photo Teresa Tseng Kuang Yi
di Gianni Valente
(Pubblichiamo l’intervento del Direttore dell’Agenzia Fides il Convegno Internazionale “100 anni dal Concilium Sinense: tra storia e presente” - Pontificia Università Urbaniana, 21 maggio 2024)
Città del Vaticano (Agenzia Fides) - La grande intuizione missionaria di dell’Arcivescovo Celso Costantini e del Concilio di Shanghai non rimane alle dichiarazioni di principio, ma si concretizza in una serie infinita di disposizioni nette e dettagliate, disseminate nelle norme, nei decreti e nei voti poi approvati dalla Santa Sede e promulgati dopo il Concilio.
Breve premessa: il Concilium Sinense è come un fiume che scorre lungo due “argini”: il Codice di Diritto Canonico - che era stato pubblicato nel 1917, e di cui i documenti del Concilio ricalcano per buona parte lo schema - e la Lettera apostolica Maximum Illud, pubblicata da Papa Benedetto XV nel 1919.
I testi del Concilium Sinense sono letteralmente imbevuti di riferimenti al Codex Iuris Canonici del 1917 e alla Maximum Illud. Questo vuol dire che il Concilio cammina nel solco della grande disciplina della Chiesa, e proprio in questo camminare nel solco della Tradizione fioriscono soluzioni audaci e innovative, con quegli adattamenti alle situazioni particolari che costituiscono sempre la forza e la efficacia creativa di quello che viene chiamato il Diritto Missionario
FUORI DALL’IPOTECA COLONIALE
Molti dei decreti, delle norme e dei voti del Concilio di Shanghai sono attraversati dal un filo rosso che li accomuna: l’urgenza di affrancare le presenze e le opere cattoliche in Cina da tutto ciò che può far apparire la Chiesa come una entità para-coloniale asservita ai potentati stranieri. Viene continuamente riaffermata la necessità di non identificare il cristianesimo come correlato religioso delle politiche occidentali imperialiste.
Faccio riferimento a alcune di queste disposizioni.
- In primis, ai missionari stranieri il Concilio chiede di congedarsi da ogni coinvolgimento in iniziative politiche e commerciali con la propria Patria e altre nazioni estere, di non iscriversi a associazioni politiche se non con la speciale dispensa del proprio vescovo.
- Il Canone 25 dispone che la predicazione e l’opera dei missionari deve evitare di «confermare presso gli autoctoni l’inveterato pregiudizio che la propagazione della fede serva ai procurare vantaggio all’una o all’altra nazione».
- Le scritte e le insegne sulle chiese e le case missionarie devono essere in caratteri cinesi, e non devono contenere riferimenti a nazioni e popoli stranieri. Tutte le giuste leggi della Repubblica cinese devono essere osservate dai fedeli e dai missionari.
- Riguardo alle disposizioni presenti nei cosiddetti “Trattati ineguali” che ancora garantiscono la protezione delle missioni cattoliche da parte di Poteri stranieri, il Concilio rimette tutta la questione del cosiddetto “Protettorato” alle decisioni della Santa Sede. Nel frattempo, da dispoze ai missionari di ricorrere il meno possibile all’aiuto di potenze esterne, specificando che ciò deve avvenire solo in casi di emergenza che non possono essere risolti in altro modo.
- Il primo dei 26 Vota espressi dal Concilio fa appello a un decreto precedente della Congregazione di Propaganda Fide (26 marzo 1924) per chiedere che vengano rimosse da chiese e case missionarie le bandiere e i contrassegni di nazioni straniere, in precedenza esposte. Questo - spiega il Votum - serve a evitare di esporre i cattolici che frequentano quelle chiese e missioni all’accusa di essere anti-patriottici.
- Nei decreti dedicati alla costruzione di chiese e edifici delle missioni (da §448 a § 453) si raccomanda l’uso dello stile architettonico cinese, per distanziarsi dalle architetture europee e non essere assimilati ai quartieri delle legazioni straniere, quartieri - si sottolinea - che appaiono “detestabili” ai cittadini cinesi.
- Il Concilio riconosce che l’amore per la propria nazione anche quello dei missionari stranieri - è legittimo e va tutelato. Ma in caso di scontro tra la Cina e i Paesi stranieri, i missionari vengono invitati a agire con prudenza e mantenere un atteggiamento di neutralità, evitando che il rancore verso le potenze straniere si riversi contro le missioni.
- Ai missionari si chiede di coltivare relazioni amichevoli con le autorità cinesi, moltiplicando i contatti per far crescere la stima verso la Chiesa nella società cinese. «Grazie ai buoni rapporti con le autorità» si legge nel canone 698 «si dissipano pregiudizi», talvolta «si evitano persecuzioni» e si ottengono «più facilmente» vantaggi per la Chiesa.
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Tante norme e decreti contengono disposizioni volte a liberare anche i missionari da consuetudini che appaiono come retaggi dell’epoca coloniale. La premessa - espressa ad esempio nel canone 18 - è che «Nessun istituto deve considerare la missione come affar proprio, né considerare la missione come proprietà delle sue istituzioni».
Una delle disposizioni più emblematiche è a tal riguardo l’abolizione delle prostrazioni e dei diritti di precedenza negli eventi pubblici.
Prima del Concilio, i battezzati e erano tenuti a prostrarsi davanti ai missionari come segno di rispetto. La pratica veniva giustificata richiamandosi anche al cerimoniale cinese riservato alle persone autorevoli.
Il canone conciliare 54 abolisce le prostrazioni e le sostituisce con un semplice inchino della testa, adeguandosi all’uso ormai prevalso nella Repubblica cinese. Un cambiamento, questo, fortemente voluto da Costantini, che al suo arrivo in Cina era rimasto turbato dalla vista delle prostrazioni riservate ai missionari.
Le norme e i decreti del Concilium Sinense chiedono ai missionari tante altre cose. Li esortano a studiare approfonditamente la lingua locale, per arrivar a parlare cinese in maniera fluente e corretta, senza accontentarsi di infarinature approssimative; Ricordano loro che non devono criticare le abitudini, i costumi e le leggi del popolo cinese; riguardo ai vestiti, si richiamano i missionari a vestire il loro abito religioso, evitando di indossare vestiti secolari di foggia occidentale; i missionari vengono richiamati anche a evitare di promuovere lo studio della propria lingua madre.
TUTTO PER ANNUNCIARE CRISTO
Ma gli atti del Concilium Sinense non sono un prontuario di correzione degli errori del passato. Ogni pagina degli atti guarda al futuro. Si cerca scampo dalle zavorre del colonialismo per chiedere con più animo che in Cina possa fiorire una giovane Chiesa missionaria e autoctona.
Il Concilium Sinense ripete che una Chiesa può dirsi davvero radicata in un luogo quando essa è autosufficiente, con i propri edifici ecclesiastici e il proprio clero autoctono.
Il canone 131 dispone che nessun ufficio ecclesiastico sia precluso ai sacerdoti indigeni che se ne mostrino idonei. Il canone 132 chiede che si cominci presto a cercare tra i sacerdoti cinesi candidati all’episcopato.
Dietro ai richiami a coltivare rapporti fraterni tra sacerdoti occorre immaginare anche le tensioni tra missionari e clero indigeno, nel contesto di una Chiesa guidata da Vescovi tutti provenienti da altri Paesi. Talvolta, il senso di supponenza di membri delle congregazioni missionarie verso i sacerdoti autoctoni arrivava a assumere toni discriminatori con punte di razzismo.
Il Concilium Sinense promuove la fondazione di congregazioni religiose indigene. Viene messa in agenda la costituzione di comitati di esperti per la traduzione in cinese delle Sacre Scritture e di altri comitati per la cura di catechismi, libri scolastici e bollettini stampa.
58 articoli sono dedicate alle scuole e alle opere educative. Altri alle opere di carità, sottolineando che tali opere non sono imprese di assistenza sociale, e che nella carità verso i poveri e gli afflitti risplende la «gloria di Dio» e il Suo operare «per la salvezza delle anime».
Molti canoni vengono riservati ai laici, alla urgenza di favorire la nascita di associazioni laicali, e soprattutto all’opera dei catechisti. Il Titolo 47 dedica 8 canoni ai catechisti, chiedendo che siano ben preparati e animati da fervore apostolico, per non essere guardati dai non cristiani come salariati mercenari della predicazione.
Quando non ci sono sacerdoti, i laici responsabili della comunità hanno anche il mandato di celebrare i battesimi, benedire i matrimoni e convocare la comunità alla preghiera.
Altre indicazioni interessanti contenute nel IV Libro (De Evangelizationis opere) sono l’invito ai Vicari a scrivere lettere pastorali «frequenti e brevi» per seguire da padri il cammino della comunità, e anche il richiamo a fare on modo che la comunione ecclesiale si strutturi negli organismi collegiali istituiti dal Codice di Diritto Canonico.
Il Canone 584 richiama la necessità di svolgere Concili, Sinodi, incontri del clero nei singoli Vicariati e anche periodici Concili regionali e plenari, questi ultimi almeno uno ogni 20 anni.
Inoltre, uno dei Vota sottopone alla Santa Sede la richiesta di disporre una nuova suddivisione delle regioni e circoscrizioni ecclesiastiche, passando dalle 5 regioni esistenti a 17 circoscrizioni ecclesiastiche, corrispondenti in linea di massima alle suddivisioni delle province civili di allora.
SERVIRE IL POPOLO CINESE
Gli atti del Concilium Sinense sono disseminati di note e disposizioni rivolte a manifestare rispetto e vicinanza verso il popolo cinese. Si raccomanda di valorizzare le virtù tradizionali cinesi come la pietà filiale verso i genitori, pur vietando ai cattolici la pratica dei matrimoni programmati dalle famiglie per propri figli ancora in età infantile.
Permangono le prese di distanze da pratiche definite “superstiziose” collegate ai funerali, e anche le proibizioni dei “Riti Cinesi”. Ricordiamo che la nefasta questione dei “Riti Cinesi” (come la definiva l’Arcivescovo Costantini) non si è ancora conclusa. Nello stesso tempo, viene detto di mettere da parte ogni complesso di superiorità verso le culture e le consuetudini cinesi.
Il canone 709 riconosce che molte superstizioni sono cresciute sui tronchi del confucianesimo, del buddismo e del taoismo, ma da indicazione di guardare a Confucio, Mencius e Laozi come filosofi vissuti prima di Cristo, che hanno riconosciuto e seguito valori importanti, e se certo non possono essere “divinizzati”, nemmeno vanno demonizzati o respinti.
C’è una questione specifica che appare piena di implicazioni, nel quadro delle opere incentivate dal Concilio a servizio del popolo cinese. E’ quello che il Concilio dispone riguardo alla piaga del consumo di oppio, che a causa delle geopolitiche criminali delle potenze occidentali mieteva vittime tra la popolazione cinese.
La Chiesa cattolica, al Concilio di Shanghai, da disposizioni dettagliate per contribuire a estirpare quel flagello. Si chiede ai Vicari di costituire comitati di laici per animare campagne di contrasto al traffico di oppio (canone 431). La coltivazione e il consumo di oppio vengono proibiti ai cattolici (canone 432).
E’ noto cosa voleva dire il traffico d’oppio nella Cina di allora riguardo ai suoi rapporti con le potenze occidentali. L’Inghilterra bombardava i porti cinesi e aveva aperto le famose “Guerre dell’Oppio” per piegare a colpi di cannone le resistenze cinesi al narcotraffico. Si tratta di uno dei passaggi criminali delle politiche coloniali verso la Cina. E al Concilio di Shanghai, la scelta di campo della Chiesa appare chiara.
Una ultima annotazione: il Concilium Sinense fu praticamente ignorato dalla stampa missionaria di allora. Le riviste più rilevanti di quel settore editoriale si limitarono a ripubblicare un articolo dell’Osservatore Romano. Avevano riservato più o meno lo stesso trattamento alla Maximum Illud.
A distanza di cento anni, si può dire che persero una buona occasione per fare il loro mestiere, Chiusi nei loro stereotipi, i responsabili dei bollettini missionari di allora non si accorsero di quello che stava passando loro per le mani. Non si accorsero che in qualche modo, anche nel Concilio di Shanghai si era avvertito un riverbero del mistero che fa vivere la Chiesa e la fa camminare nel tempo. (Agenzia Fides 22/5/2024)