AMERICA/VENEZUELA - A mezzanotte nella foresta amazzonica, anche i flauti degli indios Jodï salutano la nascita del piccolo "Jkyomalïdëkö Ini": il Figlio di "Colui che é presente nel mondo per proteggerlo"

venerdì, 23 dicembre 2005

Kayamá (Agenzia Fides) - La comunità di San José de Kayamá, nella zona sud occidentale
all'arcidiocesi di Ciudad Bolivar (Venezuela), è immersa nella foresta amazzonica. La comunità si può raggiungere solamente per mezzo di piccoli aerei privati, non ci sono altre vie. A Kayamá convivono due tribú: Jodï ed Eñepa, in tutto 1200 persone circa. Padre Marcello Quatra è l'unico missionario degli OMI (Oblati Missionari di Maria Immacolata) che vi lavora da 4 anni, affiancato dalle Suore Missionarie della Madre Laura e da un laico, agronomo. “Tutti siamo corresponsabili di tutto - dice p.Marcello - però possiamo dire che le suore si occupano prevalentemente della scuola, del dispensario e della promozione della donna; il laico é incaricato dei progetti di promozione
sociale; ed io mi dedico soprattutto alla catechesi, al dialogo interculturale e interreligioso e all'investigazione della lingua Jodï. Gli Jodï, infatti, rappresentano l'ultima etnia contattata in Venezuela e la loro lingua rimane ancora quasi del tutto sconosciuta”. Attualmente il missionario sta lavorando per la composizione del primo vocabolario di base Jodï-Spagnolo e per la preparazione di materiale didattico sulle strutture principali del verbo, ad uso degli alunni dei primi anni della scuola bilingue della missione.
”Ho già trascorso quattro Natali a Kayamá, e sono stati tra i più significativi della mia vita - racconta p. Marcello -. L'anno scorso ho aspettato la mezzanotte lungo la piccola pista di atterraggio, che é il nostro unico punto di contatto con il mondo "civilizzato" ed il suo frastuono. Il buio era quasi totale e si scorgeva appena il profilo umile delle nostre capanne di palma.
Camminavo solo, sotto un cielo stellato indescrivibilmente bello e vibrante e, come i tre Magi venuti dall'oriente, cercavo di leggere anch'io un segno dell'avvicinarsi di Dio nelle costellazioni, divenutemi ormai familiari. A Kayamá non abbiamo la televisione e l'osservazione dei movimenti delle stelle e dei pianeti si è trasformato in uno dei miei hobby notturni preferiti.
Il silenzio che avvolgeva la selva creava, fuori e dentro di me, una sensazione di vuoto e di attesa allo stesso tempo. Tutto mi faceva toccare quasi con mano il mistero di Dio che entra nella storia nell'anonimato, senza far rumore, senza colpi di scena, senza cerimonie spettacolari, senza solennità. E’ qualcosa di impressionante sentirsi così vicini alla realtà di quel primo Natale.
La gioia più grande é stata quando, al giungere della mezzanotte, ho cominciato ad ascoltare in lontananza i flauti di alcuni Jodï, che nelle loro capanne e secondo la loro lingua, improvvisavano melodie per il piccolo "Jkyomalïdëkö Ini". Questa parola, per noi quasi impronunciabile,
significa semplicemente il Figlio di "Colui che é presente nel mondo per
proteggerlo", la Parola divina, impronunciabile per l'uomo, fattasi vagito di neonato. É stata la gioia più grande, perché ho sentito che Gesú era davvero nato a Kayamá, e che poco a poco si stava introducendo nella cultura di questi miei fratelli indios.” (S.L.) (Agenzia Fides 23/12/2005; righe 34, parole 485)


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