di Gianluca Frinchillucci
Beirut (Agenzia Fides) – In un Libano segnato da una crisi economica logorante, da fragilità istituzionali e da un clima di tensione crescente lungo la Blue Line, la recente visita di Papa Leone XIV ha rappresentato un segnale di grande valore anche per gli operatori di pace presenti nel Paese.
A riflettere sull’impatto del viaggio apostolico è il Generale di Divisione Diodato Abagnara, Force Commander e Head of Mission di UNIFIL, che guida l’operazione di peacekeeping delle Nazioni Unite nel Libano meridionale.
L’Italia ha un ruolo di primo piano nella Missione, con un contingente significativo e un approccio fondato sulla vicinanza alle comunità locali e sul coordinamento con le Forze Armate Libanesi (LAF).
Nella conversazione coi giornalisti sul volo che lo riportava da Beirut a Roma, anche Papa Leone XIV ha fatto riferimento alla “capacità che ha l’Italia di essere intermediaria in mezzo a un conflitto che esiste fra diverse parti”.
Secondo il Generale Abagnara, la visita del Pontefice ha certo rappresentato un gesto di incoraggiamento per i cristiani libanesi e per i militari italiani, e anche un invito rivolto a tutti a riscoprire il valore del dialogo e della convivenza come chiavi per una stabilità non effimera.
Nell’intervista concessa all’Agenzia Fides, il Generale si sofferma sul significato della visita papale, sul ruolo di UNIFIL e sull’evoluzione del Ceasefire Monitoring Mechanism, rinnovato dopo la Dichiarazione di Cessazione delle Ostilità del novembre 2024.
Cosa ha rappresentato la visita del Papa in Libano?
«La visita del Papa ha avuto un significato profondo, soprattutto in relazione al contesto in cui è avvenuta. Il Libano attraversa da anni una somma di crisi – economica, istituzionale, sociale – cui si aggiunge oggi un forte clima di tensione ai confini. In una situazione così fragile, la presenza del Santo Padre è stata un segnale di attenzione e di riconnessione.
Molti libanesi, indipendentemente dall’appartenenza religiosa, hanno percepito un messaggio semplice ma essenziale: il Libano non è stato abbandonato e resta centrale nelle preoccupazioni della comunità internazionale.
La visita ha anche riportato al centro il tema della convivenza libanese, un equilibrio complesso tra comunità e sensibilità diverse. Gli incontri del Papa con rappresentanti di varie confessioni e della società civile hanno ribadito un punto chiaro: la stabilità si costruisce attraverso il dialogo, non attraverso contrapposizioni.
Sappiamo che un viaggio papale non può risolvere da solo i problemi del Paese. Ma in un contesto così fragile anche una breve tregua nella tensione aiuta a ridurre i rischi e a ricostruire fiducia, ricordando che esiste ancora spazio per la cooperazione.»
Cosa ha rappresentato questa visita per i militari italiani?
«Per i militari italiani la visita del Santo Padre ha avuto un significato particolare, umano e professionale. Operare nel sud del Libano significa lavorare in un ambiente dove equilibrio, prudenza e continuità sono essenziali. Molto del nostro lavoro – pattuglie, monitoraggio, coordinamento con le LAF, supporto alle comunità locali – non è visibile.
In questo quadro, sentire riconoscere il ruolo degli “operatori di pace” è stato un segnale diretto di apprezzamento. La presenza del Papa è stata vissuta come un riconoscimento del modello italiano: una presenza credibile, rispettosa, fondata sulla vicinanza alle persone e sulla professionalità.
In un contesto operativo caratterizzato da rischi e scenari imprevedibili, un gesto di attenzione esterna diventa anche un elemento di coesione interna. Molti militari hanno interpretato la visita come un incoraggiamento a proseguire con la stessa dedizione, sapendo che il loro impegno è visto e riconosciuto sia dalle comunità locali sia dagli attori internazionali.
In sintesi, la visita ha confermato il senso del nostro lavoro: garantire stabilità, prevenire escalation, costruire fiducia. Il Papa ha ricordato un principio fondamentale: la pace non è solo assenza di guerra, ma anche incontro, dignità e ascolto. Sono esattamente i valori che guidano il nostro operato quotidiano.»
Che cosa rappresentano oggi UNIFIL e il contributo italiano per il Libano?
«UNIFIL oggi è un pilastro di stabilità che il Libano non può permettersi di perdere. In un contesto dove la sicurezza può cambiare rapidamente, la Missione rappresenta un argine all’escalation e un canale costante di dialogo tra le parti.
Il lavoro quotidiano dei peacekeeper – monitoraggio, prevenzione, gestione delle frizioni – è discreto ma decisivo per mantenere la calma lungo la Blue Line.
All’interno di questo equilibrio, il contributo italiano ha un ruolo particolarmente rilevante. L’Italia è percepita come una presenza solida, affidabile e rispettosa: un modello di peacekeeping che unisce professionalità e capacità di instaurare rapporti autentici con le comunità locali. Nel sud del Libano lo sentiamo spesso dire: “Gli italiani non ci fanno sentire soli.” È una testimonianza che va oltre il livello operativo.
C’è poi un elemento strategico: il lavoro congiunto con le Forze Armate Libanesi. Ogni attività svolta insieme contribuisce a rafforzarne le capacità e, di conseguenza, la stabilità complessiva del Paese. La sicurezza più efficace è quella costruita insieme, passo dopo passo, attraverso fiducia e collaborazione.»
Quali effetti potrebbe avere il crescente ruolo degli Stati Uniti nel Ceasefire Monitoring Mechanism?
«Negli ultimi giorni l’impegno statunitense nel sostenere il Ceasefire Monitoring Mechanism ha assunto un profilo più visibile, con l’obiettivo di dare continuità al percorso avviato dopo la Dichiarazione di Cessazione delle Ostilità del 27 novembre 2024. Tuttavia, dal punto di vista operativo non ci sono stati cambiamenti né per UNIFIL né per il Contingente Italiano: i mandati restano invariati.
L’ingresso di figure civili nelle delegazioni e la maggiore attenzione degli Stati Uniti indicano un tentativo di rendere questi incontri più adatti ad affrontare aspetti politici complessi. Per il momento si tratta di un’evoluzione che riguarda più il quadro strategico che le attività quotidiane sul terreno.
Va ricordato che il Ceasefire Monitoring Mechanism è l’evoluzione del Tripartite Meeting che per anni ha riunito Forze armate libanesi (LAF), Esercito israeliano (IDF) e UNIFIL per affrontare le questioni tecniche lungo la Blue Line. Dopo il 2024 si è sentita l’esigenza di uno strumento più articolato e capace di includere anche gli aspetti politici: oggi vi partecipano LAF, IDF, UNIFIL, Stati Uniti, Francia e – dal 3 dicembre 2025 – per la prima volta un rappresentante civile del Governo libanese, l’ex ambasciatore Simon Karam. È un foro più ampio, con più voci e maggiore capacità di collegare il piano operativo a quello diplomatico.
Questo è molto diverso dal Military Technical Committee for Lebanon (MTC4L), missione italiana che opera con finalità completamente distinte: addestramento delle Forze Armate Libanesi e supporto alle istituzioni locali.
Per il sud del Libano, gli scenari dipenderanno dalla capacità delle parti di mantenere questo canale negoziale su basi costruttive. L’esperienza dimostra che quando le parti dialogano – anche attraverso canali tecnici – la gestione delle tensioni è più ordinata e gli incidenti possono essere contenuti più rapidamente.
In sintesi: sul terreno il nostro lavoro non cambia, ma un Meccanismo più strutturato, inclusivo e sostenuto da attori con capacità di influenza può favorire una maggiore prevedibilità e un clima di maggiore stabilità nel sud del Libano.» (Agenzia Fides 4/12/2025)