N’Djamena (Agenzia Fides)- Diplomazia africana mobilitata per risolvere la grave crisi scoppiata tra Ciad e Sudan dopo gli scontri tra i militari dei due Paesi avvenuti nei giorni scorsi. Il Presidente sudafricano Thabo Mbeki è in visita in Sudan dove ha avuto colloqui con il Presidente sudanese Omar Bechir incentrati sui rapporti tra Khartoum e N’Djamena. Anche il leader libico Muhammar Gheddafi ha annunciato di aver inviato un proprio emissario presso la dirigenza dei due Paesi per cercare di appianare la situazione.
Lunedì 9 aprile, il governo ciadiano ha annunciato di aver respinto un attacco di un gruppo di circa 200 ribelli partito dal Sudan. Secondo Khartoum invece i militari ciadiani sarebbero penetrati in territorio sudanese scontrandosi con i militari locali. Nei combattimenti sarebbero morte un trentina di persone di entrambe le parti. In seguito il governo ciadiano ha ammesso che reparti del proprio esercito sono entrati nella regione sudanese del Darfur ma solo per inseguire un gruppo di ribelli che, dopo una serie di razzie in Ciad, hanno riguadagnato le loro basi in Sudan. Il ministro per le comunicazioni Moussa Doumgor ha inoltre accusato le forze sudanesi di essere intervenute a protezione delle retroguardie dei ribelli del CNT (Concordia Nazionale del Ciad), uno dei gruppi ribelli che si battono contro il governo di N’Djamena. Nonostante un accordo di non aggressione, firmato dai due Paesi due mesi fa, l’est del Ciad è sconvolto dagli attacchi di gruppi ribelli provenienti dal confinante Darfur, la regione sudanese a sua volta in preda ad una drammatica guerra civile.
La situazione nell’est del Ciad è speculare a quella che si verifica nel confinante Darfur. In entrambe le regioni vi è un conflitto che oppone i gruppi di origine araba a popolazioni di etnia africana. Vittime e carnefici sono musulmani e dunque la religione non c’entra. C’entra invece la politica. Infatti, le tradizionali dispute per la spartizione delle scarse risorse disponibili in un territorio desertico sono state manipolate dai governi, scatenando un conflitto di ampie proporzioni. Accade nel Darfur, dove la risposta alle legittime rivendicazioni delle popolazioni locali (scuole, infrastrutture, pozzi) è giunta sotto forma dei raid dei Janjaweed, le milizie a cavallo filo-governative, che depredano e distruggono i villaggi. Milioni di persone sono state costrette a rifugiarsi nei campi per sfollati all’interno del Darfur. Altre 200mila vivono nei campi per rifugiati in Ciad. Qui vi sono anche le basi dei ribelli sudanesi che si battono contro Khartoum, obiettivo delle rappresaglie dei Janjaweed. A farne le spese sono anche i villaggi ciadiani, come denunciato di recente da organismi delle Nazioni Unite: 400 ciadiani sono stati uccisi nel corso di un raid compiuto 10 giorni fa . Ad aggravare la situazione vi sono anche gli scontri tra etnie ciadiane. Anche in questo caso “arabi” contro “africani”, con le consuete manipolazioni politiche per il controllo del potere a N’Djamena, la capitale. Le regioni ciadiane alla frontiera con il Darfur sono infatti diventati il terreno di rifugio di una serie di fazioni che si oppongono al Presidente Idriss Déby, che ha inviato l’esercito, con il compito di difendere la frontiera ma anche di reprimere la ribellione interna ( a sua volta divisa, e in certi casi guidati da parenti del Capo dello Stato ciadiano, che hanno rotto con lui). Uno scenario complesso, dunque nel quale la comunità internazionale fa fatica a intervenire. La stessa missione dell’Unione Africana nel Darfur è sotto tiro: dopo l’uccisione di 5 militari sudanesi (vedi Fides 3 aprile 2007) un altro soldato della forza di pace ha perso la vita nel corso di un attacco condotto da sconosciuti nel nord Darfur. (L.M.) (Agenzia Fides 11/4/2007 righe 42 parole 598)