Nairobi (Agenzia Fides) - I Vescovi del Kenya si schierano dalla parte dei giovani che in queste ultime settimane sono scesi in piazza inscenando manifestazioni dall’alto valore politico, che vanno ben al di là della protesta contro l’aumento delle tasse. L’Arcivescovo di Nairobi Philip Arnold Anyolo, in un messaggio ai giovani rilasciato nella Basilica della Sacra Famiglia in occasione del Saba Saba day, un giorno speciale nel Paese in cui i keniani ricordano le proteste nazionali del 7 luglio 1990 per chiedere libere elezioni, ha esaltato i ragazzi per aver superato ogni divisione tribale e partitica: "La loro battaglia – ha dichiarato - ci ricorda che siamo uniti dalla lotta per il bene comune, dalla nostra comune umanità e dalla nostra comune identità di keniani". "A loro interessa solo che tutti noi consideriamo il Kenya più importante delle nostre affiliazioni tribali e dei nostri programmi personali - ha poi aggiunto in un altro passaggio del messaggio ai giovani. “Ci chiedono di essere altruisti, di pensare all'altro come a noi stessi, ci chiedono di andare oltre i tanti confini e titoli che ci separano".
Al fine di comprendere meglio dall’interno la situazione del Paese africano l’Agenzia Fides ha intervistato John Oballa Owaa, vescovo di Ngong, sede suffraganea dell'arcidiocesi di Nairobi che conta circa 250mila battezzati su 2 milioni di abitanti.
“Siamo alla quinta settimana da quando sono scoppiate le proteste in varie parti del paese e al momento le cose sembrano normalizzate. Resta in piedi l’iniziativa voluta dai dimostranti di mantenere due giorni – martedì e giovedì – durante i quali tenere vive manifestazioni in vari punti del paese, ma in tono minore. L’appuntamento per l’8 agosto prossimo, però, per una grande manifestazione, è confermato. I negozi, gli uffici, sono nella gran parte aperti e operativi. Le posso dire con certezza che una parte dei giovani sta apprezzando i cambiamenti messi in atto dal presidente (ritiro del contestatissimo disegno di legge di tassazione e rimpasto quasi totale del governo, ndr) e sono in una posizione attendista”.
I ragazzi sono scesi in piazza con molto coraggio, affrontando le cariche della polizia e pagando un alto prezzo: il bilancio reso noto da un rapporto della Commissione nazionale keniana per i diritti umani (Knchr), smentisce le cifre ufficiali diffuse dal governo e parla di una quarantina di morti e 361 feriti.
“Sono ragazzi che credono nei loro ideali e che portano avanti tematiche valide, fanno emergere i veri problemi della nostra società, i costi dei beni di consumi indispensabili, le tasse, la corruzione, l’alto tasso di disoccupazione anche tra quei giovani che hanno specializzazioni molto qualificate e che, nonostante anni e anni di studio, restano a casa, senza lavoro. Per portare avanti le loro istanze giuste, molti di loro hanno pagato il prezzo più alto o sono rimasti feriti. È importante sottolineare al tempo stesso che le loro proteste hanno avuto successo: l’esecutivo precedente era incompetente, basato su concetti di potere tribali, ed è stato quasi completamente rimosso, il progetto di legge sulle tasse è stato ritirato, le tasse universitarie sono in fase di revisione, insomma i cambiamenti avvenuti ci danno speranza”.
Membri autorevoli della comunità ecclesiale hanno solidarizzato con i ragazzi e molti hanno guardato a essa come un riferimento. L’impegno dimostrato da tantissimi giovani in ogni angolo del Paese è visto da molti come un seme di maggiore giustizia e pace sociale.
“Alcuni dei rappresentanti hanno raggiunto un alto livello di influenza nella società e ricevono grande solidarietà che va ben al di là di divisioni di classe, provenienza, etnico-tribali. C’è un grande senso di unità che mira a rendere il Kenya un Paese migliore, per questo abbiamo fatto dichiarazioni a sostegno e ci siamo impegnati. Abbiamo anche offerto assistenza e counseling per i feriti, per le famiglie e ribadiamo un concetto a noi molto caro: c’è bisogno di un dialogo multisettoriale, come in una famiglia in cui c’è malcontento, la soluzione migliore è nel conversare e ascoltarsi. Rimaniamo molto vicini ai giovani e abbiamo iniziato un processo di dialogo tra loro e la leadership politica”.
Nelle società dell’’Africa sub-sahariana i giovani sono la stragrande maggioranza, con casi in cui sfiorano l’80% della popolazione. Le loro richieste sono sempre più decisive nella promozione di istanze di cambiamento.
“Abbiamo mostrato ai ragazzi che le nostre chiese sono aperte, li invitiamo a venire e mostrarci i loro problemi. Loro ci chiedono di non invitare i politici, di non farsi strumentalizzare: le chiese sono e devono restare un luogo sacro ed evitare, come è successo, anche in alcune di quelle cattoliche, di venire politicizzate. Di una cosa siamo certi, quanto innescato da questi ragazzi avrà conseguenze enormi e porterà cambiamenti reali: anche in Uganda ci sono state manifestazioni e l’esempio della nostra Gen-Z sta contagiando altri. È un seme che cresce, il coraggio e l’unità saranno ripagati. Nelle nostre società i giovani sono oltre il 70%, il futuro lo costruiscono loro”. (L.A.) (Agenzia Fides 31/7/2024)
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