EUROPA/ITALIA - Il testamento biologico: contributi alla riflessione (9)

martedì, 26 febbraio 2008

Roma (Agenzia Fides) - Sulla questione del testamento biologico pubblichiamo l’intervento della Dott.ssa Matilde Leonardi, Medico-Chirurgo. Specializzata in Pediatria con perfezionamento in Neonatologia e in Neurologia Pediatrica.

Che cosa pensa di una norma che sancisca il testamento biologico?
Penso che le persone si sentano rassicurate dall’idea di poter determinare in anticipo le terapie che pensano di poter volere e/o poter sopportare. Non è detto, a mio parere, che questa “coperta di Linus” debba però vincolare il medico ad attenersi a questa informazione, che deve essere valutata come elemento psicologicamente di conforto alla persona, ma non come elemento determinante del comportamento che si deve tenere.

Che cosa intende per accanimento terapeutico?
L'accanimento terapeutico è l’uso di mezzi sproporzionati rispetto alla situazione clinica del paziente, che risultano essere clinicamente e non soltanto psicologicamente gravosi e privi di qualunque efficacia. Evitare l’accanimento è semplicemente riconoscere i limiti oggettivi della scienza e dell'esistenza umana. Forse varrebbe la pena aprire un dibattito sul possibile accanimento terapeutico effettuato dagli operatori del 118, nelle fasi del pronto soccorso.

Che cosa intende per eutanasia?
L’atto col quale si provoca deliberatamente la morte di una persona, incluso un abuso di dosaggio di farmaci.

Nel codice deontologico ci sono le risposte necessarie a questa problematica?
Si, ci sono le risposte, ma la teoria non coglie le sfumature che si hanno quando si lavora in corsia e spesso il medico, o gli operatori socio sanitari in generale, si sentono abbandonati. Manca ancora un vero riconoscimento del valore di tutti cittadini, in tutto il Paese, riconoscimento che richiede concreti investimenti sul piano economico e su quello culturale, per favorire un’idea di cittadinanza allargata che comprenda tutti, come da dettato Costituzionale, e per riaffermare il valore unico ed irripetibile di ogni essere umano, anche di chi è talora considerato “inutile” poiché, superficialmente, giudicato incapace di dare un contributo diretto alla vita sociale.
I casi più estremi di malattia sono il paradigma verso il quale si testa la capacità di una società di saper sostenere i più fragili di una società. Una società che non sa dare risposte economicamente e culturalmente talora complesse ai più fragili non è una società democratica e capace di coesione sociale. In nome di libertà individuali si coltiva più comodamente “la strada corta” dell’impegno sociale: l’abbandono. E’ difficile fare veramente progetti individualizzati, come richiesto ad esempio dalla legge 328, per tutti, veramente per tutti, ma non abbiamo ancora la prova che un sistema capace di dare risposte forti di sostegno alle persone che lo chiedono sia un sistema che costi troppo o che non funzioni.

C’è e in che cosa consiste il conflitto tra volontà espresse in precedenza dal paziente e posizione di garanzia del medico?
Un medico che agisce secondo scienza e coscienza deve essere tutelato dallo Stato nel suo lavoro. Che è quello di curare le persone che sono malate e che, come tutti, moriranno, ma non per mano del medico. Il paziente ha diritto ad avere tutte le cure possibili, ma non ha il diritto di essere ucciso.

Nel corso della sua professione ha mai avuto problemi, nel senso di denunce legali, nel caso di interventi contrari alle indicazioni del paziente che pur hanno consentito di salvare la vita o di ristabilire un equilibrio di salute o di sospensione di terapie sproporzionate da cui è derivata la morte del paziente?
No.

Può indicare la differenza tra testamento biologico e pianificazione dei trattamenti, contestualizzata nella relazione medico-paziente?
Il testamento biologico viene redatto anche prima dell’esperienza diretta di una malattia, mentre la pianificazione dei trattamenti è il risultato del rapporto tra il medico e il suo paziente nel momento in cui la patologia è già sviluppata. La pianificazione dei trattamenti si articola come risposta concreta di sostegno al malato ed è una forma di quella alleanza terapeutica in cui la relazione tra medico e paziente ha al centro la salute della persona malata nella sua situazione concreta.
Come specificato nel “Manifesto per il Coraggio di Vivere”, che a oggi conta circa 8000 firme (vedi www.unicatt.it/centriricerca/bioetica_mi/manifesto/), occorre rinsaldare in Italia la certezza che ognuno riceverà trattamenti, cure e sostegni adeguati. Prima di pensare alla sospensione dei trattamenti, infatti, si deve garantire al malato, alla persona con disabilità e alla sua famiglia ogni possibile, proporzionata e adeguata forma di trattamento, cura e sostegno. La Costituzione Italiana, tutte le leggi vigenti in Italia, oltre alla Convenzioni sui Diritti dell’Uomo e alla recente Convenzione ONU sui diritti e la dignità delle persone con disabilità, affermano la dignità di tutti ad avere il diritto all’accesso alle cure.

L’implementazione delle cure palliative e dell’assistenza domiciliare, delle strutture di lungodegenza e degli Hospice possono essere una risposta all’eutanasia e all’abbandono terapeutico?
Si senza dubbio, anche se il territorio italiano ha una risposta molto disomogenea e spesso non si dà un supporto alla famiglia tale da poter sostenere le situazioni più difficili. ADI non riesce in tutto il territorio a compensare alle necessità di cura e di care e non sempre gli hospices sono sufficienti a coprire la domanda. Inoltre deve essere rafforzata ulteriormente la cultura sulle cure palliative, per tutte le età, sia al domicilio sia nelle strutture di ricovero e va riconosciuta l’importanza e l’impegno della medicina e della scienza per eliminare o alleviare il dolore delle persone malate o con disabilità, e per migliorare la loro qualità di vita, evitando ogni forma di accanimento terapeutico. Credo che questo sia un compito prezioso che conferma il senso della professione medica, non esaurito dall’eliminazione del danno biologico anche se non credo che implementare le cure palliative possa da solo essere sufficiente per eliminare la domanda di eutanasia che viene da chi si sente spesso abbandonato o da chi vede la propria famiglia abbandonata. (9 - continua) (D.Q.) (Agenzia Fides 26/2/2008; righe 81, parole 951)


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