VATIKAN - Zwischen Erinnerung und Prophezeiung: Einblicke in die Dokumente des "Konzils von Shanghai“

Mittwoch, 22 Mai 2024 mission   inkulturation   ortskirchen  

photo Teresa Tseng Kuang Yi

von Gianni Valente

Wir veröffentlichen den Beitrag des Direktors des Fidesdienstes anlässlich der internationalen Konferenz "100 Jahre Concilium Sinense: zwischen Geschichte und Gegenwart" (Päpstliche Universität Urbaniana, 21. Mai 2024) im Wortlaut in italienischer und englischer Fassung:

ITALIANO (ORIGINALE)

Città del Vaticano (Agenzia Fides) - La grande intuizione missionaria di dell’Arcivescovo Celso Costantini e del Concilio di Shanghai non rimane alle dichiarazioni di principio, ma si concretizza in una serie infinita di disposizioni nette e dettagliate, disseminate nelle norme, nei decreti e nei voti poi approvati dalla Santa Sede e promulgati dopo il Concilio.

Breve premessa: il Concilium Sinense è come un fiume che scorre lungo due “argini”: il Codice di Diritto Canonico - che era stato pubblicato nel 1917, e di cui i documenti del Concilio ricalcano per buona parte lo schema - e la Lettera apostolica Maximum Illud, pubblicata da Papa Benedetto XV nel 1919.
I testi del Concilium Sinense sono letteralmente imbevuti di riferimenti al Codex Iuris Canonici del 1917 e alla Maximum Illud. Questo vuol dire che il Concilio cammina nel solco della grande disciplina della Chiesa, e proprio in questo camminare nel solco della Tradizione fioriscono soluzioni audaci e innovative, con quegli adattamenti alle situazioni particolari che costituiscono sempre la forza e la efficacia creativa di quello che viene chiamato il Diritto Missionario

FUORI DALL’IPOTECA COLONIALE
Molti dei decreti, delle norme e dei voti del Concilio di Shanghai sono attraversati dal un filo rosso che li accomuna: l’urgenza di affrancare le presenze e le opere cattoliche in Cina da tutto ciò che può far apparire la Chiesa come una entità para-coloniale asservita ai potentati stranieri. Viene continuamente riaffermata la necessità di non identificare il cristianesimo come correlato religioso delle politiche occidentali imperialiste.
Faccio riferimento a alcune di queste disposizioni.
- In primis, ai missionari stranieri il Concilio chiede di congedarsi da ogni coinvolgimento in iniziative politiche e commerciali con la propria Patria e altre nazioni estere, di non iscriversi a associazioni politiche se non con la speciale dispensa del proprio vescovo.

- Il Canone 25 dispone che la predicazione e l’opera dei missionari deve evitare di «confermare presso gli autoctoni l’inveterato pregiudizio che la propagazione della fede serva ai procurare vantaggio all’una o all’altra nazione».
- Le scritte e le insegne sulle chiese e le case missionarie devono essere in caratteri cinesi, e non devono contenere riferimenti a nazioni e popoli stranieri. Tutte le giuste leggi della Repubblica cinese devono essere osservate dai fedeli e dai missionari.
- Riguardo alle disposizioni presenti nei cosiddetti “Trattati ineguali” che ancora garantiscono la protezione delle missioni cattoliche da parte di Poteri stranieri, il Concilio rimette tutta la questione del cosiddetto “Protettorato” alle decisioni della Santa Sede. Nel frattempo, da dispoze ai missionari di ricorrere il meno possibile all’aiuto di potenze esterne, specificando che ciò deve avvenire solo in casi di emergenza che non possono essere risolti in altro modo.

- Il primo dei 26 Vota espressi dal Concilio fa appello a un decreto precedente della Congregazione di Propaganda Fide (26 marzo 1924) per chiedere che vengano rimosse da chiese e case missionarie le bandiere e i contrassegni di nazioni straniere, in precedenza esposte. Questo - spiega il Votum - serve a evitare di esporre i cattolici che frequentano quelle chiese e missioni all’accusa di essere anti-patriottici.

- Nei decreti dedicati alla costruzione di chiese e edifici delle missioni (da §448 a § 453) si raccomanda l’uso dello stile architettonico cinese, per distanziarsi dalle architetture europee e non essere assimilati ai quartieri delle legazioni straniere, quartieri - si sottolinea - che appaiono “detestabili” ai cittadini cinesi.

- Il Concilio riconosce che l’amore per la propria nazione anche quello dei missionari stranieri - è legittimo e va tutelato. Ma in caso di scontro tra la Cina e i Paesi stranieri, i missionari vengono invitati a agire con prudenza e mantenere un atteggiamento di neutralità, evitando che il rancore verso le potenze straniere si riversi contro le missioni.

- Ai missionari si chiede di coltivare relazioni amichevoli con le autorità cinesi, moltiplicando i contatti per far crescere la stima verso la Chiesa nella società cinese. «Grazie ai buoni rapporti con le autorità» si legge nel canone 698 «si dissipano pregiudizi», talvolta «si evitano persecuzioni» e si ottengono «più facilmente» vantaggi per la Chiesa.

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Tante norme e decreti contengono disposizioni volte a liberare anche i missionari da consuetudini che appaiono come retaggi dell’epoca coloniale. La premessa - espressa ad esempio nel canone 18 - è che «Nessun istituto deve considerare la missione come affar proprio, né considerare la missione come proprietà delle sue istituzioni».
Una delle disposizioni più emblematiche è a tal riguardo l’abolizione delle prostrazioni e dei diritti di precedenza negli eventi pubblici.

Prima del Concilio, i battezzati e erano tenuti a prostrarsi davanti ai missionari come segno di rispetto. La pratica veniva giustificata richiamandosi anche al cerimoniale cinese riservato alle persone autorevoli.
Il canone conciliare 54 abolisce le prostrazioni e le sostituisce con un semplice inchino della testa, adeguandosi all’uso ormai prevalso nella Repubblica cinese. Un cambiamento, questo, fortemente voluto da Costantini, che al suo arrivo in Cina era rimasto turbato dalla vista delle prostrazioni riservate ai missionari.

Le norme e i decreti del Concilium Sinense chiedono ai missionari tante altre cose. Li esortano a studiare approfonditamente la lingua locale, per arrivar a parlare cinese in maniera fluente e corretta, senza accontentarsi di infarinature approssimative; Ricordano loro che non devono criticare le abitudini, i costumi e le leggi del popolo cinese; riguardo ai vestiti, si richiamano i missionari a vestire il loro abito religioso, evitando di indossare vestiti secolari di foggia occidentale; i missionari vengono richiamati anche a evitare di promuovere lo studio della propria lingua madre.

TUTTO PER ANNUNCIARE CRISTO
Ma gli atti del Concilium Sinense non sono un prontuario di correzione degli errori del passato. Ogni pagina degli atti guarda al futuro. Si cerca scampo dalle zavorre del colonialismo per chiedere con più animo che in Cina possa fiorire una giovane Chiesa missionaria e autoctona.
Il Concilium Sinense ripete che una Chiesa può dirsi davvero radicata in un luogo quando essa è autosufficiente, con i propri edifici ecclesiastici e il proprio clero autoctono.
Il canone 131 dispone che nessun ufficio ecclesiastico sia precluso ai sacerdoti indigeni che se ne mostrino idonei. Il canone 132 chiede che si cominci presto a cercare tra i sacerdoti cinesi candidati all’episcopato.
Dietro ai richiami a coltivare rapporti fraterni tra sacerdoti occorre immaginare anche le tensioni tra missionari e clero indigeno, nel contesto di una Chiesa guidata da Vescovi tutti provenienti da altri Paesi. Talvolta, il senso di supponenza di membri delle congregazioni missionarie verso i sacerdoti autoctoni arrivava a assumere toni discriminatori con punte di razzismo.

Il Concilium Sinense promuove la fondazione di congregazioni religiose indigene. Viene messa in agenda la costituzione di comitati di esperti per la traduzione in cinese delle Sacre Scritture e di altri comitati per la cura di catechismi, libri scolastici e bollettini stampa.
58 articoli sono dedicate alle scuole e alle opere educative. Altri alle opere di carità, sottolineando che tali opere non sono imprese di assistenza sociale, e che nella carità verso i poveri e gli afflitti risplende la «gloria di Dio» e il Suo operare «per la salvezza delle anime».
Molti canoni vengono riservati ai laici, alla urgenza di favorire la nascita di associazioni laicali, e soprattutto all’opera dei catechisti. Il Titolo 47 dedica 8 canoni ai catechisti, chiedendo che siano ben preparati e animati da fervore apostolico, per non essere guardati dai non cristiani come salariati mercenari della predicazione.
Quando non ci sono sacerdoti, i laici responsabili della comunità hanno anche il mandato di celebrare i battesimi, benedire i matrimoni e convocare la comunità alla preghiera.
Altre indicazioni interessanti contenute nel IV Libro (De Evangelizationis opere) sono l’invito ai Vicari a scrivere lettere pastorali «frequenti e brevi» per seguire da padri il cammino della comunità, e anche il richiamo a fare on modo che la comunione ecclesiale si strutturi negli organismi collegiali istituiti dal Codice di Diritto Canonico.
Il Canone 584 richiama la necessità di svolgere Concili, Sinodi, incontri del clero nei singoli Vicariati e anche periodici Concili regionali e plenari, questi ultimi almeno uno ogni 20 anni.
Inoltre, uno dei Vota sottopone alla Santa Sede la richiesta di disporre una nuova suddivisione delle regioni e circoscrizioni ecclesiastiche, passando dalle 5 regioni esistenti a 17 circoscrizioni ecclesiastiche, corrispondenti in linea di massima alle suddivisioni delle province civili di allora.

SERVIRE IL POPOLO CINESE
Gli atti del Concilium Sinense sono disseminati di note e disposizioni rivolte a manifestare rispetto e vicinanza verso il popolo cinese. Si raccomanda di valorizzare le virtù tradizionali cinesi come la pietà filiale verso i genitori, pur vietando ai cattolici la pratica dei matrimoni programmati dalle famiglie per propri figli ancora in età infantile.
Permangono le prese di distanze da pratiche definite “superstiziose” collegate ai funerali, e anche le proibizioni dei “Riti Cinesi”. Ricordiamo che la nefasta questione dei “Riti Cinesi” (come la definiva l’Arcivescovo Costantini) non si è ancora conclusa. Nello stesso tempo, viene detto di mettere da parte ogni complesso di superiorità verso le culture e le consuetudini cinesi.
Il canone 709 riconosce che molte superstizioni sono cresciute sui tronchi del confucianesimo, del buddismo e del taoismo, ma da indicazione di guardare a Confucio, Mencius e Laozi come filosofi vissuti prima di Cristo, che hanno riconosciuto e seguito valori importanti, e se certo non possono essere “divinizzati”, nemmeno vanno demonizzati o respinti.
C’è una questione specifica che appare piena di implicazioni, nel quadro delle opere incentivate dal Concilio a servizio del popolo cinese. E’ quello che il Concilio dispone riguardo alla piaga del consumo di oppio, che a causa delle geopolitiche criminali delle potenze occidentali mieteva vittime tra la popolazione cinese.
La Chiesa cattolica, al Concilio di Shanghai, da disposizioni dettagliate per contribuire a estirpare quel flagello. Si chiede ai Vicari di costituire comitati di laici per animare campagne di contrasto al traffico di oppio (canone 431). La coltivazione e il consumo di oppio vengono proibiti ai cattolici (canone 432).
E’ noto cosa voleva dire il traffico d’oppio nella Cina di allora riguardo ai suoi rapporti con le potenze occidentali. L’Inghilterra bombardava i porti cinesi e aveva aperto le famose “Guerre dell’Oppio” per piegare a colpi di cannone le resistenze cinesi al narcotraffico. Si tratta di uno dei passaggi criminali delle politiche coloniali verso la Cina. E al Concilio di Shanghai, la scelta di campo della Chiesa appare chiara.

Una ultima annotazione: il Concilium Sinense fu praticamente ignorato dalla stampa missionaria di allora. Le riviste più rilevanti di quel settore editoriale si limitarono a ripubblicare un articolo dell’Osservatore Romano. Avevano riservato più o meno lo stesso trattamento alla Maximum Illud.
A distanza di cento anni, si può dire che persero una buona occasione per fare il loro mestiere, Chiusi nei loro stereotipi, i responsabili dei bollettini missionari di allora non si accorsero di quello che stava passando loro per le mani. Non si accorsero che in qualche modo, anche nel Concilio di Shanghai si era avvertito un riverbero del mistero che fa vivere la Chiesa e la fa camminare nel tempo.

ENGLISH

Vatican City (Agenzia Fides) - The great missionary intuition of Archbishop Celso Costantini and the Council of Shanghai does not stop at declarations of principle, but takes concrete form in an infinite series of clear and detailed provisions, scattered in the norms, decrees and vows later approved by the Holy See and promulgated after the Council.

Brief introduction: the Concilium Sinense is like a river that flows along two "banks": the Code of Canon Law - which had been published in 1917, and whose guidelines are largely followed in the Council documents - and the Apostolic Letter Maximum Illud, published by Pope Benedict XV in 1919.
The texts of the Concilium Sinense are literally imbued with references to the 1917 Codex Iuris Canonici and Maximum Illud. This means that the Council walks in the wake of the great discipline of the Church, and it is precisely in this walk in the wake of Tradition, that bold and innovative solutions flourish, with those adaptations to particular situations that always constitute the strength and creative effectiveness of what is called the Missionary Law.

FREE FROM COLONIAL BALLAST
Many decrees, norms and wishes of the Council of Shanghai have a common thread: the urgency to free Catholic presences and works in China from anything that could make the Church appear as a para-colonial entity subject to foreign potentates. The need not to identify Christianity as a religious correlate of western imperialist policies is constantly reaffirmed.
I refer to some of these provisions.
- First and foremost, the Council asks foreign missionaries to renounce all involvement in political and commercial initiatives with their homeland and other foreign nations, and not to join political associations, except with the special dispensation of their bishop.

- Canon 25 states that the preaching and work of missionaries must avoid "confirming among the natives the deep-rooted prejudice according to which the propagation of the faith serves the interest of one nation or another".

- Inscriptions and signs on churches and mission houses must be in Chinese characters and must not contain references to foreign nations and peoples. All laws of the Republic of China must be respected by believers and missionaries.

- Regarding the provisions present in the so-called "Unequal Treaties" that still guarantee the protection of Catholic missions by foreign Powers, the Council refers the entire question of the so-called "Protectorate" to the decisions of the Holy See. In the meantime, it asks missionaries to resort as little as possible to help from external powers, specifying that this should only be done in cases of emergency that cannot be resolved in any other way.

- The first of the 26 ‘Vota’ issued by the Council appeals to a previous decree of the Congregation of Propaganda Fide (March 26, 1924) to request that flags and insignia of foreign nations, previously displayed, be removed from churches and missionary houses. This - the Votum explains - is to prevent Catholics who attend these churches and missions from being accused of anti-patriotism.

- In the decrees dedicated to the construction of churches and mission buildings (from §448 to § 453) the use of the Chinese architectural style is recommended, in order to distance itself from European architecture and not be assimilated with the neighborhoods of foreign legations, neighborhoods - it is emphasized - that appear "detestable" to Chinese citizens.

- The Council recognizes that love for one's own nation, including that of foreign missionaries, is legitimate and must be protected. But in the event of conflict between China and foreign countries, missionaries are urged to act cautiously and maintain an attitude of neutrality, preventing resentment towards foreign powers from damaging the missions.

- Missionaries are asked to cultivate friendly relations with the Chinese authorities, by increasing contacts in order to raise the esteem of the Church in Chinese society. "Thanks to good relations with the authorities," we read in canon 698, "prejudices are dispelled, persecution is sometimes avoided and benefits for the Church are more easily obtained".

- Many norms and decrees contain provisions also aimed at freeing missionaries from customs which seem to be legacies of the colonial era. The principle – expressed, for example in canon 18 - is that "No institution must consider the mission as its own business, nor consider the mission as the property of its institutions".
One of the most emblematic provisions in this regard is the abolition of prostrations and rights of precedence in public events.

Before the Council, the baptized had to prostrate themselves before the missionaries as a sign of respect. This practice was also justified by a reference to Chinese ceremonial reserved for people in positions of authority. Canon 54 of the Council abolishes prostrations and replaces them with a simple bow of the head, in accordance with the custom currently prevailing in the Republic of China. This change was strongly desired by Constantini who, upon his arrival in China, had been disturbed by the spectacle of the prostrations reserved for missionaries.

The norms and decrees of the Concilium Sinense require many other things from missionaries. They urge them to study the local language in depth, so that they can speak Chinese fluently and correctly, without settling for rough scraps; they remind them that they should not criticize the habits, customs and laws of the Chinese people; regarding clothing, missionaries are reminded to dress according to their religious habit, avoiding wearing secular Western-style clothes; missionaries are also reminded to avoid encouraging the study of their native language.

EVERYTHING TO ANNOUNCE CHRIST
But the acts of the Concilium Sinense are not a manual for correcting the errors of the past. Every page of the acts looks to the future. It searches for an escape from the ballast of colonialism in order to ask more fervently for a young missionary and indigenous Church to flourish in China.
The Concilium Sinense repeats that a Church can be said to be truly rooted in a place when it is self-sufficient, with its own church buildings and indigenous clergy.
Canon 131 provides that no ecclesiastical office should be refused to indigenous priests who prove themselves capable of exercising it. Canon 132 calls for an early search for candidates for the episcopate among Chinese priests.
Behind the calls to cultivate fraternal relations between priests, it is also necessary to imagine the tensions between missionaries and indigenous clergy, in the context of a Church led by Bishops who all come from other countries. At times, the sense of arrogance of members of missionary congregations towards indigenous priests went so far as to assume discriminatory tones with hints of racism.

The Concilium Sinense encourages the founding of indigenous religious congregations. The creation of expert committees for the translation of the Holy Scriptures into Chinese and other committees for the development of catechisms, school books and press bulletins is on the agenda. 58 articles are dedicated to schools and educational works. Others are dedicated to works of charity, emphasizing that these works are not welfare undertakings, and that in charity towards the poor and the afflicted the "glory of God" and his work "for the salvation of souls" shines.
Many canons are reserved for the laity, with the urgency of encouraging the birth of lay associations and especially the work of catechists. Title 47 dedicates 8 canons to catechists, asking them to be well prepared and animated by apostolic fervor, so as not to be considered by non-Christians as mercenary employees of preaching.
In the absence of priests, the lay people responsible for the community also have the mandate to celebrate baptisms, bless marriages and call the community to prayer.
Other interesting indications contained in Book IV (De Evangelizationis opere) are the invitation to the Vicars to write "frequent and brief" pastoral letters to follow the progress of the community as fathers, as well as the call to ensure that ecclesial communion is structured in the collegial bodies established by the Code of Canon Law.
Canon 584 recalls the need to hold Councils, Synods, meetings of the clergy in the different vicariates, as well as periodic regional and plenary Councils, the latter at least once every 20 years.
Furthermore, one of the ‘Vota’ asks the Holy See to proceed with a new subdivision of the ecclesiastical regions and circumscriptions, going from the 5 existing regions to 17 ecclesiastical circumscriptions, corresponding in principle to the subdivisions of the civil provinces of the time.

SERVING THE CHINESE PEOPLE
The acts of the Concilium Sinense are full of notes and provisions aimed at showing respect and closeness to the Chinese people. It is recommended to promote the traditional Chinese virtues such as filial piety towards parents, while prohibiting Catholics from the practice of marriages planned by families for their children while still young. Distances from practices described as “superstitious” linked to funerals remain, as do the prohibitions relating to "Chinese Rites". Let us remember that the infamous question of "Chinese Rites" (as Archbishop Costantini defined it) has not yet ended. At the same time, we are asked to put aside any superiority complex with regard to Chinese cultures and customs.
Canon 709 recognizes that many superstitions grew on the basis of Confucianism, Buddhism and Taoism, but it indicates that Confucius, Mencius and Laozi should be considered as philosophers who lived before Christ, who recognized and followed important values and which, while they certainly cannot be “deified”, should not be demonized or rejected either. There is a specific issue that seems full of implications for the work promoted by the Council in serving the Chinese people. These are the provisions made by the Council concerning the scourge of opium consumption, which, due to the criminal geopolitics of the Western powers, was claiming victims among the Chinese population. The Catholic Church, at the Council of Shanghai, gave detailed provisions to contribute to the eradication of this scourge. Vicars are invited to set up lay committees to lead campaigns against opium trafficking (Canon 431). The cultivation and consumption of opium are prohibited for Catholics (canon 432).
It is well known what the opium trade meant for China at the time in terms of relations with Western powers. England bombed Chinese ports and opened the famous “opium wars” to crush Chinese resistance to the drug trade. This was one of the criminal stages of the colonial policy towards China. At the Council of Shanghai, the Church's choice appears clear.

One final note: the Concilium Sinense was virtually ignored by the missionary press at the time. The most important magazines in this editorial sector limited themselves to republishing an article from L'Osservatore Romano. They reserved more or less the same treatment for Maximum Illud. A hundred years later, we can say that they missed a good opportunity to do their job. Closed in their stereotypes, the publishers of missionary magazines of the time did not realize what was passing through their hands. They did not realize that, somehow, even within the Council of Shangha, a reverberation of the mystery that makes the Church live and walk through time had been felt.
(Agenzia Fides 22/5/2024)


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