ASIA/TIMOR EST - Fede e cultura, fede e storia sono inscindibilmente legate nella più giovane nazione dell'Asia: "Nel tempo della prova, il Signore non ci ha abbandonato", dice il Vicario generale di Dili

mercoledì, 31 luglio 2024 storia   fede   cultura  

Agenzia Fides

I giovani che gremiscono oggi la Chiesa di sant'Antonio nell'area di Motael, a Dili

di Paolo Affatato

Dili (Agenzia Fides) - "Che la vostra fede sia la vostra cultura" è il motto della visita di Papa Francesco che al 9 all'11 settembre sarà a Timor Est, terza tappa del suo viaggio in Oriente che, tra il 2 e il 13 settembre, toccherà Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor Est e Singapore. "È un'esortazione a vivere la fede in armonia con la cultura", osserva il Vicario generale dell'arcidiocesi di Dili, don Graciano Santos Barros. Nella nazione più giovane dell'Asia (l'indipendenza è stata scelta nel 1999 e proclamata nel 2002), a larga maggioranza cattolica, è in corso la preparazione della Chiesa locale per tutti momenti della visita: l'incontro con sacerdoti e religiosi nella Cattedrale di Maria Immacolata a Dili, dove sono in corso restauri all'interno della chiesa; l'incontro con i giovani nel Centro Congressi, che potrà accogliere oltre 4.000 giovani delle varie realtà, associazioni e parrocchie; la celebrazione dell'Eucarestia nella spianata di Tasi Tolu, alla periferia ovest della capitale, dove si sta allestendo il grande palco con l'altare, e dove sono attesi oltre 700mila fedeli da tutta Timor Est e anche dall'Indonesia e alter nazioni dell'area.

"La preparazione non è solo materiale, ma anche spirituale. La Conferenza episcopale ha preparato materiali per un ciclo di catechesi - in corso nelle tre diocesi timoresi di Dili, Maliana e Baucau - sulla biografia del Papa, sulla conoscenza di alcune encicliche, sulla sua missione di Pontefice e successore di Pietro, come sul tema centrale della visita, 'Che la vostra fede diventi la vostra cultura”, riferisce all'Agenzia Fides p. Bento Pereira, responsabile nazionale delle comunicazioni e dei media nella Conferenza episcopale di Timor Est. Per accompagnare i fedeli, è stata creata anche una preghiera, che viene recitata ogni giorno nelle chiese, nelle comunità religiose e nelle scuole di tutto il territorio.

"La riflessione sul rapporto tra fede e cultura - argomenta il Vicario p. Santos Barros - per noi si lega alla riflessione sul rapporto tra fede e storia. La storia della nazione, la storia di sofferenza e di liberazione di Timor Est, è inscindibilmente segnata e accompagnata dalla fede. Oggi, a 25 anni dal referendum per l'indipendenza possiamo guardare alla nostra storia con un cuore riconciliato, riconoscendo l'opera di Dio che ha illuminato le menti e i cuori degli uomini in tanti passaggi cruciali", spiega all'Agenzia Fides mentre mostra un complesso della Chiesa locale che comprende la "Casa de los Padres", una dimora per il clero, anche sacerdoti anziani o malati a Dili; l'Istituto superiore per Filosofia e Teologia; il Seminario maggiore interdiocesano, gremito di circa 250 seminaristi.

Nel 1975 , quando l'Indonesia occupò militarmente Timor Est, facendone una sua provincia, Barros era un bambino e ricorda "i genitori impegnati con il movimento della resistenza, ricordo la distruzione degli indonesiani, ricordo il pianto e lutto delle famiglie". Agli inizi degli anni '80, il movimento della resistenza iniziò a organizzarsi con il leader Xanana Gusmao (oggi Primo Ministro di Timor Est, ndr), su tre fronti diversi: quello clandestino, con i gli attivisti che vivevano sulle montagne, lontano dalle città; quello della formazione di un’ala militare; quello diplomatico-politico per cercare alleanze all’estero, “dato che la comunità internazionale era ignara di quanto stesse accadendo nella nostra piccola isola", rileva. Come tante altre famiglie, quella di don Graciano ha provato la clandestinità e la sofferenza, la fatica del sostentamento “sempre vissuti nella fiducia in Dio, nella certezza che il Signore avrebbe accompagnato i nostri passi e la strada verso la libertà", una strada che, per scelta politica, non utilizzò metodi terroristici ma venne sempre condotta con forme di lotta non violenta.
“A quel tempo suore, sacerdoti, catechisti, religiosi erano i nostri angeli custodi. Ci erano sempre vicini, condividevano la nostra sorte. Si pregava tanto, ogni scelta, ogni evento era preceduto e accompagnato dalla preghiera, cioè era un cammino spirituale, rimettevano le nostre azioni nelle mani di Dio”, racconta. “La fede accompagnava ogni nostro passo, nel travaglio e nella speranza”, afferma.

Come notano analisti e storici, la popolazione di Timor Est nel 1975, al tempo dell'occupazione indonesiana era cattolica per circa il 30%. Come riporta l'Annuario Statistico della Chiesa cattolica nell'edizione del 1972, Timor Est aveva 680mila abitanti di cui 188mila battezzati (il 29, 8% della popolazione), un dato che risulta significativo dal punto di vista storico e "della storia della salvezza in questo angolo di mondo", nota il Vicario. "Se pensiamo che oggi la popolazione timorese è oltre il 95% di cattolici battezzati (su 1,4 milioni di abitanti, oltre 1,3 milioni sono cattolici), s può comprendere come , negli anni critici dell'oppressione, l'elemento della fede si stato un baluardo, 'rifugio e forza’, come dice il salmo. La gente semplice di Timor Est, gente dal cuore aperto, ha compreso facilmente e ha percepito nell'intimo che il Vangelo era l'unica strada, l'unica salvezza. Ha gridato al Signore, ha confidato e creduto in Lui nella difficoltà e il Signore ha ascoltato la nostra preghiera. Nel tempo della prova, nel tempo del deserto che il popolo timorese ha vissuto come il popolo di Israele, il Signore non ci ha abbandonato e ci ha condotto la nostra terra promessa", ricorda, rileggendo in chiave salvifica i 25 anni in cui la popolazione ha lottato per la libertà e l'indipendenza.

Il Vicario ricorda un momento di svolta, il 25 novembre del 1991 quando avvenne il noto "massacro di Santa Cruz", che ebbe l'effetto di portare Timor Est all'attenzione della comunità internazionale: "I militari indonesiani avevano ucciso un ragazzo timorese, Sebastiao. C'era grande sdegno e commozione. Quel 12 novembre, dopo aver partecipato alla messa nella chiesa di Sant'Antonio a nella zona di Motael, i giovani timoresi organizzarono un corteo pacifico nel centro di Dili, fino al cimitero di Santa Cruz, un pellegrinaggio alla tomba di Sebastiao. Era un corteo in cui si innalzava forte la voce contro l'oppressore. Lì avvenne la tragedia: l'esercito indonesiano aprì il fuoco sulla folla inerme e 200 ragazzi vennero uccisi. Quell'evento, grazie alla coraggiosa presenza del giornalista olandese Max Stahl e alle sue riprese video, giunse nelle cronache internazionali e suscitò costernazione. Qualcosa cambiò nella comunità internazionale e nelle Nazioni Unite, e il fronte pro-indipendenza trovò sostegno a livello diplomatico". Dopo quel momento di lutto e di sacrificio, il cammino verso l'indipendenza procedette con maggiore convinzione e rapidità.

Allora nella Chiesa timorese spiccavano figure che restano nella storia e nel cuore del popolo: una fu quella di don Alberto Ricardo da Silva (1943-2015) (che poi, nel 2004, verrà nominato Vescovo di Dili, ndr) che, ai tempi della lotta di resistenza di Timor Est "cercò di proteggere molti giovani, ospitandoli nella sua parrocchia di Sant Antonio a Motael. Era il parroco al tempo del massacro di Santa Cruz del novembre 1991. Era un Pastore che aveva a cuore la giustizia e la pace e come Pastore, cercava sempre di proteggere e curare la vita del suo gregge", ricorda oggi il Vicario.

Vi era, poi, Carlos Felipe Ximenes Belo, il Vescovo salesiano che "parlava ai giovani di libertà, dignità, diritti umani e che divenne un punto di riferimento per la popolazione, insistendo su libertà e pace per la gente di Timor Est". Quando, nel 1996, verrà insignito del premio Nobel per la pace insieme con i leader politico timorese Josè Ramos-Horta (oggi presidente del paese, ndr), si era già all'ultimo tratto del cammino e tre anni dopo, nel 1999, l'Onu organizzò il referendum per l'indipendenza che sancì, con il 73% dei consensi, l'inizio della nuova storia nazionale per Timor Est.

"Negli anni precedenti - aggiunge - non si può dimenticare don Martinho Da Costa Lopes (1918-1991), che nel 1977 venne nominato Vicario Apostolico di Dili, direttamente dipendente dalla Santa Sede". L'uomo più volte denunciò apertamente le atrocità commesse dall'esercito indonesiano, anche in colloqui con il dittatore Suharto, allora al potere in Indonesia. "Don Martino fu una presenza importante per mostrare, fin dall'inizio, la stretta vicinanza della Chiesa alla popolazione e il suo fu un ruolo cruciale: nel colloquio con l'allora astro nascente della resistenza e della guerriglia, il leader Xanana Gusmao, don Martino gli disse profeticamente che, per avere successo, il movimento indipendentista avrebbe dovuto abbandonare l'ideologia marxista". Quella voce echeggiò nelle mente e nel cuore di Gusmao, che volle ascoltarla: nel 1988 Gusmao presentò un documento politico titolato "Riaggiustamento strutturale della resistenza e piano di pace", con cui si istituiva il "Consiglio nazionale della resistenza timorese", si tracciava un futuro di unità nazionale, si delineava il volto di un movimento di resistenza unitario e non di parte, si sanciva lo scioglimento del partito marxista-leninista e la rinuncia esplicita alla ideologia marxista. "Questo passaggio fu determinante, in quanto , abbandonata la strada dell'ideologia, l'unico riferimento ideale per la popolazione che lottava per la libertà era la fede cattolica", ricorda don Graciano.

Conclude il Vicario generale di Dili: "I valori evangelici che hanno guidato quei 25 anni, rappresentando la bussola per tutti noi, erano: il rispetto della vita che è inviolabile e dunque la dignità inalienabile di ogni persona fatta a immagine e somiglianza di Dio; la libertà dall'oppressione, con la speranza della autodeterminazione, in cui abbiamo sempre creduto, con il desiderio di costruire la nostra storia, la nostra patria, il nostro futuro. In questo cammino ho potuto notare per me, per la mia famiglia, per tante famiglie di Timor Est, la mano provvidenziale di Dio che si è fatto presente nella storia del popolo timorese, come in quella del popolo di Israele. Possiamo dire che la fede in Cristo è stata una delle componenti essenziali in quel tempo, nella nostra storia e nella nostra cultura, e lo è tuttora".
(Agenzia Fides 31 luglio 2024)

Allievi all'Istituto Superiore di Filosofia e Teologia a Dili

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Il palco e l'altare in costruzione nella piana di Tasi Tolu (Dili) per la messa di Papa Francesco

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Il cimitero di Santa Cruz a Dili, luogo del massacro del 1991

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Il Vicario generale di Dili, don Graciano Santos (a sinistra), con alcuni seminaristi

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