ASIA - L’antica Chiesa d’Oriente in Cina. Una prospettiva missionaria  

venerdì, 26 luglio 2024 missione   monachesimo   chiese locali   inculturazione   dialogo  

Cina.org

di Gianni Valente  

(Pubblichiamo di seguito l’intervento del Direttore dell’Agenzia Fides al 2024 Xi’an International Jingjiao Forum, Il Convegno internazionale 2024 sulla Chiesa siriaca d’Oriente (Jingjiao in cinese) svoltosi dal 5 al 7 luglio presso lo Shaanxi Hotel di Xi’an)
 
Xi’an (Agenzia Fides) - Nell’autunno 2022 ho avuto la fortuna di intervistare a Roma per l’Agenzia Fides Mar Awa III Royel, Patriarca della Chiesa assira d’Oriente.
Si tratta di una Chiesa che adesso è esigua dal punto di vista numerico, ma ha una lunga storia, e rappresenta un’erede diretta di quella Antica Chiesa d’Oriente che nei primi secoli del cristianesimo fu al centro di una straordinaria avventura missionaria. Una avventura che portò l’annuncio cristiano dal Medio Oriente fino alla Penisola arabica, in India a anche in Cina.
Nell’intervista chiesi a Mar Awa quale era secondo lui il segreto di quella grande avventura missionaria. Il giovane Patriarca della Chiesa assira mi rispose che i missionari della antica Chiesa d’Oriente erano un “esercito” singolare, un esercito di tipo spirituale. Ricordò che si trattava soprattutto di monaci e monache, che avvincevano i cuori di altre persone «con dolcezza, e non per dinamiche di conquista». Per loro – aggiunse Mar Awa – «Ogni urgenza, ogni problema concreto della vita diveniva occasione per fare il bene, diventando amici e fratelli con tutti». 
 
Diverse ragioni a mio giudizio rendono ancora attualissima quella straordinaria vicenda storica e ecclesiale. Per gran parte dei riferimenti contenuti nel mio intervento sono debitore verso gli studi ricchi e approfonditi del sinologo italiano Matteo Nicolini-Zani, monaco della Comunità di Bose. Mi riferisco in particolare al suo saggio “Monastic Mission in Dialogue” contenuto nel volume “The Mission of the Universal Church - an Oriental Perspective,  curato dal professor Germano Marani sj e pubblicato da Urbaniana University Press.
 
 
Origine e tratti specifici della Chiesa d’Oriente 

Le comunità della Chiesa d’Oriente che si radicarono per secoli anche in Cina fin dalla più lontana antichità vengono spesso definite “nestoriane”, perché al momento del Concilio di Efeso (431), che condannò il Patriarca Nestorio di Costantinopoli, vollero rimanere legate alla tradizione teologica e spirituale della Chiesa di Antiochia, da cui proveniva lo stesso Nestorio. Quella tradizione antiochena metteva con forza l’accento sulla incarnazione e sulla umanità di Cristo, sulla sua natura umana, riconoscendo che attraverso l’umanità di Cristo si rivela il mistero della sua divinità.
 
Fin dall’inizio del III secolo dopo Cristo la Chiesa d’Oriente aveva cominciato a strutturarsi come una Chiesa autonoma, fuori dai confini dell’Impero romano, prendendo le distanze dalla Chiesa dell’Impero. I cristiani della Chiesa d’Oriente avevano un loro Patriarca ( Katholikos) con sede a Seleucia-Ctesifonte sul fiume Tigri, in Mesopotamia.
  
Il distanziamento dalle Chiese dell’Impero e soprattutto dalla Chiesa di Costantinopoli/Bisanzio non era dovuto principalmente a motivi teologici o dottrinali, ma a ragioni che potremmo definire politiche, in senso largo.
Man mano che la sua presenza si spostava verso Est, in mezzo all’Impero persiano e oltre, la Chiesa d’Oriente, anche per evitare persecuzioni, doveva mostrare che i suoi cristiani non appartenevano a comunità legate all’Impero romano, che rappresentava da secoli il nemico per eccellenza del mondo persiano. 
 Le comunità della Chiesa d’Oriente aumentano progressivamente la loro presenza verso est attraverso vie e processi diversi. In alcuni casi ciò avviene a causa di deportazioni di popolazioni nei territori conquistati dall’Impero persiano, quando tra i deportati ci sono cristiani e anche vescovi. 
 
In periodi meno agitati, i cristiani si spostano verso est seguendo le vie del commercio. In ogni caso, nel cammino verso Oriente, i cristiani della Chiesa siriaca incontrano nuovi popoli, nuove lingue, nuove culture e nuove comunità religiose.
Ad esempio, quando arrivano a fondare nuove Sedi episcopali negli attuali Afghanistan e Uzbekistan, città come Samarcanda e Tashkent diventano il luogo di incontro con i sogdiani, un popolo di mercanti nomadi, che in parte diventano cristiani. Per seguire i mercanti sogdiani, venivano ordinati vescovi che abbracciavano la loro condizione di nomadi.
 
Quindi quella della Chiesa siro-orientale è una cristianità che si espande seguendo le vicende della storia: migrazioni, deportazioni, spostamenti lungo i flussi del commercio.
Nella loro fondamentale opera di teologia missionaria, Stephen Bevans e Roger Schroeder riconoscono che la originalità e la rilevanza di questo “movimento missionario” erano legate a due sue caratteristiche: la connotazione monastica e la apertura a un atteggiamento dialogante verso tutti.

 
Una missione monastica

Le missioni della Chiesa sirio-orientale furono imprese monastiche. Nei nuovi territori, le prime comunità si strutturarono sempre intorno ai monasteri. 
 
I missionari inviati a curare la vita cristiana delle comunità e anche i vescovi metropolitani delle nuove province ecclesiastiche esterne al territorio persiano erano monaci, cresciuti nei monasteri sparsi in Mesopotamia e in Persia. 
 Testimonianze storiche documentano che il Patriarca Timoteo mandava in Cina come vescovi i monaci del monastero di Bet’Abe, situato a nord est di Mosul (nell’attuale Iraq). 
I monaci erano ben formati nello studio della Sacra Scrittura e in teologia, e per la loro fede erano pronti a vivere in situazioni difficili.
Una lettera del Patriarca Timoteo riferisce che «Tanti monaci attraversano mari verso l’India e la Cina portando con se solo un bastone e una bisaccia».
Nell’area attualmente compresa nella diocesi di Zhouzhi, a pochi chilometri da Xi’an, fu ritrovata nel 1625 la “Stele nestoriana”, oggi custodita nel Museo della foresta di Stele di Xi’an: è la reliquia/testimonianza archeologica che attesta l’arrivo del primo annuncio cristiano in Cina per opera dei monaci missionari della Chiesa d’Oriente già nel 635 dopo Cristo. Costruita nel 781 con testi incisi in cinese e in siriaco, la Stele rappresenta - come si legge nella sua intestazione - il “Memoriale della Propagazione in Cina dell’Insegnamento luminoso di Da Qin”. In lingua cinese, il termine Da Qin indicava originariamente solo l’Impero romano. Poi l’espressione fu utilizzata per riferirsi proprio alle comunità della Chiesa siriaca che si erano stabilmente insediate in Cina.
Anche dal testo della Stele si deduce che monasteri erano presenti anche a Chang’an, antica Capitale orientale dell’Impero, oggi Xi’an).
La Stele descrive la comunità cristiana come comunità da tratti monastici, formata da persone che vivono senza essere sottomesse alle passioni mondane, praticano il digiuno e la penitenza, vivono momenti liturgici e di preghiera 7 volte al giorno secondo l’ufficio dei monaci e compiono opere di carità 

L’altra caratteristica di questa avventura missionaria è quella della apertura e del dialogo, che si può cogliere in atto in tre ambiti: dialogo con le culture, con le realtà religiose e dialogo con il potere e le autorità politiche.

 
In dialogo con le culture 

Quando arrivano, i monaci missionari della Chiesa d’Oriente non si pongono in una posizione di forza, ma come umili monaci e commercianti. E proprio perché sono ben fondati nella loro fede e dottrina, possono entrare in contatto con la cultura e la tradizione letteraria locale con un atteggiamento dialogante, come era già avvenuto nell’incontro del cristianesimo con la cultura greco-romana.
  
Le Comunità siro-orientali fioriscono in Cina durante le dinastie Tang (618-907) e Yuan (1272-1368). Quando arrivano in Cina, i monaci missionari si confrontano con una cultura superiore, e per testimoniare la loro fede avviano un processo di adattamento del linguaggio teologico cristiano nel contesto culturale cinese, custodendo il cuore della fede antiochena.
Anche nel testo della Stele numerose citazioni sono modellate sulle espressioni riprese dai classici cinesi.
Così i monaci avviano un processo di sinicizzazione che non è una piatta e meccanica sostituzione di dati culturali cinesi a dati siriaci orientali, ma un processo più graduale e vitale di contaminazione. Solo così l’adattamento è reale e fecondo.
 

Missione e dialogo con le religioni 

Nell’esperienza della Chiesa d’Oriente in Cina, il cristianesimo prende le parole da vie e dottrine religiose come il buddhismo e il taoismo. Anche le parole scelte per descrivere le istituzioni monastiche, come la parola “monastero”, vengono riprese dal buddhismo. Il loro tentativo produce testi in cui molti termini chiave appartengono alla sfera religiosa buddhista e taoista. E l’assunzione di questo linguaggio non viene avvertita come una perdita di identità cristiana, ma come uno strumento per esporre il “proprium” della fede cristiana in un contesto pluralistico. Si tratta di un adattamento dell’annuncio del cristianesimo nei suoi termini essenziali, con parole che appartengono a contesti culturali diversi da quelli del mondo culturale greco e romano.
Per fare un esempio, il mistero della Trinità viene evocato facendo riferimento alla salvezza donata attraverso le “Tre Maestà dell’Insegnamento luminoso”. 
 
Gli effetti di questa contaminazione sono documentati anche ad esempio nella iconografia delle tombe cristiane di Zaitun (XIII secolo), dove le croci sono innestate nel fiore di loto e esseri celesti simili a angeli dipinti nella modalità iconografica buddhista. 

 
Missione e dialogo con la politica e il potere  

Un’altra dimensione dell’approccio dialogante della pratica missionaria della Chiesa d’Oriente in Cina è quello adottato verso le autorità e il potere politico degli Imperatori Tang e dei governanti mongoli Yuan.
Il dialogo ininterrotto con le autorità imperiali fu accettato come uno strumento necessario per ottenere riconoscimento come insegnamento legittimo e “ortodosso” nel senso del significato politico confuciano. Questa era l’unica via attraverso la quale la fede cristiana poteva essere accettata in una società cinese e per evitare di essere associati ai culti considerati perniciosi e perversi, perseguiti dalla legge.  
La stessa Stele testimonia l’intento della cristianità di origine siriaca di acquisire legittimità presso la Corte imperiale.
Tutta la Stele è percorsa dall’intento di mostrare il collegamento e l’armonia tra le azioni giuste dei governanti e la presenza della Chiesa in Cina, che dà il suo contributo all’ordine sociale e al bene comune. Quindi la Stele testimonia anche un processo di adattamento alla modalità cinese di concepire e gestire le relazioni tra comunità di fede e autorità politiche.
Un certo numero di cristiani furono funzionari e officiali nella amministrazione politica e militare dell’impero Tang,
 
Il cardinale francese Eugene Tisserant, esperto e amante del cristianesimo d’Oriente, ricordava in un suo scritto sulla Chiesa d’Oriente che «I preti nestoriani in Cina offrirono volontariamente i loro servizi al governo, assumendo incarichi pubblici».
Tra questi c’era anche il donatore della Stele, il battriano Yazdbozid, che in Cina prende il nome di Yisi. La sezione cinese della Stele, nella parte finale riproduce la sua biografia e mette in evidenza i suoi ruoli di alto rango raggiunti nella amministrazione imperiale, e esalta la sua pratica della virtù cristiana della carità. 
In questo atteggiamento di collaborazione e servizio verso le autorità politiche, la Chiesa trova la sua legittimazione nel contesto politico così diverso da quello dell’Impero romano.
 
Il cristianesimo, nel modo in cui viene vissuto e testimoniato da quelle comunità in Cina diventa una confessione che può essere abbracciata perché non è percepita come dottrina di persone straniere o sottomesse a poteri o interessi stranieri.
 
I nomi di cristiani che già in quei secoli diventano consiglieri e medici di Corte in Cina mostrano che la scelta del dialogo e non della contrapposizione fu utile a diffondere il Vangelo e testimoniarlo, in quella stagione della storia per molti versi agli antipodi di quello che sarebbe accaduto molti secoli dopo, nell’epoca del Colonialismo. 
 

Conclusioni

I due già citati studiosi Bevans e Schroeder hanno sottolineato che l’esperienza missionaria della antica Chiesa d’Oriente ha molto da dire al nostro presente. L’atteggiamento di apertura all’incontro e di dialogo riporta alle sorgenti della missione. E nel mondo attuale, appare sempre più evidente che il dialogo e la apertura all’incontro sono attitudini necessarie di ogni testimonianza cristiana. Lo ha mostrato anche il primo Concilio della Chiesa cattolica in Cina, svoltosi a Shanghai 100 anni fa, nel 1924. Il 21 maggio un Convegno organizzato a Roma dalla Pontificia Università Urbaniana in collaborazione con Agenzia Fides ha fatto memoria di quell’importante Concilio.
Come ha detto il Cardinale Luis Antonio Tagle, Pro-Prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione (sezione per la prima evangelizzazione e le nuove Chiese particolari), parlando del Concilio di Shanghai, l'annuncio del Vangelo non si identifica con una civiltà e una cultura, e proprio per questo protegge e promuove le ricchezze dei singoli popoli e delle loro culture. Perché la liberazione e la guarigione portata da Gesù sono un dono per tutti e per ciascuno, come ripete sempre Papa Francesco.
(Agenzia Fides 26/7/2024)


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