AFRICA/ESWATINI - In una situazione sociale ed economica preoccupante, le Chiese al lavoro per dialogare con tutti

giovedì, 15 luglio 2021 situazione sociale   politica   chiese locali  

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Mbabane (Agenzia Fides) - Continuano le violenze nel piccolo Stato dell’Africa Australe di eSwatini. A innescare le proteste di migliaia di cittadini, settimane fa, era stato l’omicidio, nel maggio scorso, di un giovane studente della facoltà di legge, Thabani Nkomonye, per mano della polizia. Ma al di là del triste episodio, a scatenare le imponenti proteste che hanno raccolto migliaia di manifestanti dalla fine dello scorso mese, è stata la situazione di duro regime cui la popolazione è sottoposta da tempo. Il re Mswati III, infatti, è accusato di opprimere i poco più di un milione di abitanti e di non volere favorire il processo democratico del Paese. Alle manifestazioni il re ha risposto bloccando Internet, imponendo il coprifuoco e dispiegando le forze armate. Sono molti, secondo gli attivisti, i morti e i feriti. La situazione è ormai prossima al caos, come testimonia una dichiarazione dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani dell’Onu che, il 6 luglio, ha parlato di "profonda preoccupazione".
Raggiunto al telefono, con qualche difficoltà, il Reverendo Zwanini Shabalala, Segretario Generale del Consiglio delle Chiese dello Swaziland, ha così commentato all’Agenzia Fides il difficile momento del piccolo Paese. “Da quando il Primo Ministro Themba Masuku ha bandito la possibilità di consegnare petizioni, abbiamo visto la situazione precipitare di giorno in giorno. La cosiddetta ‘strategia delle petizioni’ era l’unico modo per il popolo di esercitare il proprio diritto costituzionale di espressione nel modo più formale e corretto: chiedendo, cioè, ai centri di potere dei distretti e ai parlamentari di ascoltare le istanze della popolazione. Il governo ha inizialmente mostrato tolleranza e, sebbene le petizioni fossero in chiaro contrasto con la politica dell’esecutivo, ha permesso almeno un punto di incontro tra potere e popolo. Ma alla prima accondiscendenza ha fatto seguito un annuncio di chiusura emanato il 24 giugno scorso, che ha disturbato la pace del nostro Paese, frustrando specialmente le speranze dei giovani. Negli ultimi giorni di giugno, infatti, quando la petizione che stava presentando il parlamentare Mduduzi Simelane – uno dei politici che chiedono l’elezione (e non la nomina da parte del re, ndr) del primo ministro, venne vietata, la situazione è precipitata e ci sono stati scontri, saccheggi, incendi da parte dei manifestanti in ogni parte del Paese. Da quel momento il dispiegamento delle forze armate – non bene addestrate per questo tipo di situazioni - è stato massiccio e con esso è salito il timore che eSwatini si trasformi in breve in uno Stato militare con legge marziale. Il fatto che in alcuni casi le forze armate abbiano assicurato alla giustizia alcuni elementi deviati che volevano avvantaggiarsi del caos, non deve trarre in inganno e far pensare che la situazione sia tornata sotto controllo. Dopo i primi giorni, internet è stato ripristinato ma tutti i social sono tuttora bloccati. Ad oggi (12 luglio, ndr) i morti sarebbero più di 50 anche se i numeri, in una tale situazione, sono difficili da verificare”.
Da tempo il piccolo Stato dell’Africa meridionale, vive in una situazione di emergenza aggravata, peraltro, dall’alto numero di vittime dell’Aids. Negli ultimi tempi, la popolazione, vessata da una prolungata crisi economica inasprita dall’arrivo del Covid che nel vicino Sud Africa si è fin dall’inizio dimostrato particolarmente virulento a differenza di altri Paesi africani, e soffocata da misure poco democratiche, ha voluto far sentire in modo massiccio la propria voce.
“La pandemia ha peggiorato tutto. Molti hanno perso il loro lavoro ed il livello di povertà nel Paese è salito. Per i giovani le opportunità formative e di lavoro sono scemate e quando i ragazzi non vedono futuro, la situazione si fa incandescente. Ma il Covid ha colpito una condizione economica già precaria e molte imprese hanno dovuto chiudere a seguito delle restrizioni imposte che hanno limitato mobilità e commercio e al salire della povertà abbiamo registrato un aumento di violenze, specie di genere: molti abusi sono stati commessi nei nuclei familiari e tante ragazze hanno dovuto lasciare la scuola perché incinte.
Ma oltre a questo tipo di violenze, si sono moltiplicati gli abusi da parte della polizia o di altre forze e la gente ha perso la fiducia verso le agenzie di sicurezza. A questo si deve aggiungere un debolissimo sistema di sanità nazionale, assenza di vaccini, scarsità di medicine così come una rete di infrastrutture deficitaria, messa a dura prova anche dai cicloni ricorrenti.
Per tutti questi motivi, il nostro Paese, rinomato per il livello di pace, è sprofondato nella violenza, la cittadinanza chiede che almeno i servizi minimali siano garantiti. L’allarme per una deriva autocratica lo lanciano da tempo alcuni gruppi politici appartenenti al fronte progressista o pro-democrazia che vengono spesso silenziati: il nostro modello di governo non permette ai partiti politici di prendere parte al sistema elettorale e quelli eletti al parlamento vengono nominati su base di meriti personali nei 59 collegi. Per questo negli ultimi tempi si sono moltiplicate le petizioni, in particolare da parte dei giovani che consegnavano ai rappresentanti in parlamento dei rispettivi collegi, in cui, tra le tante cose, richiedevano un primo ministro eletto democraticamente. Le altre istanze prendevano di mira i servizi ridotti al minimo, l’alto tasso di disoccupazione e la brutalità della polizia”.
In tale situazione, la posizione delle Chiese diventa fondamentale. Con il richiamo alla pace e al dialogo, fondato su una lunga tradizione di presenza e attivismo all’interno della società swazi, le Chiese tutte hanno voluto far udire la propria voce.
“Il Consiglio delle Chiese dello Swaziland continua a richiamare alla calma e richiede che tutte le parti si seggano pacificamente attorno a un tavolo e parlino. Sappiamo che non sarà facile ma anche che è l’unica via possibile e la strada che Dio vuole che promoviamo come Chiesa. In questo senso ci siamo impegnati a dialogare con tutti gli attori di questo fase del Paese e stiamo già raggiungendo alcuni di loro, come il governo, le strutture politiche tradizionali e la società civile. Stiamo anche attivando i nostri organismi ecumenici regionali come la Fellowship of Christian Councils in Southern Africa, All Africa Conference of Churches e il World Council of Churches, perché mettano pressione all’Unione Africana, alla Comunità per lo Sviluppo dell’Africa Meridionale (SADC), e all’Onu perché la situazione in eSwatini sia una priorità”. (L.A.) (Agenzia Fides 15/07/2021)


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