ASIA/PAKISTAN - Per Shagufta Kiran il secondo Natale lontano dai figli

giovedì, 22 dicembre 2022 diritti umani   blasfemia  

Islamabad (Agenzia Fides) - È trascorso quasi un anno e mezzo dall'arresto della donna cristiana pakistana Shagufta Kiran (vedi Fides 31/8/2021) e quello imminente è, per lei, il secondo Natale trascorso in carcere, lontana dal marito e dai suoi due figli. Shagufta Kiran, 35 anni, è stata accusata di blasfemia per aver inoltrato un messaggio su una chat del social media "WhatsApp" che includeva contenuti ritenuti blasfemi. In una lettera scritta ai suoi figli - inviata a Fides dai suoi avvocati - la donna rivela che "le sue condizioni fisiche e mentali non sono molto buone". "Non riesco più a sopportare lo stare lontana da voi e desidero con tutto il cuore ricongiungermi a voi", si legge. "Desidero tanto e chiedo a Dio di poter nuovamente godermi il Natale insieme con voi, uniti come una famiglia".
I figli di Shagufta, con l'avvicinarsi del Natale, avvertono molto la mancanza della madre. "Ogni giorno a tavola piangono e pregano per il ritorno della madre. Molti dei parenti e degli amici si prendono cura di loro, tuttavia nulla può sostituire l'amore di una madre", rileva l'avvocato di Rana Abdul Hameed. "Oggi soffrono di traumi e depressione - spiega il legale - poiché sono stati costretti a lasciare la loro casa, dopo che si è verificato l'incidente. Il loro futuro è segnato a causa di questo incidente. Vivono in un altro luogo e sono tristi e preoccupati". "Il reato di blasfemia è punibile anche con l'ergastolo o la pena di morte. A un anno dall'arresto, dopo varie udienze, il caso è ancora aperto", riferisce l'avvocato Rana Abdul Hameed. "Shagufta - precisa - affronta la reclusione in carcere con accuse infondate. Non sapeva nulla del post incriminato, non era l'autrice di quel messaggio, e sconta oggi una responsabilità che non è sua. Per grazia di Dio, spero di farla assolvere".
Nota a Fides Joseph Jansen, presidente della Ong "Voice for Justice": "Questa è una notizia molto triste. Mentre nel mondo intero le famiglie festeggeranno il Natale accogliendo il Dio Bambino in unità e calore umano, tante persone innocenti in Pakistan lo trascorreranno in prigione. Shagufta non è l'unica: anche Zafar Bhatti, Ishfaq Masih, Anwar Masih e Rehmat Masih sono vittime di accuse infondate. L'abuso della legge sulla blasfemia - chiamata in causa per vendette private, che non c'entrano nulla con la religione - è una violazione dei diritti fondamentali, è un abuso dello stato di diritto e rappresenta una seria minaccia per la convivenza interreligiosa in Pakistan. Gli imputati spesso devono attendere anni di reclusione per poi dimostrare la loro innocenza ed essere assolti. Ma la loro vita resta rovinata". Jansen invita la Corte a condurre "un processo equo e rapido" e il governo pakistano "ad affrontare a livello legislativo il nodo dell'abuso della normativa esistente". "Oggi la persona che ha scritto il messaggio incriminato è a piede libero; colei che ha espresso un'opinione su di esso, nemmeno approvandolo, è stata arrestata. Questo è un fallimento del sistema della giustizia penale. Riteniamo che Shagufta sia stata accusata perché cristiana: è un bersaglio facile. Bisogna anche verificare, e lo stanno facendo gli avvocati, se le indagini sul caso siano state condotte in modo corretto", nota il presidente della Ong.
Jansen osserva che la Corte Suprema del Pakistan, in una recente sentenza, ha chiesto al governo che i casi di blasfemia siano condotti dalle autorità inquirenti "con grande diligenza" e affidati a funzionari di polizia di alto grado, con l'obiettivo di non incorrere in condizionamenti di sorta (vedi Fides 14/9/2022).
Tra i casi più recenti, si ricorda la vicenda dei coniugi cristiani Shafqat Emmanuel e Shagufta Kausar, rilasciati nel 2022 dopo sette anni di carcere. I due erano stati condannati a morte in base ad accuse di presunta blasfemia commessa tramite un SMS ritenuto blasfemo. All'inizio di giugno, l'Alta Corte di Lahore ha annullato la condanna a morte comminata nel 2014, riconoscendo la macchinazione ai loro danni.
Come rilevano enti e associazioni della società civile, in Pakistan si assiste a una stretta per punire il reato di blasfemia compiuto per pubblicazioni sui social media, applicandovi la dura legislazione penale esistente (come ergastolo e pena di morte). Alcune organizzazioni islamiche stigmatizzano "la crescente minaccia di diffusione di contenuti blasfemi sui social media" e fanno pressioni sui tribunali perchè adottino la massima severità in merito.
(PA) (Agenzia Fides 22/12/2022)





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