di Gianni Valente
Roma (Agenzia Fides) - Nella attuale fase storica, la Chiesa cattolica è chiamata a confrontarsi con le istanze di “sinicizzazione” sostenute dalla Cina di Xi Jinping, prendendo spunto e ispirazione anche dalla esperienza missionaria dei Gesuiti nella Cina imperiale di quattrocento anni fa. E’ questo il suggerimento implicito che scorre dentro l’importante intervento pronunciato venerdì 15 novembre nell’Aula Magna della Pontificia Università Gregoriana dal Cardinale gesuita Stephen Chow Sau-yan, Vescovo di Hong Kong, nella cornice del Convegno "Matteo Ricci. Un’eredità di amicizia, di dialogo e di pace”.
Il Convegno, organizzato dalla Compagnia di Gesù, dall’Archivio storico dei gesuiti e dalla Georgetown University, ha visto la partecipazione, tra gli altri, del Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato di Sua Santità.
Nel suo intervento, il Cardinale Chow ha ripercorso alcuni passaggi chiave dello sviluppo storico della “nuova Cina” iniziata nel 1949 dopo la vittoria dei comunisti di Mao Zedong sui nazionalisti di Chiang Kai-shek per documentare come tale percorso ha influenzato e condizionato anche il cammino della Chiesa cattolica nel grande Paese asiatico.
Assimilare tutto ciò che viene “da fuori”
Tutte le dottrine e gli insegnamenti religiosi giunti in Cina dall’esterno - ha rimarcato il Vescovo di Hong Kong in una significativa premessa al suo excursus - hanno dovuto sempre fare i conti con la connotazione “sino-centrica” della civiltà, della cultura e della mentalità cinese, e la loro tendenza a assimilare i contributi religiosi, spirituali, culturali e ideologici provenienti “da fuori”.
Il caso più evidente - ha esemplificato il cardinale gesuita - è quello del Buddismo, che arrivando in Cina dall’India «viene reso cinese, e nel contempo anche la Cina subisce l’influenza del buddismo. Il processo non è univoco». L’urgenza della “assimilazione” non esprime necessariamente un presunzione di auto-sufficienza chiusa in se stessa e impermeabile all’incontro e alla contaminazione.
Anche l’avventura di Matteo Ricci e dei Gesuiti in Cina - ha fatto notare Chow, riallacciandosi ai temi sviluppati nel Convegno ricciano - si confronta con questa connotazione “assimilatrice” caratteristica della cultura e della civiltà cinese, volta a rendere «‘accettabili’ le cose estranee». La scelta dei gesuiti punta a cercare l’incontro e il dialogo con le élite culturali e politiche cinesi, quelle che hanno scelto il confucianesimo come fattore teorico e dottrinale di consolidamento dell’ordine politico e sociale. Grazie a questo approccio, il cristianesimo viene percepito da quelle elìte non come una eresia da respingere, ma come un insegnamento “compatibile” con la cultura cinese. Un processo che entra in crisi quando, con il divieto del culto agli antenati, inizia la crisi dei “Riti cinesi” e il potere imperiale vieta la continuazione della esperienza e della predicazione cristiana nel Celeste Impero.
Le discontinuità della “Nuova Cina”
Alla luce di queste premesse, il Cardinale Chow ha ripercorso tutta la storia della Chiesa cattolica nella Repubblica Popolare Cinese. Una vicenda - ha sottolineato il Vescovo di Hong Kong - scandita da passaggi diversi, che vanno riconosciuti e contestualizzati nella loro evoluzione, affrancandosi da ogni schematismo interpretativo bloccato, anche per considerare in maniera appropriata la condizione presente e futura delle comunità cattoliche cinesi.
Nei primi decenni - ha messo in evidenza il Cardinale Chow - il nuovo sistema comunista cinese ha avuto una impellente necessità di rivendicare la propria identità segnando un punto di frattura rispetto a ogni elemento estraneo che richiamasse precedenti sudditanze nei confronti delle potenze e dei disegni occidentali. Rispondeva a questa istanza identitaria anche l’espulsione dei missionari stranieri che guidavano la stragrande maggioranza delle diocesi cinesi.
L’epoca segnata dalla prevalenza occidentale sulla Chiesa in Cina temina in maniera traumatica. La tolleranza viene riservata ai soli sacerdoti autoctoni. Lungo questa via si arrivò alle misure che colpivano anche gruppi specifici come la Legione di Maria e l’Azione cattolica (sigle che per il nuovo potere cinese esprimevano già nei nomi la loro connotazione “combattente” e antagonista rispetto al nuovo ordine comunista - e a fomentare in seno alla comunità ecclesiale la divisione tra quelli che non avevano accettato la cacciata dei missionari stranieri e coloro che invece vedevano come inevitabile la fine della prevalenza occidentale nella guida della Chiesa in Cina e il necessario adattamento alla nuova situazione.
Dalla Rivoluzione Culturale alla "Riforma" di Deng Xiaoping
Durante il tempo della Rivoluzione Culturale - ha proseguito il Cardinale nel suo excursus - anche la Chiesa venne sottoposta come tutti gli altri gruppi sociali alle opzioni radicali che puntavano alla «decimazione di tutte le le culture tradizionali», compreso il Confucianesimo. Si trattava - ha rimarcato il Vescovo Chow - di un programma applicato a tutta la società e a tutte le comunità di fede, che non aveva come«programma specifico» quello della persecuzione contro la Chiesa cattolica. Anche la Chiesa viene travolta dalle campagne anti-occidentali, anti imperialiste e dirette contro tutti quelli che erano indicati come «elementi contro-rivoluzionari».
Anche in quella fase, la Chiesa cattolica pagava in parte la perdurante identificazione con l’Occidente percepito come nemico, la cui presenza doveva essere cancellata dalla Cina. Una fase - ha continuato il cardinale Chow - che venne progressivamente superata nel tempo della “riapertura” guidata da Deng Xiaoping. Un processo che, negli anni Novanta, portava anche funzionari di apparato e accademici organici al sistema cinese a accantonare le dottrine sulla religione “oppio del popolo” e riconoscere che le comunità di fede fanno parte del cammino delle civiltà nella storia e non possono essere «cancellate e soppresse con la forza». Secondo questa nuova linea, le realtà religiose vanno frenate e impedite quando superano certe “linee rosse” e la religione viene utilizzata come strumento di sabotaggio dell’ordine politico e sociale garantito dal controllo del Partito. Altrimenti, anche gli apparati politici prendono atto che le religioni possono «portare benefici alla società cinese». Anche questo cambiamento di prospettiva aiuta a comprendere l’espansione delle opere caritative e anche delle opere di evangelizzazione registrata negli ultimi decenni nella società cinese.
“Sinicizzazione”, partita aperta
Nell’attuale fase storica - ha spiegato il Cardinale Chow nella parte conclusiva del suo intervento - la Cina di Xi Jinping sa di essere diventata la seconda potenza economica mondiale, e avverte l’urgenza di definire in modo chiaro e impattante la propria identità per affermare il proprio ruolo sulla scena globale. A questa urgenza prevalente rispondono le parole d’ordine della“sinicizzazione” richiesta dalla attuale dirigenza politica a tutti gli ambiti e a tutti gli aspetti della realtà cinese. Un processo - ha annotato il Cardinale - che non coinvolge solo le comunità di fede, ma anche «i media, la moda, le attività del tempo libero le tutte le espressioni della vita sociale», tutte chiamate a aderire a una prospettiva di « maggiore unità e servire meglio il Paese».
Dentro questa cornice epocale, anche la Chiesa ha davanti un nuovo scenario, che vede gli apparati insistere sulla realtà nazionale, sul ruolo centralizzatore della autorità politiche e sulla pressante richiesta che tutti i soggetti e le realtà sociali incorporino “elementi cinesi”.
«Stiamo dentro questo processo, questa metamorfosi» ha aggiunto il Cardinale Chow, e «Occorre capire cosa sta succedendo». Negli incontri sul tema della sinicizzazione nella Chiesa a cui ha preso parte, sia a Hong Kong che a Macao, il Cardinale gesuita ha registrato un «progressivo chiarimento»: prima - ha detto - ognuno «faceva il suo monologo», ora si cominciano a condividere considerazioni sui temi affrontati. «Anche noi» ha suggerito «dobbiamo “andare a vedere”, con atteggiamento di dialogo». Tenendo conto di quello che la Chiesa riconosce e insegna riguardo alla inculturazione. Senza tirarsi indietro. Pregando - ha suggerito il Vescovo di Hong Kong - «che lo Spirito illumini tutti affinché questo processo in atto sia aperto alla verità» .(Agenzia Fides 16/11/2024)