Fides News - Italianhttps://fides.org/Le notizie dell'Agenzia FidesitI contenuti del sito sono pubblicati con Licenza Creative Commons.ASIA/FILIPPINE - Il tifone Gaemi flagella il sudest asiatico: la Chiesa di Manila corre in aiuto degli sfollatihttps://fides.org/it/news/75245-ASIA_FILIPPINE_Il_tifone_Gaemi_flagella_il_sudest_asiatico_la_Chiesa_di_Manila_corre_in_aiuto_degli_sfollatihttps://fides.org/it/news/75245-ASIA_FILIPPINE_Il_tifone_Gaemi_flagella_il_sudest_asiatico_la_Chiesa_di_Manila_corre_in_aiuto_degli_sfollatiManila - Il tifone Gaemi continua a flagellare il sudest asiatico. La tempesta corre verso Taiwan, lasciando dietro di sé morte e distruzione nelle Filippine. Qui la furia della natura si è abbattuta soprattutto sul nord del Paese e la capitale, Manila. La città è invasa dal fango, le strade sono allagate e impraticabili. Al momento il bilancio dei morti è di 13 persone. <br /><br />Stando ai dati ufficiali, Gaemi ha fatto precipitare al suolo in tutta la regione 300 millimetri di pioggia. In città, durante il monsone - che va avanti da due settimane -, l'acqua ha raggiunto picchi altissimi, arrivando ad invadere i primi piani delle abitazioni. Molti cittadini sono saliti sui tetti per sfuggire all'acqua. E mentre le autorità locali dichiarano lo "stato di emergenza per calamità naturale" per facilitare l'evacuazione di migliaia di persone, fa rabbrividire il numero degli sfollati: 600mila. <br /><br />La città è al collasso: scuole chiuse, infrastrutture fuori uso. Cancellati anche i voli internazionali. In ginocchio anche le aree attorno alla Capitale, dove le piogge hanno provocato diverse frane, una delle quali ha provocato la morte di una donna incinta e di tre bambini. Le autorità locali riferiscono anche che si sono verificati diversi smottamenti che stanno bloccando tre strade principali nella provincia montuosa di Benguet.<br /><br />Alla catastrofe umanitaria si aggiunge poi quella ambientale: nella baia di Manila si lavora senza sosta per cercare di contenere i danni dell'affondamento di una petroliera che si è capovolta e affondata. La nave trasportava 1,4 milioni di litri di combustibile. Al momento, dei 17 membri a bordo, uno risulta disperso. Le operazioni di salvataggio sono ostacolate dai forti venti forti che provocano onde alte. Il maltempo rallenta anche le operazioni di contenimento ambientale: il liquido contenuto nella petroliera è fuoriuscito, tingendo il mare di nero. <br /><br />Davanti a questo scenario desolante, la Chiesa locale non resta ferma a guardare ma si rimbocca le maniche e tende una mano alla comunità per aiutare a rialzarsi. In queste ore, infatti, l'arcivescovo di Manila, il cardinal José F. Advincula, tramite una lettera inviata a tutte le realtà dell'arcidiocesi, annuncia l'inizio di una nuova colletta per aiutare le vittime del tifone.<br /><br />Il porporato, nella missiva, incoraggia i fedeli a partecipare alle funzioni religiose del 27 e 28 luglio durante le quali le offerte raccolte saranno devolute in sostegno di chi ha perso tutto a causa della violenza della natura. <br /><br />Non solo: il cardinale, rivolgendosi a sacerdoti, religiosi e suore, chiede di "continuare a essere compassionevoli verso le vittime del tifone, i poveri, gli affamati e tutte le persone bisognose".<br /><br />Nella missiva si precisa che "le donazioni devono essere inviate all'ufficio contabilità dell'arcidiocesi di Manila entro e non oltre il 7 agosto 2024". A conclusione della lettera, il cardinal Advincula chiosa con una breve preghiera da recitare in questi giorni in sostegno degli sfollati e in suffragio delle vittime. <br />Fri, 26 Jul 2024 13:18:51 +0200ASIA/INDONESIA - L'abbraccio dell'Islam indonesiano a Papa Francesco: pace e fraternità fra popoli, nazioni , religionihttps://fides.org/it/news/75244-ASIA_INDONESIA_L_abbraccio_dell_Islam_indonesiano_a_Papa_Francesco_pace_e_fraternita_fra_popoli_nazioni_religionihttps://fides.org/it/news/75244-ASIA_INDONESIA_L_abbraccio_dell_Islam_indonesiano_a_Papa_Francesco_pace_e_fraternita_fra_popoli_nazioni_religionidi Paolo Affatato<br /><br />Jakarta - Le grandi organizzazioni dell'islam indonesiano accolgono con grande favore e profonda gratitudine la visita di Papa Francesco in Indonesia, dal 3 al 9 settembre prossimo, e ne apprezzano l'importante significato per promuovere tolleranza, pace e della fratellanza tra comunità religiose, tra i popoli, tra le nazioni. L'impatto della sua presenza - assicurano concordi i capi islamici indonesiani, di diverse realtà e scuole di pensiero - sarà positivo e profondo sulla intera nazione indonesiana, rafforzando la l’armonia tra le comunità religiose del Paese, riaffermando la centralità dello spirito di fraternità e di umanità che l'Islam in Indonesia vive e promuove costantemente, con l'attenzione speciale ai processi educativi e al contrasto di ogni forma di radicalismo e di estremismo.<br />"Nahdlatul Ulama" e "Muhammadiyah", le storiche e capillari organizzazioni dell' "Islam Nusantara" non sono affatto nuove a promuove e praticare in Indonesia un islam "che cammina con la democrazia, che è vive e promuove la fraternità". Questo loro ruolo sta gradualmente uscendo dal cono d'ombra in cui spesso sono relegate dal mainstream dei mass-media e della cultura in Occidente e ha assunto di recente un ambìto riconoscimento internazionale, grazie al "Premio Zayed per la Fratellanza Umana" 2024, assegnato alle due organizzazioni il 5 febbraio scorso ad Abu Dhabi. Per le due associazioni la visita del Papa è, allora, una feconda opportunità di incontro, di comunione e di collaborazione sui principi universali come la pace e la fratellanza. <br /><br />L’Indonesia è il Paese a maggioranza musulmana più popoloso al mondo, con l’86,7% della popolazione che si identifica come musulmana e più di 231 milioni di aderenti. La popolazione segue l’Islam sunnita tradizionale, ma con un’interpretazione in linea con la “Pancasila”, ovvero il la "Carta dei cinque principi" alla base della Costituzione, principi come la fede in Dio, l’umanità, nell’unità nazionale, la democrazia e la giustizia sociale. Questa visione viene tuttora promossa da associazioni come "Nahdlatul Ulama" e "Muhammadiyah". <br /><br />La più antica è "Muhammadiya" che ha circa 29 milioni di aderenti nell'arcipelago: nata nel 1912, è considerata un movimento riformista. Seguendo gli insegnamenti dell’egiziano Muhammad ‘Abduh, vissuto al Cairo alla fine del XIX secolo, predica una purificazione della fede e mette l’accento sul senso individuale di responsabilità morale, prestando enorme attenzione all’istruzione moderna In Indonesia, in speciae sull’insegnamento superiore, con 14.000 scuole da elementari a università e 7.500 asili. <br />La "Nahdlatul Ulama o NU, è nata invece nel 1926 in reazione al propagarsi del wahhabismo saudita nel mondo islamico internazionale. Alla guida delle antiche scuole religiose indonesiane, le "pesantren", gestite da NU, si segue un Islam tradizionale, basato su un bagaglio di scritti classici di ulema mediorientali e indonesiani. Il movimento abbraccia le tradizioni pre-islamiche e il sufismo di Abu Hamid al-Ghazali e conta oggi circa 50 milioni di affiliati.<br /><br />Le due organizzazioni sono espressioni della società civile e non hanno mai trasformato la loro presenza capillare nell’arcipelago in attività politica o partitica. Entrambe sottolineano il carattere “indonesiano” dell’Islam locale, ricordando gli insegnamenti dei Wali Songo, i “nove santi”, maestri sufi arrivati nell’isola di Giava all’inizio del XV secolo, cui i musulmani del Paese attribuiscono la diffusione dell’Islam nell’arcipelago, attraverso un approccio spirituale e pacifico che, fin dall'inizio, è coesistito con gli altri culti preesistenti come l’animismo, l’Induismo e al buddhismo. Quella che praticano è una idea di Islam tollerante, non violento dai tratti tipicamente locali: parlare di "Islam Nusantara" è divenuto un "marchio di fabbrica" accolto anche a livello statale e utilizzato anche dal governo. <br />L’Islam non ha un ruolo ufficiale nella costituzione indonesiana, ma nella nazione vi è la coscienza diffusa che lo Stato debba occuparsi della religione, elemento fondamentale della vita sociale e culturale, e delle questioni collegate. In quest’ottica, venne creato, fin dal principio dell'indipendenza, un Ministero degli Affari religiosi, con dipartimenti dedicati all’Islam, al cattolicesimo, al protestantesimo, all’induismo, al buddismo e al confucianesimo.<br /><br />Per la visita di Papa Francesco le due organizzazioni saranno "In prima linea". Muhammadiya "accoglierà Papa Francesco con gioia a settembre", rimarca il presidente della Muhammadiyah per le relazioni internazionali e interreligiose, Syafiq A. Mughni, dal suo quartier generale Jakarta. "L'arrivo del Papa è un simbolo universale della costruzione della fratellanza umana, e la sua visita ha un significato sia simbolico che sostanziale in quest'ambito", afferma il leader che ha già incontrato Papa Francesco in Vaticano. L'impatto spirituale della sua presenza per il mondo islamico sarà potente: "Come musulmani abbiamo bisogno della preghiera, abbiamo bisogno dell'apprezzamento di persone al di fuori dell'Islam", nota, inserendo l'incontro con il capo del cattolicesimo mondiale "in un quadro più ampio della vita religiosa della gente" e aggiungendo: "Sarebbe molto efficace se noi musulmani parlassimo in termini positivi riguardo al cattolicesimo e, allo stesso modo, i cattolici trasmettessero qualcosa di positivo sui musulmani". Questo approccio fatto di stima benevolenza reciproca "rappresenta una forza molto potente per costruire una vita insieme" e giovare all'umanità intera, ci tiene a dire, rimarcando l'esigenza della collaborazione "tra paesi, popoli, religioni per affrontare le questioni globali come l'estremismo, la crisi climatica e le differenze tra paesi ricchi e poveri". <br /><br />D'altro canto Ulil Abshar Abdalla, intellettuale e studioso islamico, a capo del Comitato esecutivo di "Nahdlatul Ulama", rileva che "l'arrivo di Papa Francesco è molto atteso ed è da tutti noi considerato un momento storico", ricordando e collegando la presa del Papa a quella di Ahmed Al-Tayeb, Grande Imam di Al-Azhar, in Indonesia , "eventi che a rafforzano lo spirito del dialogo interreligioso nel paese": "La visita di queste due grandi figure avviene nella situazione e nel momento giusto, mentre soffia un forte vento di dialogo interreligioso", nota Ulil. <br /><br />Accanto a loro, altri leader musulmani sono molto attivi nei Forum tra organizzazioni islamiche e in quelli interreligiosi: figlia di un grande leader islamico come Abdurrahman Wahid, noto come "Gus Dur", Yenny Wahid è oggi a capo del " Wahid Institute", istituto islamico impegnato fortemente a livello culturale e sociale con programmi di inclusione, dialogo, socializzazione , la diffusione di un islam che promuove e l'armonia: "Abbiamo sommo rispetto per Papa Francesco, figura ispiratrice nel promuovere la compassione verso le persone deboli ed emarginate. Papa Francesco ha sempre mostrato preoccupazione per coloro che sono poveri ed esclusi. Questo ha ispirato molte persone, me compresa, a fare del bene", ha affermato, intervenendo a un incontro online organizzato dalla Ambasciata indonesiana presso la Santa Sede. Anche il professor Sumanto Al Qurtuby, direttore del "Nusantara Institute on Culture and Religion" e docente di antropologia alla "King Fadh University" apprezza di Papa Francesco l'approccio verso l’ecumenismo, il pluralismo e la pace, notando che la sua opera mira a "unire realtà divise, valorizzare le diversità come espressioni divine, e promuovere sempre e in ogni circostanza la pace", un messaggio che è necessario per l'intera umanità dilaniata dalla conflittualità.<br /><br />L'ambasciatore di Indonesia presso la Santa Sede, Michael Trias Kuncahyono, ha concordato rimarcando che la visita del Papa "è momento storico non solo per i cattolici, ma anche per l'intera nazione indonesiana", e rappresenta "un importante simbolo di tolleranza e fratellanza, principi che l'Indonesia deve continuare promuovere, dando priorità ai valori di umanità, pace e della fraternità". Il Papa ha scelto di venire in Indonesia , ha osservato, "perché la considera un esempio soprattutto riguardo all'insegnamento dell'amore e alla fraternità tra le genti e le religioni. Gliene ne siamo grati".<br />Fri, 26 Jul 2024 12:50:42 +0200AFRICA/ETIOPIA - “Non siamo ancora sicuri di quanti siano i morti, è un incidente disastroso” riferisce a Fides l’Amministratore Apostolico di Soddo in merito alla frana che ha gravemente colpito l’areahttps://fides.org/it/news/75243-AFRICA_ETIOPIA_Non_siamo_ancora_sicuri_di_quanti_siano_i_morti_e_un_incidente_disastroso_riferisce_a_Fides_l_Amministratore_Apostolico_di_Soddo_in_merito_alla_frana_che_ha_gravemente_colpito_l_areahttps://fides.org/it/news/75243-AFRICA_ETIOPIA_Non_siamo_ancora_sicuri_di_quanti_siano_i_morti_e_un_incidente_disastroso_riferisce_a_Fides_l_Amministratore_Apostolico_di_Soddo_in_merito_alla_frana_che_ha_gravemente_colpito_l_areadi Antonella Prenna<br /><br />Addis Abeba – “Un incidente scioccante e disastroso. Molti hanno perso la vita all'improvviso, più di 260 cadaveri sono stati recuperati fino ad oggi come riportano le notizie locali”. Sono parole che ha inviato all’Agenzia Fides il Vicario Apostolico di Hosanna e Amministratore Apostolico di Soddo, Seyoum Fransua, in riferimento alla frana che ha colpito l’area di Gofa, Kencho Shacha Gozdi Kebele, Geze Gofa Woreda, il 22 luglio provocando una grave crisi umanitaria.<br /><br />“Abbiamo subito inviato una squadra di emergenza dall'ufficio del Vicariato di Soddo e si trova ancora nel punto in cui si è verificata la frana. Questa mattina ha raggiunto la zona un’altra squadra composta dall'ufficio del Vicariato di Soddo, dal Direttore esecutivo della Commissione sociale e per lo sviluppo della Conferenza episcopale cattolica dell'Etiopia e dal Catholic Relief Service dell'Etiopia per incontrare i sopravvissuti, il Capo della Commissione per i disastri e la prevenzione del Governo federale dell'Etiopia e i funzionari amministrativi di zona e siamo in attesa di nuove indicazioni – aggiunge il vescovo Fransua. <br /><br />“Inoltre uno dei sacerdoti di Soddo si è recato sul posto insieme ad altri rappresentanti di confessioni religiose diverse e istituzioni religiose. Come mi ha appena riferito, le vittime finora registrate sarebbero 46 nuclei familiari con una media di 6 bambini a nucleo. Il governo federale, gli stati regionali, le amministrazioni cittadine e altre organizzazioni non governative stanno continuando a lavorare insieme per recuperare i cadaveri, seppellirli e cercare di supportare i sopravvissuti per le loro necessità di base. Non siamo ancora sicuri di quanti siano i morti. I sopravvissuti e le persone nella zona circostante hanno disperatamente bisogno di un immediato supporto umanitario. Ho in programma di andare sul posto appena sarà possibile per portare aiuti.”<br /><br />Il presule ha espresso pubblicamente profondo dolore per l'immensa sofferenza causata dal disastro. Ha sottolineato l'urgente necessità di assistenza umanitaria e ha chiesto solidarietà e supporto da parte di partner locali e internazionali per affrontare la crisi in modo efficace. In risposta a questa grave situazione, la Chiesa cattolica etiope, attraverso le sue varie agenzie e in collaborazione con altre organizzazioni umanitarie, sta intensificando i suoi sforzi per fornire soccorso e supporto. La Chiesa sta mobilitando risorse e coordinandosi con le comunità locali per garantire che gli aiuti raggiungano chi ne ha bisogno in modo rapido ed efficace.<br /><br />“L'incidente è talmente grave che siamo tutti concentrati a stare vicini alle persone bisognose in questo momento”, fa eco al vescovo Fransua p. Dejene Hidoto Gamo, O.F.M. Cap. Si tratta di una vera e propria crisi umanitaria” ha aggiunto p. Gamo di recente nominato dal Santo Padre Vicario Apostolico di Soddo .<br /><br /> “Siamo profondamente addolorati per la recente frana che ha devastato la zona di Gofa, causando immense perdite e sofferenze – si legge nel messaggio inviato all’Agenzia Fides dai leader della Chiesa cattolica etiope alle vittime e alla comunità cattolica. Come leader e membri della Chiesa cattolica, porgiamo le nostre più sentite condoglianze e promettiamo il nostro fermo sostegno in questo momento difficile. I nostri cuori sono addolorati per coloro che hanno perso i propri cari, le case e i mezzi di sostentamento in questa calamità. In risposta, la Chiesa cattolica, attraverso Catholic Relief Services e la Ethiopian Catholic Church-Social and Development Commission , si è mobilitata rapidamente per fornire assistenza e soccorso immediati. Siamo al vostro fianco, offrendovi sia aiuti materiali che consolazione. Ricordate, non siete soli; il nostro pensiero, le nostre preghiere e le nostre azioni sono con voi.”<br /><br />In una lettera datata 22 luglio 2024, il cardinale Berhaneyesus Demerew Souraphiel, Arcivescovo metropolita di Addis Abeba, Presidente della Chiesa cattolica etiope, ha sottolineato la grave natura di questa catastrofe e ha espresso il suo profondo dolore assicurando solidarietà e continuo supporto della Chiesa alle comunità colpite.<br /><br />Di seguito un aggiornamento del ECC-SDCO/S Emergency Response Team sulla situazione attuale, sulla risposta e sul coinvolgimento della comunità cattolica e della Chiesa nel quale i Vescovi si dicono grati per qualsiasi tipo di supporto si possa dare in questa grave emergenza. <br /><br />Secondo i dati forniti dall’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari oltre alla perdita di vite umane, il disastro ha profondamente colpito oltre 50 mila persone. La cifra include sfollati, feriti e individui che hanno perso le loro case e i loro mezzi di sostentamento. Nello specifico, ci sono 5.776 famiglie in due kebeles che hanno urgente bisogno di riparo. Inoltre, un totale di 596 famiglie sono state evacuate a causa della frana. Tra queste famiglie evacuate, ci sono 1.367 bambini, che sono particolarmente vulnerabili e hanno bisogno di supporto e cure immediati.<br />La situazione sta peggiorando rapidamente – prosegue l’OCHA - con tutti i 28 kebeles all'interno della woreda identificati come a rischio. Tra questi, 6 kebeles sono stati classificati come altamente vulnerabili a causa della loro posizione geografica e dell'intensità dell'impatto. Queste aree stanno subendo gli effetti più gravi, tra cui danni significativi alle infrastrutture e alle case. Inoltre le piogge continue aumentano la probabilità di ulteriori frane e, questa minaccia richiede ulteriori evacuazioni. Le condizioni meteorologiche sono imprevedibili e la situazione potrebbe peggiorare ulteriormente se la pioggia persiste.<br />Nonostante le difficili condizioni sono in pine attività azioni di risposta. La Croce Rossa ha fornito tende per 100 famiglie, offrendo un riparo temporaneo a coloro che hanno perso la casa. I rappresentanti del governo federale sono attivamente impegnati nell'area colpita, lavorando insieme ai funzionari locali e alle organizzazioni umanitarie per valutare le esigenze e coordinare ulteriore assistenza.<br /><br />La presenza di lunga data della Chiesa cattolica e le sue infrastrutture nella regione consentono un coordinamento efficiente delle risorse e della distribuzione degli aiuti, assicurando che l'assistenza raggiunga tempestivamente i più bisognosi. In merito alle urgenti esigenze sanitarie della popolazione colpita, tra cui la prevenzione delle malattie e l'accesso ad acqua pulita e strutture igienico-sanitarie, la Chiesa ha istituito suddivisioni mirate all'interno dei Centri di coordinamento delle emergenze . Inoltre, in risposta al profondo impatto psicologico sui sopravvissuti, sono stati implementati programmi di supporto psicosociale integrati. Queste iniziative, supportate dalla Chiesa, mirano a fornire servizi di consulenza e salute mentale per aiutare le vittime a gestire efficacemente traumi e stress. Le attività salvavita come servizi medici di emergenza, operazioni di ricerca e soccorso sono considerate prioritarie. La collaborazione tra CRS, ECC-SDCO e i partner internazionali garantiscono un approccio olistico per affrontare sia le esigenze immediate che quelle a lungo termine, promuovendo la resilienza e il recupero nelle comunità colpite. <br /><br />La panoramica presentata dall'OCHA sottolinea la gravità della situazione e l'urgente necessità di una risposta coordinata e completa. La continua collaborazione e il supporto di tutte le parti interessate sono essenziali per affrontare le esigenze immediate e mitigare gli impatti a lungo termine di questo disastro.<br /><br /><p align="center"><iframe width="560" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/1y8a2k9fjHU?si=fxeMBK71lZKvJxAw" title="YouTube video player" frameborder="0" allow="accelerometer; autoplay; clipboard-write; encrypted-media; gyroscope; picture-in-picture; web-share" referrerpolicy="strict-origin-when-cross-origin" allowfullscreen></iframe></p><br /><br /><br />Fri, 26 Jul 2024 10:25:12 +0200ASIA - L’antica Chiesa d’Oriente in Cina. Una prospettiva missionaria  https://fides.org/it/news/75234-ASIA_L_antica_Chiesa_d_Oriente_in_Cina_Una_prospettiva_missionariahttps://fides.org/it/news/75234-ASIA_L_antica_Chiesa_d_Oriente_in_Cina_Una_prospettiva_missionariadi Gianni Valente <br /><br /> svoltosi dal 5 al 7 luglio presso lo Shaanxi Hotel di Xi’an)<br /> <br />Xi’an - Nell’autunno 2022 ho avuto la fortuna di intervistare a Roma per l’Agenzia Fides Mar Awa III Royel, Patriarca della Chiesa assira d’Oriente.<br />Si tratta di una Chiesa che adesso è esigua dal punto di vista numerico, ma ha una lunga storia, e rappresenta un’erede diretta di quella Antica Chiesa d’Oriente che nei primi secoli del cristianesimo fu al centro di una straordinaria avventura missionaria. Una avventura che portò l’annuncio cristiano dal Medio Oriente fino alla Penisola arabica, in India a anche in Cina.<br />Nell’intervista chiesi a Mar Awa quale era secondo lui il segreto di quella grande avventura missionaria. Il giovane Patriarca della Chiesa assira mi rispose che i missionari della antica Chiesa d’Oriente erano un “esercito” singolare, un esercito di tipo spirituale. Ricordò che si trattava soprattutto di monaci e monache, che avvincevano i cuori di altre persone «con dolcezza, e non per dinamiche di conquista». Per loro – aggiunse Mar Awa – «Ogni urgenza, ogni problema concreto della vita diveniva occasione per fare il bene, diventando amici e fratelli con tutti». <br /> <br />Diverse ragioni a mio giudizio rendono ancora attualissima quella straordinaria vicenda storica e ecclesiale. Per gran parte dei riferimenti contenuti nel mio intervento sono debitore verso gli studi ricchi e approfonditi del sinologo italiano Matteo Nicolini-Zani, monaco della Comunità di Bose. Mi riferisco in particolare al suo saggio “Monastic Mission in Dialogue” contenuto nel volume “The Mission of the Universal Church - an Oriental Perspective, curato dal professor Germano Marani sj e pubblicato da Urbaniana University Press.<br /> <br /> <br />Origine e tratti specifici della Chiesa d’Oriente <br /><br />Le comunità della Chiesa d’Oriente che si radicarono per secoli anche in Cina fin dalla più lontana antichità vengono spesso definite “nestoriane”, perché al momento del Concilio di Efeso , che condannò il Patriarca Nestorio di Costantinopoli, vollero rimanere legate alla tradizione teologica e spirituale della Chiesa di Antiochia, da cui proveniva lo stesso Nestorio. Quella tradizione antiochena metteva con forza l’accento sulla incarnazione e sulla umanità di Cristo, sulla sua natura umana, riconoscendo che attraverso l’umanità di Cristo si rivela il mistero della sua divinità.<br /> <br />Fin dall’inizio del III secolo dopo Cristo la Chiesa d’Oriente aveva cominciato a strutturarsi come una Chiesa autonoma, fuori dai confini dell’Impero romano, prendendo le distanze dalla Chiesa dell’Impero. I cristiani della Chiesa d’Oriente avevano un loro Patriarca con sede a Seleucia-Ctesifonte sul fiume Tigri, in Mesopotamia.<br /> <br />Il distanziamento dalle Chiese dell’Impero e soprattutto dalla Chiesa di Costantinopoli/Bisanzio non era dovuto principalmente a motivi teologici o dottrinali, ma a ragioni che potremmo definire politiche, in senso largo.<br />Man mano che la sua presenza si spostava verso Est, in mezzo all’Impero persiano e oltre, la Chiesa d’Oriente, anche per evitare persecuzioni, doveva mostrare che i suoi cristiani non appartenevano a comunità legate all’Impero romano, che rappresentava da secoli il nemico per eccellenza del mondo persiano. <br /> Le comunità della Chiesa d’Oriente aumentano progressivamente la loro presenza verso est attraverso vie e processi diversi. In alcuni casi ciò avviene a causa di deportazioni di popolazioni nei territori conquistati dall’Impero persiano, quando tra i deportati ci sono cristiani e anche vescovi. <br /> <br />In periodi meno agitati, i cristiani si spostano verso est seguendo le vie del commercio. In ogni caso, nel cammino verso Oriente, i cristiani della Chiesa siriaca incontrano nuovi popoli, nuove lingue, nuove culture e nuove comunità religiose.<br />Ad esempio, quando arrivano a fondare nuove Sedi episcopali negli attuali Afghanistan e Uzbekistan, città come Samarcanda e Tashkent diventano il luogo di incontro con i sogdiani, un popolo di mercanti nomadi, che in parte diventano cristiani. Per seguire i mercanti sogdiani, venivano ordinati vescovi che abbracciavano la loro condizione di nomadi.<br /> <br />Quindi quella della Chiesa siro-orientale è una cristianità che si espande seguendo le vicende della storia: migrazioni, deportazioni, spostamenti lungo i flussi del commercio.<br />Nella loro fondamentale opera di teologia missionaria, Stephen Bevans e Roger Schroeder riconoscono che la originalità e la rilevanza di questo “movimento missionario” erano legate a due sue caratteristiche: la connotazione monastica e la apertura a un atteggiamento dialogante verso tutti.<br /><br /> <br />Una missione monastica<br /><br />Le missioni della Chiesa sirio-orientale furono imprese monastiche. Nei nuovi territori, le prime comunità si strutturarono sempre intorno ai monasteri. <br /> <br />I missionari inviati a curare la vita cristiana delle comunità e anche i vescovi metropolitani delle nuove province ecclesiastiche esterne al territorio persiano erano monaci, cresciuti nei monasteri sparsi in Mesopotamia e in Persia. <br /> Testimonianze storiche documentano che il Patriarca Timoteo mandava in Cina come vescovi i monaci del monastero di Bet’Abe, situato a nord est di Mosul . <br />I monaci erano ben formati nello studio della Sacra Scrittura e in teologia, e per la loro fede erano pronti a vivere in situazioni difficili.<br />Una lettera del Patriarca Timoteo riferisce che «Tanti monaci attraversano mari verso l’India e la Cina portando con se solo un bastone e una bisaccia».<br />Nell’area attualmente compresa nella diocesi di Zhouzhi, a pochi chilometri da Xi’an, fu ritrovata nel 1625 la “Stele nestoriana”, oggi custodita nel Museo della foresta di Stele di Xi’an: è la reliquia/testimonianza archeologica che attesta l’arrivo del primo annuncio cristiano in Cina per opera dei monaci missionari della Chiesa d’Oriente già nel 635 dopo Cristo. Costruita nel 781 con testi incisi in cinese e in siriaco, la Stele rappresenta - come si legge nella sua intestazione - il “Memoriale della Propagazione in Cina dell’Insegnamento luminoso di Da Qin”. In lingua cinese, il termine Da Qin indicava originariamente solo l’Impero romano. Poi l’espressione fu utilizzata per riferirsi proprio alle comunità della Chiesa siriaca che si erano stabilmente insediate in Cina.<br />Anche dal testo della Stele si deduce che monasteri erano presenti anche a Chang’an, antica Capitale orientale dell’Impero, oggi Xi’an).<br />La Stele descrive la comunità cristiana come comunità da tratti monastici, formata da persone che vivono senza essere sottomesse alle passioni mondane, praticano il digiuno e la penitenza, vivono momenti liturgici e di preghiera 7 volte al giorno secondo l’ufficio dei monaci e compiono opere di carità <br /><br />L’altra caratteristica di questa avventura missionaria è quella della apertura e del dialogo, che si può cogliere in atto in tre ambiti: dialogo con le culture, con le realtà religiose e dialogo con il potere e le autorità politiche.<br /><br /> <br />In dialogo con le culture <br /><br />Quando arrivano, i monaci missionari della Chiesa d’Oriente non si pongono in una posizione di forza, ma come umili monaci e commercianti. E proprio perché sono ben fondati nella loro fede e dottrina, possono entrare in contatto con la cultura e la tradizione letteraria locale con un atteggiamento dialogante, come era già avvenuto nell’incontro del cristianesimo con la cultura greco-romana.<br /> <br />Le Comunità siro-orientali fioriscono in Cina durante le dinastie Tang e Yuan . Quando arrivano in Cina, i monaci missionari si confrontano con una cultura superiore, e per testimoniare la loro fede avviano un processo di adattamento del linguaggio teologico cristiano nel contesto culturale cinese, custodendo il cuore della fede antiochena.<br />Anche nel testo della Stele numerose citazioni sono modellate sulle espressioni riprese dai classici cinesi.<br />Così i monaci avviano un processo di sinicizzazione che non è una piatta e meccanica sostituzione di dati culturali cinesi a dati siriaci orientali, ma un processo più graduale e vitale di contaminazione. Solo così l’adattamento è reale e fecondo.<br /> <br /><br />Missione e dialogo con le religioni <br /><br />Nell’esperienza della Chiesa d’Oriente in Cina, il cristianesimo prende le parole da vie e dottrine religiose come il buddhismo e il taoismo. Anche le parole scelte per descrivere le istituzioni monastiche, come la parola “monastero”, vengono riprese dal buddhismo. Il loro tentativo produce testi in cui molti termini chiave appartengono alla sfera religiosa buddhista e taoista. E l’assunzione di questo linguaggio non viene avvertita come una perdita di identità cristiana, ma come uno strumento per esporre il “proprium” della fede cristiana in un contesto pluralistico. Si tratta di un adattamento dell’annuncio del cristianesimo nei suoi termini essenziali, con parole che appartengono a contesti culturali diversi da quelli del mondo culturale greco e romano.<br />Per fare un esempio, il mistero della Trinità viene evocato facendo riferimento alla salvezza donata attraverso le “Tre Maestà dell’Insegnamento luminoso”. <br /> <br />Gli effetti di questa contaminazione sono documentati anche ad esempio nella iconografia delle tombe cristiane di Zaitun , dove le croci sono innestate nel fiore di loto e esseri celesti simili a angeli dipinti nella modalità iconografica buddhista. <br /><br /> <br />Missione e dialogo con la politica e il potere <br /><br />Un’altra dimensione dell’approccio dialogante della pratica missionaria della Chiesa d’Oriente in Cina è quello adottato verso le autorità e il potere politico degli Imperatori Tang e dei governanti mongoli Yuan.<br />Il dialogo ininterrotto con le autorità imperiali fu accettato come uno strumento necessario per ottenere riconoscimento come insegnamento legittimo e “ortodosso” nel senso del significato politico confuciano. Questa era l’unica via attraverso la quale la fede cristiana poteva essere accettata in una società cinese e per evitare di essere associati ai culti considerati perniciosi e perversi, perseguiti dalla legge. <br />La stessa Stele testimonia l’intento della cristianità di origine siriaca di acquisire legittimità presso la Corte imperiale.<br />Tutta la Stele è percorsa dall’intento di mostrare il collegamento e l’armonia tra le azioni giuste dei governanti e la presenza della Chiesa in Cina, che dà il suo contributo all’ordine sociale e al bene comune. Quindi la Stele testimonia anche un processo di adattamento alla modalità cinese di concepire e gestire le relazioni tra comunità di fede e autorità politiche.<br />Un certo numero di cristiani furono funzionari e officiali nella amministrazione politica e militare dell’impero Tang,<br /> <br />Il cardinale francese Eugene Tisserant, esperto e amante del cristianesimo d’Oriente, ricordava in un suo scritto sulla Chiesa d’Oriente che «I preti nestoriani in Cina offrirono volontariamente i loro servizi al governo, assumendo incarichi pubblici».<br />Tra questi c’era anche il donatore della Stele, il battriano Yazdbozid, che in Cina prende il nome di Yisi. La sezione cinese della Stele, nella parte finale riproduce la sua biografia e mette in evidenza i suoi ruoli di alto rango raggiunti nella amministrazione imperiale, e esalta la sua pratica della virtù cristiana della carità. <br />In questo atteggiamento di collaborazione e servizio verso le autorità politiche, la Chiesa trova la sua legittimazione nel contesto politico così diverso da quello dell’Impero romano.<br /> <br />Il cristianesimo, nel modo in cui viene vissuto e testimoniato da quelle comunità in Cina diventa una confessione che può essere abbracciata perché non è percepita come dottrina di persone straniere o sottomesse a poteri o interessi stranieri.<br /> <br />I nomi di cristiani che già in quei secoli diventano consiglieri e medici di Corte in Cina mostrano che la scelta del dialogo e non della contrapposizione fu utile a diffondere il Vangelo e testimoniarlo, in quella stagione della storia per molti versi agli antipodi di quello che sarebbe accaduto molti secoli dopo, nell’epoca del Colonialismo. <br /> <br /><br />Conclusioni<br /><br />I due già citati studiosi Bevans e Schroeder hanno sottolineato che l’esperienza missionaria della antica Chiesa d’Oriente ha molto da dire al nostro presente. L’atteggiamento di apertura all’incontro e di dialogo riporta alle sorgenti della missione. E nel mondo attuale, appare sempre più evidente che il dialogo e la apertura all’incontro sono attitudini necessarie di ogni testimonianza cristiana. Lo ha mostrato anche il primo Concilio della Chiesa cattolica in Cina, svoltosi a Shanghai 100 anni fa, nel 1924. Il 21 maggio un Convegno organizzato a Roma dalla Pontificia Università Urbaniana in collaborazione con Agenzia Fides ha fatto memoria di quell’importante Concilio.<br />Come ha detto il Cardinale Luis Antonio Tagle, Pro-Prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione , parlando del Concilio di Shanghai, l'annuncio del Vangelo non si identifica con una civiltà e una cultura, e proprio per questo protegge e promuove le ricchezze dei singoli popoli e delle loro culture. Perché la liberazione e la guarigione portata da Gesù sono un dono per tutti e per ciascuno, come ripete sempre Papa Francesco. <br />Fri, 26 Jul 2024 00:40:09 +0200OCEANIA/PAPUA NUOVA GUINEA - La guerra tribale non si ferma: nell’area della parrocchia di Kanduanum massacri di donne e bambinihttps://fides.org/it/news/75242-OCEANIA_PAPUA_NUOVA_GUINEA_La_guerra_tribale_non_si_ferma_nell_area_della_parrocchia_di_Kanduanum_massacri_di_donne_e_bambinihttps://fides.org/it/news/75242-OCEANIA_PAPUA_NUOVA_GUINEA_La_guerra_tribale_non_si_ferma_nell_area_della_parrocchia_di_Kanduanum_massacri_di_donne_e_bambiniPort Moresby – Bambini torturati, donne violentate. Poi l’uccisione e i corpi gettati nel fiume. È l’ultimo raccapricciante bilancio della guerra tribale che infuria oramai da mesi nei villaggi della Papua Nuova Guinea, nazione che tra poco più di un mese ospiterà Papa Francesco in quello che sarà il viaggio apostolico più lungo del suo pontificato.<br /><br />Ventisei i morti accertati. A perdere la vita, in una serie di attacchi avvenuti in tre villaggi situati nella provincia del Sepik orientale, nell’area settentrionale del Paese, donne e bambini. Solo pochi mesi fa, un’altra serie di attacchi fra tribù sconvolse la provincia di Enga, nel cuore della nazione, dove gli scontri sono divenuti sempre più letali a causa del significativo aumento delle armi da fuoco .<br /><br />Già in passato il governo nazionale aveva aumentato le operazioni, militari e non, per frenare queste violenze, senza molto successo. Negli ultimi anni, gli scontri tribali sono aumentati di intensità: si è passati dalle semplici armi da taglio ad armi automatiche e da fuoco. Allo stesso tempo, la popolazione del paese è più che raddoppiata dal 1980, provocando un aumentando delle tensioni per l’accesso alle risorse e alla terra, riaccendendo le rivalità tribali.<br /><br />E ora, mentre la nazione si prepara ad accogliere il Santo Padre, la terra si bagna nuovamente di sangue. Secondo quanto riferisce la polizia locale, i massacri sarebbero avvenuti in momenti diversi. Iniziati il 17 luglio, sono continuati per diversi giorni. <br />La preoccupazione è che il bilancio delle 26 vittime possa essere maggiore. Il numero, infatti, è stato calcolato solo sulla base dei corpi ritrovati lungo il fiume. Ma, secondo le autorità, potrebbe anche raddoppiare. E non solo per la presenza di diversi animali selvatici carnivori. I tre villaggi sono stati distrutti e i sopravvissuti, si stima circa duecento persone, sono fuggiti nella foresta. E ora sono completamente abbandonati a loro stessi. <br /><br />Come appreso dall'Agenzia Fides, la direttrice nazionale della Caritas, Mavis Tito, è in costante dialogo con la Diocesi di Wewak per monitorare la situazione. Gli attacchi ai villaggi sono avvenuti infatti nell’area della parrocchia di Kanduanum: “Non si tratta di un caso isolato. Quello in corso è un conflitto tra quattro gruppi diversi che si sta accentuando sempre di più”. <br /><br />Le forze dell’ordine, precisa la direttrice della Caritas, “sono presenti in zona. Ma l’area non è di facile accesso e sono arrivati quando le violenze erano già finite. Purtroppo, nonostante ci sia un dispiegamento di forze dell’odine, il numero degli agenti è insufficiente per gestire questa situazione, sempre più instabile”. E se si considera che ad oggi, a distanza di quasi dieci giorni dagli attacchi, nessun aiuto è giunto sul posto, si rischia anche la catastrofe umanitaria: “Le persone fuggite nella foresta non hanno nulla. Non ci risultano poi aiuti di nessun tipo. Anche il centro di cura temporaneo è rimasto senza rifornimenti”.<br /><br />Sulla vicenda interviene anche l'alto commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Volker Türk, dichiarandosi “inorridito dallo scioccante scoppio di violenza mortale in Papua Nuova Guinea, apparentemente a causa di una disputa sulla proprietà e sui diritti di utilizzo della terra e dei laghi”. <br /><br />Dall’alto commissario dell'Onu arriva nuovamente l’invito, rivolto alle autorità locali e nazionali della Papua Nuova Guinea, “a svolgere indagini rapide, imparziali e trasparenti. Chiedo inoltre alle autorità di collaborare con i villaggi per comprendere le cause dei conflitti e quindi prevenire il ripetersi di nuove violenze”. <br /><br />Violenze che nascono per diversi motivi, come aveva già spiegato a Fides padre Giorgio Licini, missionario italiano del PIME e segretario della Conferenza episcopale cattolica di Papua Nuova Guinea e Isole Salomone: "Gli scontri tra gli indigeni, alcuni dei quali hanno avuto i primi contatti col mondo esterno solo 70 anni fa, possono essere dovuti a vari motivi, ma soprattutto dipendono dal controllo del territorio, nella loro cultura tradizionale molto sentito. Queste tensioni sono sostenute da membri dei vari gruppi emigrati nelle città dove hanno avviato un business e, per tanto, possono inviare armi o pagare mercenari". <br /><br />Gli scontri, sottolinea padre Licini, "avvengono in aree remote interne, rurali o di foresta, con un'alta incidenza di analfabetismo, caratterizzate da arretratezza culturale e sociale laddove, ad esempio, vigono pratiche di stregoneria e anche caccia alle donne ritenute streghe. In passato la situazione tra questi gruppi era più stabile. Oggi, con la mobilità e la globalizzazione, tutto è più caotico. Siamo in una fase di passaggio tra la antica cultura e una nuova identità, che però non è ancora solida e ben definita". I motivi delle violenze, dunque, sono da ricercare in questo processo di trasformazione culturale, sociale ed economica che sta coinvolgendo tutta la nazione.<br /> <br />Thu, 25 Jul 2024 14:05:31 +0200ASIA/INDONESIA - Il Direttore per gli Affari europei: "Indonesia e Santa Sede unite per portare al mondo un messaggio di pace e fraternità"https://fides.org/it/news/75241-ASIA_INDONESIA_Il_Direttore_per_gli_Affari_europei_Indonesia_e_Santa_Sede_unite_per_portare_al_mondo_un_messaggio_di_pace_e_fraternitahttps://fides.org/it/news/75241-ASIA_INDONESIA_Il_Direttore_per_gli_Affari_europei_Indonesia_e_Santa_Sede_unite_per_portare_al_mondo_un_messaggio_di_pace_e_fraternitadi Paolo Affatato<br /><br />Jakarta - "La visita del Papa in Indonesia è un momento storico per la nazione. Non ha solo un significato religioso, ma anche un significato civile e politico, nel senso più ampio del termine. E' la terza volta che un pontefice tocca il suolo indonesiano . Vediamo l'entusiasmo della popolazione. Ferve l'attesa dei cattolici in Indonesia, è chiaro, ma vediamo che l'entusiasmo è condiviso anche da tutti gli indonesiani", dice all'Agenzia Fides Widya Sadnovic, Direttore per gli Affari europei nel Ministero degli Esteri della Repubblica di Indonesia, in vista del viaggio apostolico che vedrà Papa Francesco in Indonesia dal 3 al 6 settembre prossimo, la prima di quattro tappe in quattro nazioni diverse.<br />Uomo giovane e dinamico, il Direttore Sadnovic è personalmente coinvolto nel Comitato creato ad hoc per la preparazione della visita papale. "Incontri, messaggi, questioni da risolvere, mi impegnano 24 ore su 24", rivela con un sorriso che non fa pesare affatto il lavoro straordinario che porta avanti ogni giorno con apertura, competenza, buona volontà e ampia disponibilità. "Quello che noto negli incontri è la sensazione di piena e gioiosa accoglienza. Vedo funzionari del governo, membri della Chiesa indonesiana, esponenti del Vaticano, la Nunziatura apostolica, il Grande imam, tutti uniti per un unico obiettivo: tutti stanno cercando di fare la loro parte per rendere questa visita, un momento felice, un evento memorabile per la nazione".<br />Sottolinea Sadnovic: "L'invito del presidente Joko Widodo al Santo Padre vi era già stato nel 2020. Poi la pandemia ha generato un rinvio. Ma il governo ha sempre messo molta attenzione a quell'idea e ha poi rinnovato l'invito. Ricordiamo che questa è una visita di stato, è anche la visita di un capo di stato, dunque vi sarà il benvenuto delle autorità statali, l'incontro bilaterale con il presidente, così come l'incontro del Papa con la comunità diplomatica e le altre autorità civili in Indonesia". <br /><br />Sarà un momento importante di incontro bilaterale tra Indonesia e Santa Sede, rileva il Direttore, "per ribadire la collaborazione e per condividere i nostri interessi comuni, soprattutto, direi, un aspetto centrale nella comunità internazionale in questo tempo: il messaggio di pace e tolleranza. Questo è un tema davvero importante per noi, nella nazione a maggioranza musulmana più popolosa al mondo". <br />"Nel Ministero degli Affari esteri - riferisce - siamo particolarmente impegnati a curare i rapporti tra tutte le regioni. Da diversi anni il Ministero promuove programmi, seminari, iniziative di dialogo interreligioso con esponenti di oltre 30 paesi. E' una parte del nostro impegno ordinario. L'apparato dello stato facilita l'incontro tra leader religiosi sia in Indonesia, sia a livello del continente asiatico, per far sì che anche in altre nazioni l'incontro tra capi religiosi serva a nutrire e praticare il messaggio di pace e fratellanza. Anche il nostro ministro degli Esteri Retno Marsudi è pienamente in linea con questo messaggio e questo impegno. Il nostro Ministro è molto attivo nel cercare di risolvere i conflitti, nel promuove forme di mediazione e dialogo: i nostro obiettivi sono la risoluzione pacifica dei conflitti e il non smarrire l'umanità nei conflitti, ad esempio garantendo sempre e comunque l'assistenza umanitaria".<br /><br />Il direttore si sofferma sulla situazione interna dell'arcipelago delle 17mila isole: "Come sappiamo l'Indonesia è una nazione molto diversificata, ricca di religioni diverse, gruppi etnici, lingue e tradizioni diverse. E noi lavoriamo per l'unità nella diversità. Questa diversità va curata e l'unità non bisogna mai darla per scontata. Dobbiamo fare attenzione, coltivarla, viverla e portarla con noi per condividerla con il prossimo", nota. Dall'Indonesia, a cerchi concentrici, verso l'intera umanità: "Pensiamo anche che questo messaggio di pace, che viene dall'Indonesia, possa diffondersi in altre parti del mondo che hanno bisogno di pace, a partire dal Sudest asiatico, fino all'intero continente, per giungere a tutto il mondo. Vediamo con sofferenza e amarezza i molti contesti di conflitto, ora anche in Europa, basti pensare all'Ucraina, o in Medio Oriente. Credo che questo aspetto potrebbe emergere nelle conversazioni tra il Santo Padre e il presidente dell'Indonesia: la presenza del Papa, leader religioso e le capo di stato, ricorderà a tutti i politici e a tutti i popoli l'urgenza di diffondere e praticare la pace".<br /><br />Da funzionario di stato, Widya Sadnovic si dice "colpito perché posso constatare che le parole di Papa Francesco sono spesso citate nei mass-media indonesiani, sono conosciute e riprese non solo da esponenti cattolici, ma anche dai rappresentanti del governo, da leader musulmani e da commentatori. E' impressionante per noi. Leggendo alcuni di questi messaggi e insegnamenti del Papa, ritroviamo accenti e temi che sono particolarmente vicini allo spirito e dell'anima o dell'Indonesia, come quello della fraternità, della tolleranza, dell'accoglienza dell'altro e della pace. La pace è un compito che nessuno può portare avanti da solo: si costruisce attraverso la comunicazione, attraverso il dialogo. Lo vedremo in modo concreto nell'incontro del Papa con il Ministro degli Affari Religiosi, con il Grande Imam della moschea Istiqlal e con gli altri leader religiosi, che avrà grande forza simbolica. Sono incontri che mostrano una strada, indicano uno stile di relazione umana. Non sarà certo un gesto fine a se stesso, o solo formale: sarà bensì la prova che quella fraternità, quella tolleranza, quella accoglienza, quel dialogo sono impegni che bisogna portare avanti ogni giorno, nella politica, nella società, nelle comunità religiose, in tutto il mondo, per il bene dell'intera umanità".<br />Thu, 25 Jul 2024 12:31:41 +0200AFRICA/COSTA D'AVORIO - Nomina dell’Arcivescovo Metropolita di Bouakéhttps://fides.org/it/news/75240-AFRICA_COSTA_D_AVORIO_Nomina_dell_Arcivescovo_Metropolita_di_Bouakehttps://fides.org/it/news/75240-AFRICA_COSTA_D_AVORIO_Nomina_dell_Arcivescovo_Metropolita_di_BouakeCittà del Vaticano - Il Santo Padre ha nominato Arcivescovo Metropolita dell’Arcidiocesi Metropolitana di Bouaké , S.E. Mons. Jacques Assanvo Ahiwa, finora Amministratore Apostolico della medesima Arcidiocesi.<br />S.E. Mons. Jacques Assanvo Ahiwa è nato il 6 gennaio 1969 a Kuindjabo, nel Distretto di Aboisso, Diocesi di Grand-Bassam. Dopo aver completato la formazione presso il Seminario Minore di Bouaké ed il Seminario Maggiore Saint Cœur de Marie di Anyama, è stato ordinato sacerdote il 13 dicembre 1997, per la Diocesi di Grand Bassam.<br />Ha ricoperto i seguenti incarichi: Vicario Parrocchiale di San François Xavier, Aboisso ; Segretario Generale della Diocesi di Grand-Bassam e Direttore Diocesano delle Pontificie Opere Missionarie ; Master in Teologia Biblica presso l’Université Catholique de l’Afrique de l’Ouest ; Dottorato in Teologia Biblica a Strasburgo ; Vicario Generale di Grand Bassam ; Maître de conférences presso l’University of Strasbourg .<br />Il 5 maggio 2020 è stato eletto Vescovo titolare di Elefantaria di Mauritania e Ausiliare di Bouaké, ha ricevuto la consacrazione episcopale il 3 ottobre successivo e, dal 2024, è Amministratore Apostolico della medesima Arcidiocesi.<br /> Thu, 25 Jul 2024 12:24:56 +0200AFRICA/MALI - Rinuncia e nomina dell’Arcivescovo Metropolita di Bamakohttps://fides.org/it/news/75239-AFRICA_MALI_Rinuncia_e_nomina_dell_Arcivescovo_Metropolita_di_Bamakohttps://fides.org/it/news/75239-AFRICA_MALI_Rinuncia_e_nomina_dell_Arcivescovo_Metropolita_di_BamakoCittà del Vaticano - ll Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Arcidiocesi Metropolitana di Bamako presentata dall’Em.mo Card. Jean Zerbo. Il Santo Padre ha nominato Arcivescovo Metropolita della medesima Arcidiocesi S.E. Mons. Robert Cissé, finora Vescovo di Sikasso.<br />S.E. Mons. Robert Cissé è nato il 7 luglio 1968 a Bamako. Ha studiato Filosofia presso il Seminario Maggiore Saint Augustin di Bamako e Teologia presso il Seminario Maggiore St. Pierre Claver di Koumi, in Burkina Faso.<br />Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 10 luglio 1993 a Koutiala, incardinandosi nella Diocesi di Sikasso.<br />Ha ricoperto i seguenti incarichi e svolto ulteriori studi: Vicario Parrocchiale e Parroco di Sikasso ; Responsabile della Commissione Diocesana per le Vocazioni ; Cappellano del Laicato ; Direttore Nazionale delle Pontificie Opere Missionarie in Mali ; Vicario Generale di Sikasso ; Dottorato in Filosofia presso la Pontificia Università Urbaniana di Roma ; Decano della Facoltà di Filosofia all’Université Catholique de l’Afrique de l’Ouest e Rettore ad interim del Seminario Maggiore Saint Augustin, di Bamako .<br />Il 14 dicembre 2022 è stato nominato Vescovo di Sikasso ed ha ricevuto l’ordinazione episcopale l’11 febbraio 2023.<br /> Thu, 25 Jul 2024 12:21:23 +0200AMERICA/PERU' - Sentire, imparare, camminare insieme nella costruzione della ‘monifue’: prima Assemblea dei Popoli Nativi con i missionarihttps://fides.org/it/news/75238-AMERICA_PERU_Sentire_imparare_camminare_insieme_nella_costruzione_della_monifue_prima_Assemblea_dei_Popoli_Nativi_con_i_missionarihttps://fides.org/it/news/75238-AMERICA_PERU_Sentire_imparare_camminare_insieme_nella_costruzione_della_monifue_prima_Assemblea_dei_Popoli_Nativi_con_i_missionariSan José del Amazonas - “Rafforzare il dialogo interculturale con il fine di camminare insieme verso la monifue e costruire una Chiesa più vicina alla realtà dei popoli indigeni”. E’ quanto si sono proposti i rappresentanti dei popoli nativi dell'Amazzonia peruviana, riuniti insieme ai missionari della Consolata nella Prima Assemblea dei Popoli Nativi. Si tratta di una ‘sfida’ – dichiarano i IMC - rivolta alle Chiese locali che dovranno riflettere quotidianamente e concretamente su come camminare insieme a questi popoli nel qui e ora.<br /><br />Secondo una nota dei Missionari della Consolata, i rappresentanti di sei missioni del Vicariato Apostolico di San José del Amazonas che convivono direttamente con i popoli indigeni, assieme ad alcuni membri del personale amministrativo, si sono incontrati, nel villaggio di Angoteros, per condividere le comuni preoccupazioni ed esperienze su come dare passi concreti verso una opzione preferenziale per i popoli indigeni.<br /><br />“Siamo consapevoli che ciò richiede una conversione nelle forme, metodi, tempi, ritmi, lingua e spiritualità” dichiarano. Si è quindi consolidata la proposta di tenere una prima Assemblea dei Popoli Indigeni con i missionari che liberamente desideravano far parte di questo processo: sentire, imparare, camminare con loro, insieme nella costruzione di quella pienezza di vita che nel nostro caso si basa sulla gratuità e l'interculturalità.” L'obiettivo era offrire uno spazio di dialogo tra culture che permettesse di conoscersi, valorizzarsi, camminare insieme e seminare la parola di vita dalla loro saggezza.<br /><br />Nell’Amazzonia peruviana vivono 51 popoli nativi, di cui nove si trovano nel Vicariato; una Chiesa particolare che nel corso dei suoi anni ha camminato e navigato a fianco delle popolazioni indigene.<br /><br />“Per i popoli indigeni il termine monifue significa abbondanza e questa prima assemblea rappresenta proprio questo: il raccolto di questa grande chacra seminata nella diversità che non ha mai rappresentato una minaccia ma una promessa. È stato significativo vedere i Kichwa dell’Ecuador assieme a quelli del Perù; i Murui della Colombia con i Murui–Uitoto del Perù” dice p. José Fernando Flórez Arias, IMC, missionario nel Vicariato di San José del Amazonas. “Gli Stati nazionali volevano dividere, ma non potevano spezzare la spiritualità dello stesso popolo. E questo rappresenta anche un appello alle Chiese chiamate a camminare insieme, incontrarsi e riconoscersi. Nell’Amazzonia non si tratta di starci ma di saperci stare. Il territorio ha bisogno di missionari gioiosi, aperti all'ascolto, alla parola, al mistero”.<br /><br />Il Sinodo per l'Amazzonia, celebrato nell’ottobre del 2019, proponeva nuove modalità nelle relazioni fra Chiesa cattolica e territorio, culture e vita ancestrale. Occorre dunque camminare con i criteri di Papa Francesco che, a Puerto Maldonado, aveva detto alle popolazioni indigene “aiutate i vostri missionari a diventare una cosa sola con voi” .<br /><br /> <br />Thu, 25 Jul 2024 10:16:36 +0200OCEANIA/PAPUA NUOVA GUINEA - Preparazione spirituale, preghiera e incontri dei fedeli in vista del viaggio del Papahttps://fides.org/it/news/75236-OCEANIA_PAPUA_NUOVA_GUINEA_Preparazione_spirituale_preghiera_e_incontri_dei_fedeli_in_vista_del_viaggio_del_Papahttps://fides.org/it/news/75236-OCEANIA_PAPUA_NUOVA_GUINEA_Preparazione_spirituale_preghiera_e_incontri_dei_fedeli_in_vista_del_viaggio_del_PapaPort Moresby – Preghiere, riflessioni e momenti di confronto. I sacerdoti della Papua Nuova Guinea si preparano a vivere così il viaggio apostolico di Papa Francesco. Il Pontefice, in quello che è stato definito "il viaggio papale dei record", si fermerà nel Paese per poco più di 48 ore. L’agenda però è fitta di impegni e, nonostante la stragrande maggioranza degli abitanti sia protestante , ferve l’attesa per questo evento storico. L’ultimo Papa a visitare la Papua Nuova Guinea fu Giovanni Paolo II nel 1995. Francesco sarebbe dovuto andarci già quattro anni fa, ma l’arrivo della pandemia bloccò tutto. <br /><br />Fin dall’annuncio del viaggio, parrocchie e comunità si sono adoprate per proporre ai fedeli momenti di preghiera e incontri di catechesi e di formazione che aiutino i cristiani – e non solo – a comprendere i motivi per cui il maggior esponente della Chiesa cattolica, che non solo è un leader spirituale ma è anche un Capo di Stato, viene in visita non solo nella capitale, Port Moresby, ma anche Vanimo, piccola cittadina che conta poco meno di 10mila abitanti dove vi è una comunità cattolica fiorente, ricca di missionari, diversi dei quali sono argentini.<br /><br />“La gente è curiosa e vuole saperne di più", aveva detto all'Agenzia Fides padre Victor Roche, missionario indiano della Società del Verbo Divino e attualmente Direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie in Papua Nuova Guinea. Ma per preparare i fedeli anche i sacerdoti hanno bisogno di incontrarsi, di riflettere, di prepararsi spiritualmente. E così il tradizionale ritiro spirituale del clero di Port Moresby, guidato dal cardinal John Ribat, M.S.C., Arcivescovo di Port Moresby, e predicato da Dariusz Kaluza MSF, Vescovo di Bougainville, è diventato l’occasione per confrontarsi e pregare sulle tante iniziative che da qui alla visita del Papa avranno luogo. <br /><br />Perché se è vero che “la gente vuole saperne di più”, è necessario saper trasmettere bene la bellezza di un viaggio papale in un contesto particolare. Stando ai dati ufficiali, la Papua Nuova Guinea è sul podio per la percentuale di popolazione più bassa che vive in città: il 13,2% . Se si considera che l’isola ha un tasso di urbanizzazione pari al 2,51% e che gran parte della popolazione è analfabeta, diventa ancora più importante la formazione dei sacerdoti. In tutta la nazione, secondo l'Annuario Statistico della Chiesa 2021, si contano 304 diocesani e 295 religiosi. <br /> <br />Wed, 24 Jul 2024 13:49:49 +0200ASIA/INDONESIA - L'Arcivescovo di Kupang: per incontrare il Papa i fedeli indonesiani andranno a Timor Est, un'occasione di riconciliazionehttps://fides.org/it/news/75235-ASIA_INDONESIA_L_Arcivescovo_di_Kupang_per_incontrare_il_Papa_i_fedeli_indonesiani_andranno_a_Timor_Est_un_occasione_di_riconciliazionehttps://fides.org/it/news/75235-ASIA_INDONESIA_L_Arcivescovo_di_Kupang_per_incontrare_il_Papa_i_fedeli_indonesiani_andranno_a_Timor_Est_un_occasione_di_riconciliazionedi Paolo Affatato<br /><br />Kupang - Il cancello della sua residenza, una villetta a un piano nel centro della città di Kupang, è sempre aperto, anche nottetempo. E così la porta della sua dimora. All'uscio di casa di Hironimus Pakaenoni, dal marzo 2024 Arcivescovo metropolita di Kupang, bussano ed entrano senza alcuna formalità sacerdoti, missionari, singoli fedeli che vogliono condividere una gioia o una sofferenza. Padre Raymond Maurus Ngatu, 31 enne novello prete indonesiano, della congregazione dei Missionari dei Santi Apostoli, ci va per chiedere una benedizione alla vigilia della celebrazione della sua prima messa in una parrocchia di Kupang, sua città natia: poi ripartirà per una missione a Pontianak, nel Borneo indonesiano. L'Arcivescovo dispensa sorrisi e consigli, elargisce benedizioni, soprattutto dice una parola e un segreto per quell'opera missionaria: "Confidare sempre in Dio, non in noi stessi. Essere strumenti nelle sue mani".<br /><br />Kupang è il maggior centro urbano presente sulla parte occidentale dell'isola di Timor , ed è capoluogo della provincia indonesiana di Nusa Tenggara Orientale. Con oltre 430mila abitanti, è una tipica città portuale asiatica, piuttosto caotica, un miscuglio di gente sempre indaffarata, un luogo di passaggio, tra commercianti e pescatori che curano traffici di merci dirette a molte altre isole dell'Indonesia orientale. E la diocesi di Kupang è una delle poche che in Indonesia - la nazione delle 17mila isole, il paese a maggioranza musulmana più popoloso al mondo - include una popolazione a maggioranza cristiana. La popolazione locale è al 60% cristiana protestante, per circa il 35% cattolica e solo per il 3-4% musulmana. <br /><br />L'Arcivescovo "Roni" - così ama farsi chiamare dai preti e dai fedeli - è felice per aver da poco celebrato l'ordinazione diaconale di 14 giovani che "a Dio piacendo diverranno presto sacerdoti, 12 di loro a novembre" racconta all'Agenzia Fides nella sua residenza. "E quattro di loro - sottolinea - già sanno che saranno 'missionari domestici', come chiamiamo i preti inviati a svolgere servizio in altre diocesi indonesiane, là dove c'è bisogno di sacerdoti e religiosi, come a Sumatra, in Kalimantan o nella Papua indonesiana", racconta, parlando con gioia della "solidarietà tra le diocesi indonesiane". Le 35 parrocchie del territorio di Kupang , dice l'Arcivescovo, "registrano un afflusso e la partecipazione massiccia dei fedeli alla vita della Chiesa e ai sacramenti. La fede è viva, lo vediamo soprattutto tra i giovani. Lo vediamo dalle vocazioni al sacerdozio che il Signore continua a donarci: nel Seminario minore abbiamo oltre 100 ragazzi, e 90 nel Seminario maggiore. Il Vangelo continua ad attrarre i giovani", riferisce, mentre la Chiesa locale gestisce oltre 90 scuole cattoliche, dalle elementari alle superiori, anche grazie all'aiuto di 53 congregazioni religiose , tra maschili e femminili, attive nel territorio. <br /><br />Ebbene, questa comunità, racconta l'Arcivescovo, sta escogitando una "via breve" al fine di incontrare Papa Francesco, che sarà in Indonesia dal 3 al 6 settembre e che sarà in Asia e Oceania dal 2 al 13 settembre, per un viaggio che toccherà, nel complesso, quattro nazioni . "Non lo vedranno tanto a Jakarta, la capitale, dove il Papa si fermerà tre giorni - rileva - bensì a Dili, a Timor Est, dall'altra parte della frontiera. Secondo le previsioni, circa 10mila fedeli, dalle diocesi di Kupang e Atambua , si sposteranno verso l'altra parte dell'isola, per partecipare alla messa nella spianata di Tesitolu, a Dili", conferma a Fides mons. Pakaenoni.<br />E' più facile raggiungere Timor Est, circa 10 ore di pullman da Kupang, piuttosto che organizzare un costoso viaggio verso Jakarta dove, tra l'altro, l'organizzazione ha convocato circa 100 delegati da ogni diocesi. I fedeli di Timor ovest godono, allora, di una speciale opportunità: Papa Francesco sarà nella loro stessa isola, anche se nella piccola nazione confinante.<br />"Stiamo collaborando con il governo indonesiano per aiutare i cattolici a partecipare alla visita del Papa a Dili. Abbiamo chiesto a sacerdoti, suore e fedeli di registrarsi nelle parrocchie. E la diocesi ha preso accordi con l'ufficio immigrazione per elaborare i documenti di viaggio. Molti fedeli non hanno il passaporto e sarà appositamente predisposto per loro un permesso speciale, solo per il pellegrinaggio. Oppure i funzionari hanno promosso una procedura speciale con il rilascio del passaporto entro tre giorni, invece delle solite due settimane", informa il Presule. Alcuni fedeli verranno anche dalle vicine isolette di Rote, Alor e Sabu. A Dili, capitale di Timor Est - dove Papa Francesco si fermerà dal 9 all'11 settembre, dopo le tappe in Indonesia e in Papua Nuova Guinea - si prevede allora la presenza anche di fedeli indonesiani. "C'è pieno accordo con la Conferenza episcopale di Timor Est. Si dovrà provvedere all'accoglienza , all'ospitalità e al sostentamento dei pellegrini indonesiani. L'organizzazione si è messa in moto", rivela l'Arcivescovo.<br /><br />Papa Francesco celebrerà la messa il 10 settembre nella spianata di Tesitolu, alla periferia di Dili, nel medesimo luogo dove Papa Giovanni Paolo II celebrò una messa durante la sua visita nel 1987, quando Timor Est era sotto il dominio indonesiano. Le ferite di quel passato sono state quasi del tutto sanate da un cammino di riconciliazione, basato su un percorso tanto psicologico, di guarigione dei traumi, quanto spirituale. Ma vi sono ancora segni e cicatrici che sanguinano. Dopo il 1999, quando Timor Est con un referendum sotto l'egida Onu dichiarò la propria indipendenza, vi fu un tempo di tensione e confusione, segnato da violenze e massacri delle milizie filo-indonesiane. Anche negli anni seguenti, un flusso di sfollati fuggì da Timor Est e si riversò ad Atambua e Kupang, dati i disordini. I rifugiati furono 250mila persone che poi, gradualmente, rientrarono a Timor Est negli anni successivi. In quel frangente storico la comunità cattolica a Kupang si fece vicina agli sfollati con iniziative di solidarietà, distribuzione di cibo e assistenza sanitaria.<br /><br />Ora, secondo l'Arcivescovo, a quella dolorosa vicenda Dio offre un'occasione: "La presenza del Papa potrà sancire e suggellare il cammino di riavvicinamento e riconciliazione. La sua è una visita non solo per i cattolici ma per tutta la popolazione. Va detto che tra le Chiese di Timor Ovest e Timor Est non c'è alcun problema e siamo in piena comunione. Alcune difficoltà e sofferenze esistono ancora in segmenti della popolazione, nelle famiglie che hanno perso dei cari nelle violenze e vedono ancora i carnefici dall'altra parte della frontiera. Io credo che la vista di Papa Francesco sia provvidenziale. Potrà essere un momento di grazia speciale, un kairòs anche per la riconciliazione tra famiglie segnate da lutti. Potrà essere un momento di richiesta e accoglienza di perdono, nella fede in Dio che sana le ferite. Vedo che tra la gente c'è buona volontà e noi, come cattolici, possiamo essere mediatori e facilitatori in questo processo che sappiamo è difficile, in quanto coinvolge le emozioni e l'interiorità. Per questo chiediamo l'aiuto di Dio e confidiamo in Lui".<br />Wed, 24 Jul 2024 11:56:33 +0200ASIA/INDONESIA - Nel "tunnel della fraternità" che collega la cattedrale e la moschea, in attesa di Papa Francescohttps://fides.org/it/news/75233-ASIA_INDONESIA_Nel_tunnel_della_fraternita_che_collega_la_cattedrale_e_la_moschea_in_attesa_di_Papa_Francescohttps://fides.org/it/news/75233-ASIA_INDONESIA_Nel_tunnel_della_fraternita_che_collega_la_cattedrale_e_la_moschea_in_attesa_di_Papa_Francescodi Paolo Affatato<br /><br />Jakarta - I pellegrini non ancora lo attraversano perchè il "tunnel della fraternità", come è stato ribattezzato, sarà inaugurato ufficialmente nel prossimo autunno. Ma l'opera è già stata completata e attende solo di essere aperta al pubblico, in special modo ai fedeli cristiani e musulmani, che già ne sono entusiasti. Si tratta del sottopasso che collega la cattedrale cattolica di Jakarta alla moschea Istiqlal, edificio prospiciente al tempio cristiano. Nel cuore della capitale dell'Indonesia, proprio in piazza dell'indipendenza - luogo di notevole valore per l'identità nazionale - le due imponenti strutture si guardano benevolmente l'un l'altra a distanza ravvicinata, quasi a specchiarsi l'una nell'altra, frutto di una scelta architettonica e urbanistica che, fin dalle origini, volle intendere e simboleggiare una comunanza di intenti, una visione di convivenza che è radicata nella nazione indonesiana.<br />Questa visione è stata ulteriormente rafforzata dall'edificazione e dal restauro di quel sottopasso che, grazie all'idea del presidente indonesiano Joko Widodo - ora presidente uscente, lascerà proprio in autunno al successore, il neoeletto Prabowo Subianto - è diventato il simbolo di osmosi, via per lo scambio continuo di visite, un percorso di amicizia umana e spirituale che caratterizza, in definitiva, il volto della grande metropoli e tutta la vasta e plurale società indonesiana. <br /><br />In principio fu la cattedrale, edificio neogotico costruito nella prima metà del 1800 dopo che il Commissario generale di Batavia della Compagnia olandese delle Indie orientali concesse il terreno per costruire una chiesa cattolica, che nel 1829 venne intitolata "Nostra Signora dell'Assunzione". Dati alcuni problemi strutturali, l'edificio venne ricostruito nell'ultimo decennio del secolo: tra il 1891 e il 1901 padre Antonius Dijkmans, SJ ne curò la nuova struttura architettonica e, grazie al contributo dell'architetto M.J. Hulswit, la nuova chiesa fu consacrata da mons. Edmundus Sybrandus Luypen, SJ, Vicario apostolico di Batavia, il 21 aprile 1901. Dopo il recente restauro concluso nel 2002 , la chiesa mostra tutto il suo splendore e costituisce un punto di riferimento per pellegrinaggi da tutta l'Indonesia. In fondo alla navata destra, una statua della Pietà è luogo di intensa preghiera. Marta, docente quarantenne dice a Fides che "viene ad affidare tutte le sue difficoltà e sofferenze, perchè Maria e Gesù possano accoglierle, donando consolazione e forza". Nell'interno della chiesa spicca oggi uno speciale "counter", un dispositivo elettronico che segna sul display “- 59” ovvero i giorni che mancano alla visita di Papa Francesco proprio in cattedrale. E, a vegliare sui fedeli, a sinistra dell’altare maggiore vi è la statua di “Maria, madre di tutte le etnie”, immagine realizzata nel 2015 per donare alla Madonna tratti “più familiari” ai fedeli d’Indonesia, poi adottata dall'Arcivescovo di Jakarta, il Cardinale Ignatius Suharyo, come emblema dell’unità nazionale. La Vergine indossa un abito tradizionale giavanese chiamato "kebaya". Sul suo petto campeggia il “Garuda Pancasila”, uccello che è tradizionale simbolo dell’Indonesia, mentre il capo è ornato di un velo bianco e rosso, i colori della bandiera indonesiana, che indicano anche i valori di coraggio e santità. Sulla corona è raffigurata una mappa del Paese che si affida alla protezione di Maria e che accoglierà papa Francesco chiedendo la sua benedizione.<br /><br />Al silenzio dell'interno fa da contrappunto il festoso chiasso al di fuori della chiesa: i bambini di una scuola cristiana protestante di Nord Jakarta, accompagnati da genitori e docenti, celebrano allegramente la loro visita alla chiesa e al museo annesso, tappa di un pellegrinaggio nei luoghi sacri della città. Accanto a loro, i ragazzi della parrocchia cattolica di San Domenico a Bekasi , impegnati nel movimento della “Infanzia missionaria”, nelle locali Pontificie Opere Missionarie, passano una giornata di ritiro spirituale nel complesso della cattedrale: il loro motto è "avere fede e donare Gesù" a tutti coloro che incontrano.<br /><br />Altrettanto gremita, luogo di socializzazione e di riposo, per molti meta di una gita domenicale, è la moschea Istiqlal, moderna e maestosa struttura edificata per commemorare l'indipendenza indonesiana e chiamata "Istiqlal" che significa, appunto, in arabo "indipendenza" o "libertà". Bambini, giovani, donne, anziani, famiglie intere giunte per un pic-nic, passano un momento di relax nell’ampio spazio fuori dal tempio o nel suo accogliente cortile che, con i suo portici, offre un po’ di riparo dalla calura della stagione secca. I fedeli musulmani, come da tradizione, lasciano poi le calzature e si addentrano nella immensa sala di preghiera, chinandosi in adorazione sul tappeto rosso che ricopre il pavimento, tra imponenti pilastri argentei e la cupola che cattura uno spazio a perdita d’occhio. Anche se non c'è una celebrazione speciale gli altoparlanti rimandano la predicazione del grande Imam K.H. Nasaruddin Umar. L’uomo, nei mesi scorsi - ricevuta una conferma ufficiosa - non ha saputo trattenere la gioia e - spiazzando sia il governo sia la Conferenza episcopale cattolica dell’Indonesia - ha dato per primo ai mass-media l'annuncio che Papa Francesco sarebbe venuto a visitare il suo tempio, dove il pontefice avrà un incontro con i leader religiosi di varie fedi. "Il messaggio di Papa Francesco è anche la missione della moschea Istiqlal, cioè trasmettere umanità, spiritualità e civiltà, senza distinzioni tra religione, etnia, lingua. L'umanità è una sola", ha detto serafico, esprimendo l’attesa e la soddisfazione della comunità musulmana di Jakarta per l'arrivo del pontefice. <br /><br />L’idea di costruire quella casa di culto nacque nel 1949 da Wahid Hasyim, allora Ministro per gli affari religiosi. La commissione per l’edificazione fu istituita nel 1953, sotto la supervisione del primo presidente indonesiano Sukarno, che volle costruire la moschea a piazza Merdeka . Il presidente e tutti i membri del governo, inoltre, rimarcarono che la scelta di erigere la moschea di fronte alla Cattedrale di Giacarta intendeva simboleggiare l'armonia religiosa e la tolleranza insite nella Pancasila, la "Carta dei cinque principi", la filosofia nazionale che è alla base della Costituzione.<br />Quello spirito non è affatto smarrito e si avverte ancora oggi mentre i fedeli musulmani parlano con fierezza del "tunnel del silaturahmi" che collega la loro casa alla chiesa cattolica. L’espressione è quanto mai pregnante: "Silaturahmi", nel contesto e nella cultura indonesiana – spiegano gli studiosi – indica una forma di interazione sociale attraverso cui si mantengono salde relazioni interpersonali, come nella parentela, o nei legami educativi, economici, sociali e religiosi. "Silaturahmi", temine usato specificamente dai musulmani indonesiani, vuol dire "l'intenzione di coltivare e curare una relazione umana".<br /><br />C'è un desiderio, c’è l’intenzione di mantenere buone relazioni, in un “dialogo di vita” fatto di pratiche amicali, di gesti semplici e di benevolenza gratuita. Il Cardinale Ignatius Suharyo e l’imam Nasaruddin Umar li coltivano con quotidiana mitezza ed empatia, che si esprimono plasticamente attraverso quel tunnel, un canale sempre aperto che, dopo il restauro completato nel 2022, consentirà al flusso di fedeli, in entrambe le direzioni, di ammirare le opere dell'architetto indonesiano Sunaryo e dello scultore Aditya Novali. L’artista ha realizzato dei bassorilievi che adornano le pareti del sottopasso rivestito in marmo: due mani che si toccano per "dare un’idea di umiltà generata dall’interiorità dell’animo, per cui ognuna delle due avverte la connessione e completa l’unità”, si legge nell’illustrazione della scultura, realizzata sia “in positivo” che “in negativo” sulle pareti del tunnel.<br />E mentre il visitatore procede sul pavimento dove sono disegnati con il granito cerchi concentrici , "simbolo di speranza che dona nuova luce al cammino", si apprende che Papa Francesco non potrà attraversare quel sottopasso, ipotesi esclusa dalle autorità per motivi di sicurezza. Ma ciò non intacca minimamente l’atmosfera, la gioia, l’entusiasmo palpabile, sia nel comunità dei cattolici, sia al di là della strada, tra la gente del Profeta, che sorride, pronta ad accogliere ed abbracciare l'uomo vestito di bianco. <br /><br />Tue, 23 Jul 2024 12:35:58 +0200AFRICA/SUD SUDAN - “Pregare e ascoltare la voce di Dio e la voce della gente”: l’appello dei vescovi per i fratelli sudanesihttps://fides.org/it/news/75232-AFRICA_SUD_SUDAN_Pregare_e_ascoltare_la_voce_di_Dio_e_la_voce_della_gente_l_appello_dei_vescovi_per_i_fratelli_sudanesihttps://fides.org/it/news/75232-AFRICA_SUD_SUDAN_Pregare_e_ascoltare_la_voce_di_Dio_e_la_voce_della_gente_l_appello_dei_vescovi_per_i_fratelli_sudanesiJuba - “Sebbene la nostra responsabilità primaria sia il Sud Sudan, non possiamo prendere le distanze dal nostro vicino Sudan.” E’ quanto i vescovi della nazione più giovane del mondo hanno espresso in merito alla guerra civile in corso , scoppiata in Sudan lo scorso anno a causa dello scontro tra i vertici delle Forze armate sudanesi e il gruppo paramilitare Rapid Support Forces , e di come il conflitto abbia gravemente danneggiato il paese fino alla quasi completa distruzione.<br /><br />“Il tessuto della società sudanese è stato lacerato, la gente è traumatizzata e scioccata per il livello di violenza e odio” riportano i membri della Conferenza episcopale cattolica del Sudan e del Sud Sudan riuniti di recente in un incontro di 3 giorni a Juba.<br /><br />Il conflitto, che secondo i leader della Chiesa ha causato orrendi crimini di guerra e violazioni dei diritti umani commessi da entrambe le parti, ha portato il popolo del Sudan a una vera catastrofe umanitaria, da qui l’appello dei presuli al popolo di Dio affinché offra sostegno attraverso la fornitura di “assistenza umanitaria, lavoro di advocacy per la pace, preparazione al ‘dopo guerra’ in termini di riconciliazione, riabilitazione, ricostruzione e guarigione dai traumi e, soprattutto, preghiera”.<br /><br />“Finora non c’è la minima traccia per un dialogo di pace che possa portare speranza ai sudanesi. Credo che i nostri leader non siano pronti pace. Lotte e conflitti hanno il sopravvento”, hanno riferito i vescovi citando il vescovo Tombe Trille Kuku della diocesi di El Obeid che nel suo messaggio pastorale che ha dipinto un quadro dell'insensibilità delle parti interessate a permettere che la pace regni in Sudan, ma che invece stanno alimentando la guerra che porta a ulteriori sofferenze per la popolazione.<br /><br />“È giunto il momento per loro di pensare al popolo e alla nazione - proseguono. Più aumentano i combattimenti, più le persone si disperdono e cresce l’odio tra i vari gruppi etnici sudanesi. Inginocchiarsi per pregare e ascoltare la voce di Dio e la voce della gente, dei bambini, delle donne che piangono per la pace, e anche il sangue che piange sulla terra di persone innocenti che sono morte a causa del fuoco incrociato. Tornate a dialogare come figli di un’unica madre e di un unico padre”.<br /><br />Infine, i vescovi della SSSCBC riprendendo il recente appello che Papa Francesco aveva rivolto dopo la recita dell’Angelus, nella Solennità del Corpus Domini, in Piazza San Pietro, hanno invitato tutte le parti a deporre le armi e ad avviare negoziati di pace significativi mentre condannano l’uccisione, gli stupri e i saccheggi di civili e chiedono la responsabilità dei crimini.<br /><br /> <br />Tue, 23 Jul 2024 12:03:14 +0200AFRICA/CIAD - Uno spazio di riflessione, scambio d’idee ed esperienze rivolte al mondo giovanile in un contesto di tensionihttps://fides.org/it/news/75230-AFRICA_CIAD_Uno_spazio_di_riflessione_scambio_d_idee_ed_esperienze_rivolte_al_mondo_giovanile_in_un_contesto_di_tensionihttps://fides.org/it/news/75230-AFRICA_CIAD_Uno_spazio_di_riflessione_scambio_d_idee_ed_esperienze_rivolte_al_mondo_giovanile_in_un_contesto_di_tensioniAbéché – Si tratta di una delle iniziative più significative dell’Animazione Missionaria, in stretta collaborazione con il settore di Giustizia, pace e integrità del creato dei missionari comboniani in Ciad. “Il pianeta terra, un’eredità comune” è il Forum rivolto ai giovani ciadiani che si terrà presso il Foyer des jeunes di Abéché dal 2 al 6 settembre 2024.<br /><br />Il forum – dichiarano i missionari Comboniani promotori della III edizione del Forum - persegue un’opzione chiara: offrire uno spazio di riflessione, scambio d’idee ed esperienze rivolte al mondo giovanile. Come nelle precedenti edizioni, anche questa sarà ispirata e guidata dalla Laudato sì di papa Francesco al fine di promuovere la salvaguardia della Casa comune prestando attenzione alle situazioni di emarginazione presenti nel Ciad.<br /><br />I partecipanti provengono dalle comunità locali, dove una forte sensibilizzazione ha mobilitato giovani e meno giovani, cristiani e musulmani ciadiani in vista di un rinnovato impegno per il bene del paese. Una iniziativa che va ben al di là delle barriere religiose – ci tengono a sottolineare i promotori.<br /><br />Il Paese, inoltre, continua a vivere tensioni e, dopo le recenti elezioni presidenziali sta cercando un delicato equilibrio tra le diverse esigenze, una nuova fase nella continuità. Come in tutto il Sahel si trova oggi ad affrontare cambiamenti storici e dovrà probabilmente riadattare alcune sue politiche. A maggio il consiglio costituzionale ciadiano ha confermato i risultati che hanno visto vincitore, come atteso, Mahamat Idriss Déby Itno. Sono da considerare anche le divisioni etniche interne, confermate dalle differenze regionali nella distribuzione dei voti soprattutto in un paese come il Ciad, segnato da decenni di guerra tra il nord e il sud e con importanti minoranze legate all’attività di gruppi armati in Libia, Sudan e Centrafrica.<br /><br />Da aprile 2021 a capo del Consiglio Militare di Transizione che guida il paese in seguito alla morte del padre, suo predecessore, Idriss Déby Itno, rimasto ucciso mentre partecipava ad un’azione delle sue truppe contro un movimento ribelle armato, Mahamat Idriss Déby Itno è stato proclamato vincitore con il 61%, seguito dal primo ministro del governo di transizione e principale oppositore Succès Masra al 18,5% e da un altro ex primo ministro vicino al clan dei Déby, Albert Pahimi Padacké, al 16,9%. <br /><br /> <br /><br />Mon, 22 Jul 2024 12:19:37 +0200ASIA/MYANMAR - La piaga del lavoro minorile in una nazione provata dalla guerrahttps://fides.org/it/news/75229-ASIA_MYANMAR_La_piaga_del_lavoro_minorile_in_una_nazione_provata_dalla_guerrahttps://fides.org/it/news/75229-ASIA_MYANMAR_La_piaga_del_lavoro_minorile_in_una_nazione_provata_dalla_guerraYangon - Nella tormentata nazione del Myanmar, attraversata da un conflitto civile da oltre tre anni, si registra un'esplosione del fenomeno del lavoro minorile, come rilevano osservatori della comunità internazionale, rapporti delle Nazioni Unite, e come confermano fonti dell'Agenzia Fides nella nazione. La guerra civile, infatti, ha generato una carenza di lavoratori e inoltre, negli ultimi mesi, il fenomeno dell'emigrazione dei giovani - che fuggono dal paese per evitare la legge di leva obbligatoria, approvata nel febbraio scorso - ha ulteriormente aggravato il fenomeno della scarsità di lavoratori, che si cerca di colmare ricorrendo al reclutamento di minori, da impiegare nelle mansioni più disparate. Si tratta di una grave violazioni dei diritti dell'infanzia e delle categorie più vulnerabili , hanno affermato esperti dell'Onu. Secondo gli osservatori, l'aumento del lavoro minorile è anche uno degli effetti collaterali della controversa legge sul servizio militare obbligatorio con cui la giunta militare al potere ha cercato di rimpolpare i ranghi delle sue forze armate, in seguito alle pesanti perdite subìte a causa degli attacchi coordinati delle Forse di difesa popolare e degli eserciti legati alle minoranze etniche. Per evitare di combattere nelle file dell'esercito birmano, migliaia di giovani sono fuggiti nei territori controllati dai ribelli oppure all'estero.<br />In un recente rapporto pubblicato dall'Organizzazione Internazionale del Lavoro , si rileva l'aumento dei livelli di lavoro minorile e, sebbene l’ILO non sia stata in grado di fornire cifre esatte, il testo ricorda che “i tassi di lavoro minorile nei paesi colpiti da conflitti sono superiori del 77% rispetto alle medie globali”. L'ILO ha invitato il Myanmar ad adottare misure decisive per porre fine al lavoro minorile, mentre nel paese la situazione della sicurezza è peggiorata, con oltre tre milioni di sfollati interni, un terzo dei quali sono bambini.<br />"Siamo profondamente preoccupati per il deterioramento della situazione e l'escalation del conflitto in Myanmar", ha affermato Yutong Liu, rappresentante dell'ILO per il Myanmar. "Sempre più bambini vivono in povertà, subiscono restrizioni di movimento o sono costretti a spostarsi, il che li rende sempre più vulnerabili al lavoro minorile. I bambini devono essere protetti e devono essere un faro di speranza per il futuro del Paese", ha ricordato.<br />Il lavoro minorile, notano fonti di Fides sul campo, è diffuso in vari settori, come la produzione di abbigliamento, l'agricoltura, la ristorazione, il lavoro domestico, l'edilizia, la vendita ambulante. La Federazione dei lavoratori del Myanmar nota che, in un paese in cui i lavoratori hanno già una tutela limitata dei diritti, i bambini sono particolarmente vulnerabili allo sfruttamento. Nonostante le diffuse violazioni, sono tuttavia ben poche le denunce degli abusi e le patenti violazioni dei diritti dei minori vengono spesso ignorate nelle fabbriche o dalle aziende dove spesso i minorenni cercano lavoro utilizzando carte d'identità appartenenti a parenti o amici più anziani.<br />Va notato che, nel 2020, il Myanmar ha ratificato la disposizione dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro sull'età minima lavorativa, ma il colpo di stato e poi l'esplosione del conflitto civile ha creato un autentico sconvolgimento nel tessuto sociale della nazione.<br />"Le famiglie, ridotte in povertà a causa del conflitto, spesso non non hanno altra scelta che mandare i propri figli a lavorare", nota una fonte di Fides, mentre un rapporto pubblicato nel giugno scorso dal Programma Onu per lo sviluppo ha rilevato che il 75% della popolazione del Myanmar, ovvero 42 milioni di persone, vive in povertà.<br />Riferisce un sacerdote di Yangon: "Nelle parrocchie cattoliche, laddove è ancora possibile, nelle aree meno interessate dal conflitto, si cerca di avere un'attenzione speciale per i bambini, celebrando ad esempio una speciale messa per loro, portandoli a essere vicini a Gesù in questa condizione di sofferenza per loro e per le loro famiglie, cercando di venire incontro i loro bisogni materiale, relazionali, spirituali. I bambini sono coinvolti nel canto e nella preghiera. La parrocchia è un'oasi per la loro anima e per la loro vita. Sacerdoti consacrati, laici e catechisti si prendono cura di loro".<br /> Mon, 22 Jul 2024 11:21:01 +0200AMERICA/COLOMBIA - Rinuncia del Vicario Apostolico di Tierradentrohttps://fides.org/it/news/75228-AMERICA_COLOMBIA_Rinuncia_del_Vicario_Apostolico_di_Tierradentrohttps://fides.org/it/news/75228-AMERICA_COLOMBIA_Rinuncia_del_Vicario_Apostolico_di_TierradentroCittà del Vaticano - Il Santo Padre in data 20 luglio ha accettato la rinuncia al governo pastorale del Vicariato Apostolico di Tierradentro , presentata da S.E. Mons. Oscar Augusto Múnera Ochoa.<br /> Mon, 22 Jul 2024 10:17:42 +0200ASIA/IRAQ - I vescovi Caldei: “Due popoli due Stati: la soluzione per la pace in Terra Santa”https://fides.org/it/news/75227-ASIA_IRAQ_I_vescovi_Caldei_Due_popoli_due_Stati_la_soluzione_per_la_pace_in_Terra_Santahttps://fides.org/it/news/75227-ASIA_IRAQ_I_vescovi_Caldei_Due_popoli_due_Stati_la_soluzione_per_la_pace_in_Terra_SantaBaghdad – Due popoli, due Stati. I vescovi Caldei, riuniti a Baghdad per l’annuale Sinodo della Chiesa caldea, guardano con preoccupazione ai tanti conflitti che lacerano il Medio Oriente, puntando lo sguardo soprattutto sulla situazione in Terra Santa.<br /><br />I presuli, si legge in un comunicato diffuso al termine dell’assemblea, svoltasi dal 15 al 19 luglio presso la sede patriarcale di Al-Mansour, prima di iniziare i lavori, hanno inviato una lettera al Pontefice, “chiedendo la sua benedizione paterna e le sue preghiere affinché le discussioni del Sinodo siano fruttuose per il benessere della Chiesa e del Paese”.<br /><br />Diversi i temi affrontanti. Ogni riunione, sottolineano, si è svolta “in un clima di familiarità, democrazia e fratellanza, che ha permesso loro di mettere in luce alcuni aspetti” sulla vita delle comunità cristiane che vivono in Medio Oriente, a partire dalla guerra in Terra Santa e dalle sue conseguenze sull’intera regione<br /><br />I vescovi del Sinodo caldeonpresieduto dal Patriarca Louis Raphael Sako,, oltre a esprimere “la loro profonda preoccupazione”, “condannano la violenza sotto tutte le forme”. Quindi l’invito, rivolto alla Comunità Internazionale affinché si adoperi seriamente “a proteggere e affermare sempre la pace”, così da “porre fine immediatamente alla guerra”. Sulle possibili soluzioni, i vescovi caldei sposano la linea che più volte ha espresso anche Papa Francesco, ovvero quella dei due popoli in due Stati “confinanti che vivano in pace, sicurezza, stabilità e fiducia reciproca”.<br /><br />Lo sguardo dei Vescovi caldei è andato poi al popolo cristiano che vive nella regione, un popolo che “ha sofferto molto negli ultimi due decenni a causa della privazione dei propri diritti, dell'emarginazione, dell'esclusione” sociale e per il sequestro “di beni e proprietà”. Soprusi “che hanno costretto molti cristiani a emigrare in cerca di un ambiente migliore”.<br /><br />I vescovi invitano pertanto “il nostro stimato governo a essere equo nel trattamento della comunità cristiana, dando loro fiducia e rafforzando la cooperazione, a livello nazionale, beneficiando delle competenze di tutti per sviluppare questo Paese”. Non solo: dal Sinodo arriva anche la richiesta, sempre indirizzata al governo, di “rispettare pienamente i loro diritti come cittadini, con pari rappresentanza e occupazione”.<br /><br />Da qui anche una riflessione sul futuro dei cristiani in Medio Oriente. Riguardo a questo tema, i il Sinodo caldeo rinnova “l'appello del Patriarca Sako all'unità e alla solidarietà. La nostra fede e la nostra terra sono i pilastri che ci accomunano”. Esprimendo poi “la nostra fraterna simpatia ai vescovi dei Paesi vicini”, i Padri sinodali caldei sono convinti “che la Chiesa ha bisogno di una nuova visione del futuro tanto quanto abbiamo bisogno di coraggiosi passi pratici per stabilizzare i cristiani nella loro terra, preservando la loro identità e migliorando il loro ruolo e la loro presenza nella società”.<br /><br />“L'unità – rimarcano – è la nostra forza e salvezza. Nonostante le ferite, continuiamo ad amare i nostri paesi e i nostri cittadini, e vorremmo collaborare con loro nel diffondere una cultura di convivenza, nel rispetto delle differenze degli altri consolidando la speranza verso una società giusta e civile”.<br /><br />Infine, poiché il Sinodo si è tenuto subito dopo il ritorno di Sua Beatitudine alla sede ufficiale del Patriarcato a Baghdad, i vescovi caldei hanno apprezzato ed espresso la loro gratitudine per l'iniziativa “legale e coraggiosa” del Primo Ministro, Muhammad Shiaa Al-Sudani, che ha emanato un decreto nel quale si conferma la designazione del Patriarca Sako a capo della Chiesa caldea affidando al cardinale la gestione dei beni.<br /><br />Patriarca e Vescovi, si legge ancora nel comunicato finale, esprimono “la speranza che il governo, insieme ai partiti, adotti misure concrete per costruire la pace e stabilità, implementando le leggi, ripristinando l'unità nazionale, rafforzando il concetto di cittadinanza e fornendo servizi pubblici adeguati così da garantire una vita dignitosa a tutti i cittadini”. Da qui anche l’appello a dare “priorità agli interessi del popolo iracheno”. Sat, 20 Jul 2024 16:25:07 +0200ASIA/CINA - “Sale della terra, luce del mondo”. 11 nuovi laureati nel Seminario Maggiore della provincia di Shaanxihttps://fides.org/it/news/75226-ASIA_CINA_Sale_della_terra_luce_del_mondo_11_nuovi_laureati_nel_Seminario_Maggiore_della_provincia_di_Shaanxihttps://fides.org/it/news/75226-ASIA_CINA_Sale_della_terra_luce_del_mondo_11_nuovi_laureati_nel_Seminario_Maggiore_della_provincia_di_ShaanxiXi’an – “Siate consapevoli della sacra chiamata del Signore, e abbiate uno spirito ecclesiale”. Con queste raccomandazioni Antonio Dang Mingyan, Arcivescovo di Xi’an e Rettore del Seminario filosofico e teologico della provincia di Shaanxi si è rivolto agli 11 neo-laureati durante la cerimonia di fine anno accademico svolta nell’Aula Magna a inizio luglio. Il vescovo ha conferito ai neolaureati titoli di laurea in Teologia dogmatica, teologia morale, teologia biblica e spirituale. “All'inizio, tutti noi sacerdoti e suore siamo molto zelanti, ma con il passare del tempo, c'è un senso di inerzia, e si fa sentire l’influsso della secolarizzazione. Di conseguenza, il fuoco interiore dell’annuncio a volte si indebolisce. Quindi bisogna sempre riscoprire la sacra chiamata del Signore”. “Noi” ha proseguito il Vescovo Dang “dobbiamo essere attenti a ciò che facciamo e diciamo. Dobbiamo dare il buon esempio e tenerci lontani dalla mondanità. Dobbiamo agire nello spirito della Chiesa diventando ‘sale della terra e luce del mondo’, per indicare a tutti la strada che porta al Regno di Dio”. <br />I 9 docenti del Seminario hanno concelebrato la solenne liturgia di ringraziamento al Signore insieme al Vescovo Antonio Dang. Il Vice rettore, don Li Jingxi, ha espresso i suoi più sinceri auguri ai diplomati e la sua gratitudine per tutti coloro che hanno accompagnato il cammino vocazionale dei giovani del Seminario , invitando tutti “a mantenere un atteggiamento di apprendimento permanente per continuare vivere la vita cristiana nell'amore di Dio”. I neo-laureati hanno ringraziato il Seminario assicurando la propria preghiera per la affinché le sue attività possano proseguire a vantaggio della formazione degli studenti di oggi e degli iscritti futuri. <br />In queste settimane nei seminari della Chiesa di Cina si sta vivendo la “stagione del raccolto”. Dopo sei anni di formazione teologica, filosofica, spirituale ed umana, I neo-laureati e diplomati sono chiamati a offrire le loro fresche energie all’opera pastorale che li attende nel tempo che viene, al servizio del popolo di Dio. <br />Sat, 20 Jul 2024 15:32:38 +0200AMERICA/BOLIVIA - Testimonianze, riflessioni e preghiere all’VIII Congresso Missionario boliviano, in preparazione al CAM6https://fides.org/it/news/75223-AMERICA_BOLIVIA_Testimonianze_riflessioni_e_preghiere_all_VIII_Congresso_Missionario_boliviano_in_preparazione_al_CAM6https://fides.org/it/news/75223-AMERICA_BOLIVIA_Testimonianze_riflessioni_e_preghiere_all_VIII_Congresso_Missionario_boliviano_in_preparazione_al_CAM6Oruro – Una settimana densa la scorsa per gli oltre 400 partecipanti dell’VIII congresso missionario nazionale boliviano, tappa fondamentale di riflessione e confronto in preparazione al Congresso Americano Missionario in programma a Porto Rico il prossimo novembre.<br />È stata la diocesi di Oruro ad ospitare nelle famiglie i congressisti provenienti dalle 18 giurisdizioni ecclesiastiche. Tra loro vescovi, suore, religiosi, laici, giovani missionari e missionarie rappresentanti delle diverse aree e ambiti pastorali.<br />"La Bolivia, con la forza dello Spirito, testimoni di Cristo" il filo conduttore della “cinque giorni” in cui le celebrazioni eucaristiche e l’adorazione eucaristica si sono alternate ai momenti di preghiera nelle parrocchie, alle esperienze missionarie nei quartieri, al discernimento e alla riflessione comunitaria.<br />Obiettivo generale: ravvivare il fervore missionario nella Chiesa, per rispondere efficacemente alle urgenze pastorali che comportano anche l’andare incontro all’altro ed il prendersi cura dell’ambiente. <br />Il lavoro del Congresso si è sviluppato attorno a quattro assi teologici: “Comunione nel cammino sinodale”, “Spiritualità missionaria”, “Custodi del creato”, “Linguaggio e stile dell'ambiente digitale”, 14 laboratori che hanno messo in luce il lavoro della Chiesa in Bolivia, i momenti di preghiera e di fraternizzazione, la condivisione dei missionari. Tutti aspetti che sono stati evidenziati nella conclusione finale del Congresso presentata e letta durante la Celebrazione Eucaristica di chiusura svoltasi nel Santuario di Socavón. <br />“Essere missionario significa aprirsi a tutte le persone, a tutte le culture, portare la Parola di Dio e farla conoscere a tutta l'umanità e a tutti i popoli” ha ricordato Cristóbal Bialasik, Vescovo della diocesi di Oruro che insieme alla Conferenza Episcopale e a Adolfo Bittschi, Vescovo ausiliare dell'arcidiocesi di Sucre e Direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie della Bolivia, hanno lavorato in sinergia per questo importante appuntamento.<br />A conclusione del Congresso Missionario Nazionale l’annuncio del successivo che si svolgerà nel 2028 nella Diocesi di Tarija.<br /> <br /><br />Sat, 20 Jul 2024 14:33:38 +0200ASIA/PAKISTAN - Età legale per il matrimonio cristiano a 18 anni: un passo avanti per proteggere le ragazze e abbandonare i matrimoni precocihttps://fides.org/it/news/75225-ASIA_PAKISTAN_Eta_legale_per_il_matrimonio_cristiano_a_18_anni_un_passo_avanti_per_proteggere_le_ragazze_e_abbandonare_i_matrimoni_precocihttps://fides.org/it/news/75225-ASIA_PAKISTAN_Eta_legale_per_il_matrimonio_cristiano_a_18_anni_un_passo_avanti_per_proteggere_le_ragazze_e_abbandonare_i_matrimoni_precociIslamabad - L'aggiornamento alla legge sul matrimonio cristiano in Pakistan rappresenta un passo avanti importante per proteggere le ragazze dai matrimoni precoci, afferma Kamran Michael, politico di fede cristiana ed ex senatore, che negli ultimi anni ha promosso all'attenzione delle istituzioni come la protezione dei diritti dei minori e delle persone più vulnerabili. Con un provvedimento che ha riscosso ampio consenso, sia nella comunità politica sia nelle comunità ecclesiali del Pakistan, il 9 luglio scorso la Assemblea nazionale del Pakistan ha innalzato a 18 anni l'età legale per il matrimonio per i ragazzi e le ragazze appartenenti alla comunità cristiana, adeguando così le disposizioni sul matrimonio cristiano agli standard pakistani in materia di tutela dei minori. Il disegno di legge intitolato "Legge di modifica sul matrimonio cristiano 2024" è stato presentato da un membro cristiano dell'Assemblea nazionale, Naveed Amir Jeeva, allo scopo di aggiornare la legge sul matrimonio cristiano del 1872, che in precedenza fissava l'età del matrimonio a 16 anni per i ragazzi e 13 per le ragazze. Era stato proprio il politico cristiano Kamran Michael, senatore nella scorsa legislatura, a proporre per la prima volta l'emendamento al Senato nel gennaio del 2023, sottolineando che aumentare l'età del matrimonio era essenziale per proteggere le bambine e le ragazze dagli abusi sessuali e dalle conversioni forzate. "Lo stato ha il dovere di proteggere i bambini dallo sfruttamento e di sostenere i loro diritti", ha detto esprimendo soddisfazione per l'iter di legge che, dopo l'approvazione di entrambe le camere , attende ora la firma del Presidente per diventare legge a tutti gli effetti ed entrare in vigore. <br />La modifica della legge mira anche a garantire la tutela dei diritti fondamentali dei minori, in particolare il diritto all'istruzione, alla salute, ha rimarcato, accogliendo l'approvazione delle Chiese di tutte le confessioni in Pakistan. "L'emendamento aiuterà a prevenire i matrimoni forzati di ragazze cristiane minorenni", ha affermato con soddisfazione il Vescovo Azad Marshall, presidente della Chiesa anglicana del Pakistan e del Consiglio nazionale delle chiese in Pakistan. "Il passo risulta significativo perchè apre la strada a possibili interventi su temi collegati, come le conversioni forzate di ragazze minorenni e l'uso improprio delle leggi sulla blasfemia", ha affermato, invitando tutte le Chiese cristiane nella nazione a istituire un tavolo congiunto per segnalare al Parlamento tematiche importanti per la vita e la sicurezza delle comunità di fede cristiana nella nazione.<br />Anche la Conferenza episcopale cattolica del Pakistan, tramite la Commissione nazionale "Giustizia e pace" , ha accolto con favore l'emendamento: il vescovo Samson Shukardin, Direttore nazionale della Commissione e padre Bernard Emmanuel, direttore esecutivo, esprimendo "sincero apprezzamento all'intero Parlamento", hanno affermato che "questa è una richiesta che la comunità cristiana avanza da tempo", ed è una disposizione "cruciale nel proteggere le nostre ragazze minorenni", auspicando che "il governo adotti ulteriori misure per criminalizzare le conversioni religiose forzate" al fine di tutelare i cittadini non musulmani come le comunità indù e cristiane, che si trovano ad affrontare problemi in tal senso. Il fenomeno, infatti, si collega a quello del rapimento e delle conversioni forzate di ragazze cristiane e indù all'islam, dato che la Sharia consente alle ragazze che raggiungono la pubertà di essere considerate "adulte", dunque età possibile di matrimonio.<br />Nell'aprile scorso un team di esperti delle Nazioni Unite ha invitato il Pakistan ad approvare misure legislative per proteggere la vulnerabilità delle donne e delle ragazze appartenenti a fedi minoritarie, soprattutto per i matrimoni forzati e le conversioni religiose forzate, chiedendo al Pakistan di innalzare l'età legale per il matrimonio delle ragazze a 18 anni, come misura di natura deterrente. Gli esperti hanno notato che matrimoni forzati e le conversioni religiose di ragazze appartenenti a fedi minoritarie sono stati “convalidati dai tribunali", ma "i matrimoni infantili, precoci e forzati non possono essere giustificati per motivi religiosi o culturali", sottolineando la necessità di disposizioni "volte a invalidare, annullare o sciogliere i matrimoni contratti sotto costrizione". Il gruppo di lavoro dell'Onu includeva la relatrice speciale sulla libertà di religione e credo, Nazila Ghanea; la relatrice speciale sulle questioni delle minoranze Nicolas Levrat; la relatrice speciale sulla tratta di esseri umani Siobhan Mullally; la relatrice speciale sulle forme contemporanee di schiavitù Tomoya Obokata.<br />Secondo dati di organizzazioni della società civile, ogni anno circa 1.000 ragazze minorenni di religione cristiana o indù in Pakistan vengono rapite e convertite con la forza, e sposate dai loro rapitori.<br /> Fri, 19 Jul 2024 12:59:02 +0200