo “potrà dare nuovo vigore alla ‘comunione missionaria’ della Chiesa - famiglia di Dio in Liberia”. (LA) (Agenzia Fides 25/11/2023)






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