Città del Vaticano (Agenzia Fides) - Albino Luciani diventa Beato. Domenica 4 settembre, Papa Francesco celebra la liturgia di beatificazione del suo predecessore, salito sul Soglio di Pietro per soli 34 giorni, tra l’agosto e il settembre del 1978.
Il “Papa di settembre” (come lo ha definito una recente pubblicazione in lingua inglese) non viene proclamato beato per il breve tempo in cui, sulla terra, è stato Vicario di Cristo. Stefania Falasca, vice-postulatrice della Causa di canonizzazione e oggi vice-presidente della Fondazione vaticana Giovanni Paolo I ha rimarcato con forza che non si “beatifica” un pontificato. Piuttoto, si proclama davanti al popolo di Dio e davanti al mondo che il cristiano, il sacerdote, il vescovo Albino Luciani – divenuto alla fine della vita Vescovo di Roma e Successore di Pietro -, visse una intima unione con Dio, realizzata dalla Grazia di Cristo, e manifestatasi in lui nelle virtù della Fides Romana, esercitate “in grado eroico”: quelle teologali della fede, della speranza e della carità, insieme a quelle cardinali della prudenza, della giustizia, della forza e della temperanza. Quelle che Papa Giovanni XXIII, nel Giornale dell’anima chiamava «le Sette lampade di santificazione».
Intorno a quelle sette virtù, le sette lampade della vita cristiana, è intessuto tutto il breve e imparagonabile magistero pontificio di Giovanni Paolo I. Erano esse l’incipit a cui voleva improntare tutta la sua predicazione. Erano le sette virtù il “programma” da svolgere nelle sue prime catechesi, facendole precedere da quella dedicata all’umiltà. Riuscì a realizzare solo quelle dedicate alle tre virtù teologali.
Nell’Aula Nervi, Papa Luciani fece risplendere la fede aiutandosi con le citazione di Trilussa e Sant’Agostino, per attestare che la fede non consiste nel “credere che Dio esiste”, ma nell’affidarsi a Lui («Questo è anche credere in Dio, che è certamente più che credere a Dio»), e riconoscere che quella di Cristo «Non è una dottrina nostra», e noi «dobbiamo solo custodirla, dobbiamo solo presentarla». Della speranza, “virtù bambina”, suggerì i contorni con citazioni che andavano dal Concilio Vaticano II a San Francesco di Sales, da Agostino a San Giovanni Bosco, da sant’Alfonso de Liguori a San Tommaso, da Andrew Canergie a Friedrich Nietzsche. La definì come la virtù che tiene aperta la porta ai peccatori. E pronunciò le sue ultime parole pubbliche nella catechesi dedicata alla carità.
«Ora – scrive San Paolo nella Prima Lettera ai Corinti - rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità». Nel tempo conciso del suo pontificato, Papa Luciani aveva già detto tutto quello che c’era da dire. E proprio questo tratto elementare della sua testimonianza fa risaltare proprio oggi in maniera luminosa la portata profetica della sua attualità ecclesiale, e la convenienza tempestiva della sua canonizzazione. I santi e i beati non vengono proclamati per esaltarne il prestigio personale, ma seguendo i criteri che anche nella procedura canonica fanno riferimento alla “Opportunitas canonizationis”.
Nel tempo presente, la forza dirompente della beatificazione di Papa Luciani coincide proprio con il suo ricondurre tutto ai dati elementari del dinamismo cristiano. Fede, speranza, carità, doni in cui opera la Grazia, introdotte dall’umiltà, che è l’unica cosa in cui Cristo stesso chiede ai suoi Apostoli di imitarlo, ben sapendo che non potevano imitarlo nel fare i miracoli. Il Papa che aveva ricevuto la Fides Romana tra le montagne del Bellunese, come dono avvolto nelle preghiere imparate sulle ginocchia della mamma, ripete che anche oggi, per essere salvati e essere felici, basta camminare nella fede degli Apostoli, proposta e annunciata dalla Chiesa. Una fede che si annuncia nella vita in atto, senza angosciose frenesie di originalità, con il catechismo, e si comunica nella grazia dei sacramenti, a partire dal Battesimo. «Il più bello dei ministeri – diceva Luciani - è il ministero pastorale. Ma il catechismo è più bello ancora. Niente gli si può paragonare. È il ministero più puro, più di- staccato da ogni pretesa. Ciò che non è catechismo è niente ai miei occhi».
Nel tempo presente, in cui torna in varie forme a diffondersi l’equivoco che fa della vita cristiana una questione di “competenza professionale” da acquisire con impegno e a caro prezzo, o un percorso impervio per atletici campioni delle vette della spiritualità, Albino Luciani ridice che il mistero scandaloso del cristianesimo è rendere facile la salvezza. Basta camminare nell’alveo dei gesti semplici che la Chiesa e il popolo di Dio ripetono e seguono nel loro cammino nella storia, approfittando e facendo tesoro di tutte le ricchezze sparse anche dalla genialità degli uomini lungo il cammino. Un “protocollo” che diventa involontariamente eversivo per i clericalismi di ogni risma. E può alimentare con linfa nuova e antica ogni autentico slancio missionario ogni opera apostolica, preservandole dal rischio di trasformarsi in sterile auto-intrattenimento.
Se la salvezza è un dono gratuito connesso misteriosamente ai gesti proposti dalla Tradizione della Chiesa, non servono trucchi e trovate partoriti da qualche auto-eletta classe di “iniziati” illuminati.
Il Papa che trasformava le udienze generali in liete lezioni di catechismo, voleva parlare agli uomini del suo tempo nella loro lingua. E anche in questo, «rimaneva fedele alla dottrina di san Francesco di Sales, santo che gli fu caro fin dall’adolescenza, quando lesse la Filotea. Introduction à la vie devote e il Traicté de l’amour de Dieu, e come lui ha reso facile a tutti la via verso Cristo, come è scritto nel breve pontificio che lo riconosce Dottore della Chiesa» (Stefania Falasca). Senza pose, senza formule altisonanti e intimidatorie. Quando anche da Papa sceglieva il tono colloquiale e convocava come alleati del suo magistero di predicazione poeti e scrittori, Giovanni Paolo I ripercorreva le strade dei Padri della Chiesa che già nei primi secoli cristiani ricercavano la «sapienza del porgere». Il suo “sermo humilis”, praticato sulle orme di Sant’Agostino, irrigato con le parole della Sacra Scrittura e del genio letterario, era il modulo espressivo più consono a una Chiesa che vuole essere amica degli uomini del suo tempo. Come Agostino, Luciani riconosceva che ogni verità rivelata va proposta "suaviter", con delicatezza, perché «nutre l’anima solo ciò che la rende lieta». (GV) (Agenzia Fides 3/9/2022)
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