Caritas West Papua
Jayapura (Agenzia Fides) - Le popolazioni della Papua indonesiana respingono l'intenzione del nuovo governo indonesiano di rilanciare il programma di migrazione interna di popolazione da isole indonesiane (soprattutto Giva) verso la Papua. La trasmigrazione ("Transmigrasi") è il programma di spostamento interno di persone da regioni densamente popolate a regioni meno densamente popolate in Indonesia. Il programma fu ideato e avviato dal governo coloniale olandese ma ripreso e continuato nel secolo scorso dal governo indonesiano di Sukarno e poi, dalla metà degli anni '80, del dittatore Suharto, per poi venire sospeso agli inizi del 2000. Ora il governo indonesiano del neo presidente Prabowo Subianto ha annunciato di voler "rivitalizzare" con nuova popolazione dieci zone in Papua, "per rafforzare l'unità e fornire assistenza sociale alla popolazione locale". "Vogliamo che la Papua sia pienamente unita, come parte dell'Indonesia, in termini di benessere, unità nazionale e oltre", ha affermato Muhammad Iftitah Sulaiman Suryanagara, Ministro della trasmigrazione.
L'annuncio ha suscitato preoccupazione e proteste da parte degli indigeni papuani che hanno citato questioni sociali ed economiche. La Papua occidentale, parte occidentale della grande isola della Nuova Guinea, è territorio indonesiano ed è una regione ricca di risorse ma è da tempo un focolaio di conflitto: la popolazione indigena da decenni denuncia abusi e violazioni dei diritti umani da parte di militari, con la scarsa attenzione del governo di Giacarta. Gruppi indigeni e associazioni studentesche della Papua ricordano gli effetti negativi del programma nel quadro del "Nuovo Ordine" del dittatore Suharto negli anni '60: per dare spazio ai "coloni", terre degli indigeni furono sequestrate, foreste vennero abbattute e tradizioni culturali vennero distrutte (tanto che diversi gruppi indigeni ora parlano il dialetto giavanese meglio della loro lingua madre).
L'annuncio del governo ha suscitato perplessità anche tra i le comunità cristiane locali, che hanno invitato il governo a concentrarsi, invece che su una nuova "colonizzazione", sulle necessità delle popolazioni : il " Consiglio delle Chiese di Papua" organismo ecumenico che accoglie capi delle diverse confessioni cristiane, ha sottolineato che la popolazione della Papua ha "un disperato bisogno di servizi", e che "può fare a meno di un'ulteriore trasmigrazione". "I papuani hanno bisogno di istruzione, servizi sanitari e assistenza sociale e sviluppo", ha sottolineato il Consiglio. I capi delle comunità locali rimarcano che quel programma ha consolidato le disuguaglianze anziché promuovere la prosperità. Il fenomeno acuì problemi sociali, come le tensioni derivanti dalle differenze culturali e linguistiche tra gruppi diversi: gli indigeni della Papua subirono e percepirono l'emarginazione e l'esclusione, e si alimentò così il risentimento verso "gli stranieri", che erano cittadini indonesiani di altre isole, nonchè la "distanza" dal governo centrale di Giacarta.
Secondo statistiche ufficiali, nella regione di Papua, dal 1964 al 1999 si trasferirono di 78.000 nuove famiglie, stabilitesi nel territorio grazie a incentivi offerti dal governo: il programma venne sospeso per rispettare il principio della autonomia amministrativa delle varie regioni nel vasto arcipelago indonesiano. Oggi, come riporta l'Ufficio centrale di statistica dell'Indonesia, la popolazione della Papua indonesiana è di circa 6,2 milioni. Le tensioni mai sopite nella Papua indonesiana hanno creato uno stato di crisi a causa dei conflitti tra l'esercito indonesiano e gruppi separatisti armati come l'Organisasi Papua Merdeka (OPM) o il Free Papua Movement (nato già agli inizi degli anni '60): oggi vi sono ancora circa 80 mila sfollati interni papuani, in aree di conflitto. I gruppi combattenti rivendicano questioni di iniquità e ingiustizia a danno della popolazione locale.
(PA) (Agenzia Fides 6/11/2024)