Vite spezzate, vite donate. Per la salvezza di tutti

lunedì, 30 dicembre 2024 missionari   missionari uccisi   martiri  

padre Marcelo Pérez Pérez, il sacerdote ucciso a San Cristóbal de Las Casas il 20 ottobre 2024

di Gianni Valente

Si chiude un altro anno. E anche quest’anno, le storie di missionari e operatori pastorali cattolici uccisi negli ultimi 12 mesi, raccolte e riproposte dall’Agenzia Fides, lasciano intravedere il mistero e il tesoro nascosto nelle vite portate via in modo cruento, mentre servivano fratelli e sorelle nel mondo, seguendo Gesù.

Esistono dei connotati propri che segnano le vite dei testimoni di Gesù donate fino allo spargimento del sangue. Segni distintivi come quello richiamato pochi giorni fa da Papa Francesco, nel giorno in cui la liturgia della Chiesa cattolica fa memoria di Santo Stefano, il primo martire.
Gli Atti degli Apostoli raccontano che Stefano pregava per la salvezza dei suoi carnefici, mentre lo stavano lapidando. Anche oggi - ha aggiunto il Papa - chi testimonia Gesù non si lascia «uccidere per debolezza, né per difendere una ideologia, ma per rendere tutti partecipi del dono di salvezza. E lo fanno in primo luogo per il bene dei loro uccisori: per i loro uccisori … e pregano per loro».
Il Santo monaco russo Silvano del Monte Athos descriveva «l'amore dei tuoi nemici come l'unico vero criterio di ortodossia». E il Beato Christian de Chergé, Priore dei monaci trappisti martiri di Tibhirine (citato anche lui da Papa Francesco nel giorno della festa di Santo Stefano), nel testo scritto come testamento spirituale prefigurava il suo possibile martirio e si rivolgeva al suo ignoto, futuro assassino chiamandolo “amico dell’ultimo minuto”, e chiedendo «che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in Paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due».

I testimoni di Gesù morti ammazzati possono abbracciare con le loro vite offerte i propri stessi carnefici per puro dono di grazia, riverbero della propria gratuita configurazione alla passione di Cristo. Non certo per sforzo volontaristico di “autocontrollo”.

Anche quest’anno, come accade spesso, la gran parte di missionari e operatori pastorali uccisi sono stati raggiunti dalla morte violenta mentre erano immersi nella trama ordinaria delle loro opere e dei loro giorni. Tra loro, per fare alcuni esempi, il volontario François Kabore è stato ucciso in Burkina Faso mentre guidava un incontro di preghiera, in un assalto di un gruppo armato in cui sono stati trucidati altri 14 compagni che pregavano insieme a lui. Mentre Marcelo Pérez Pérez, parroco indigeno a San Cristóbal de Las Casas, in Chiapas (Messico), è stato ucciso la domenica mattina mentre rientrava a casa dopo aver celebrato messa. Vicende accadute in un ordito di vita quotidiana lontano da esibizionismi e pose eroiche, una trama di rapporti dalla quale sono stati strappati per brutalità immotivata.
Con loro sacrificio - altra connotazione che li distingue - i testimoni della fede, a cominciare da quelli che perdono la vita per mano altrui, non testimoniano di se stessi. Sono estranei a quella che il professore greco Athanasios Papathanasiou, nel corso a un Convegno ecumenico presso la Comunità monastica di Bose, aveva descritto come la contraffazione “narcisista” del martirio e della testimonianza, che invece di confessare Cristo per attrattiva, nella dimenticanza di sé, diventa autoreferenziale, concependo e presentando la testimonianza come «impresa di autogiustificazione».

Ogni confessione di fede offerta fino al dono della propria stessa vita avviene non come eroica prestazione umana, ma solo in forza dello Spirito Santo. In ogni autentica dinamica cristiana nessuno può confessare il dono della fede e rendere testimonianza a Cristo se non nello Spirito Santo. E di ciò rende testimonianza Cristo stesso nel Vangelo, quando esorta i discepoli a non preoccuparsi di cosa dire quando saranno consegnati ai tribunali «per causa mia», perché «vi sarà suggerito in quel momento: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi».

Fare memoria ogni anno dei missionari e degli operatori pastorali uccisi vuol dire riconoscere e celebrare questo mistero imparagonabile di gratuità. E aiuta anche a liberarsi da tutte le contraffazioni che pongono le sofferenze dei battezzati  sotto lo stigma della paura, o della rivalsa verso qualsiasi nemico. E quando slogan e campagne sui cristiani perseguitati non lasciano intravvedere questo tesoro, questa dinamica vertiginosa, rischiano di confondere e aumentare la smemoratezza.

La Chiesa di Roma, nell’Anno giubilare appena iniziato, farà memoria grata anche di loro, dei testimoni della fede che hanno donato la vita seguendo Gesù. E la gratitudine potrà diventare preghiera, supplica per chiedere la salvezza per tutti. A partire dalle moltitudini oggi annientate nei nuovi stermìni e nelle nuove Stragi degli Innocenti della “Guerra mondiale a pezzi”. (Agenzia Fides 30/12/2024)


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