Imphal (Agenzia Fides) - Non si profila all'orizzonte nessuna soluzione per il profondo divario etnico che si registra nello stato indiano del Manipur, in India nordorientale, sconvolto dalla violenza interetnica scoppiata a maggio di un anno fa. Lo scontro tra due comunità etniche (Meitei e Kuki) ha provocato circa 200 morti e migliaia di feriti, oltre alla distruzione di 200 villaggi e 7.000 case, 360 chiese o cappelle cristiane e alcune sinagoghe. Attualmente la popolazione vive ancora campi di soccorso che accolgono 60.000 sfollati, organizzati dal governo statale e dalle Ong, mentre le due comunità scontratesi sono state divise da una "zona cuscinetto" .
Il conflitto prolungato ha influenzato gli aspetti sociali ed economici della vita quotidiana, causando un aumento del costo della vita. Ha inoltre indotto molti cittadini ad abbandonare lo stato e trasferirsi in altre zone dell'India. L'impatto è stato anche di carattere culturale: legami e rapporti sociali tra le due comunità si sono interrotti in molte aree, complicando attività quotidiane come l’agricoltura o la pesca che in passato vedevano persone di diversi gruppi etnici a interagire tranquillamente .
E se la violenza scoppiata nel maggio del 2024 sembra per ora sedata, restano irrisolte le questioni di fondo che l'hanno causata. La soluzione temporanea trovata dal governo per interrompere il ciclo di aggressioni e uccisioni è stata quella di separare i contendenti, nel tentativo di ricreare le basi per una stabilità. Ma, alla lunga, questo ha comportato la nascita dell'idea di istituire unità amministrative separate per Kuki e Meitei nella regione
Un grave ostacolo per il ritorno alla normalità è la diffusa presenza di fazioni armate civili che alimentano gruppi separatisti e milizie che hanno rapidamente militarizzato la società. Oltre 4.500 armi sono state saccheggiate dagli arsenali della polizia dopo lo scoppio della violenza etnica nello stato. Da allora sono state recuperate o consegnate solo circa 1.800 armi da fuoco con la rinascita di gruppi armati precedentemente dormienti, vi sono attualmente gravi difficoltà a far rispettare lo stato di diritto e la sicurezza sociale. In tale situazione, i progetti di sviluppo e gli investimenti che esistevano prima della violenza si sono arenati. I giovani sono frustrati e nell'instabilità e nella tensione generale si fa strada e va rafforzando il desiderio di due amministrazioni separate.
Un piccolo segno di speranza, in una situazione di perdurante divisione, viene dall'esperienza di una coppia di coniugi mista: Donjalal Haokip, di etnia Kuki, e sua moglie Rebati Dev, che è una Meitei, gestiscono "Ema" (che significa "madre"), un istituto per orfani che si prende cura dei bambini di entrambe le comunità. E? una esperienza che testimonia l'armonia e promuove la speranza nella comunità di Manipur. I due coniugi, che hanno vissuto anche un matrimonio interreligioso (lui è cristiano, lei indù), gestiscono la casa Ema a Keithelmanbi, zona sensibile tra l'area di controllo di Meitei ( la Valle Imphal) e l'area in cui sono sono stanziati i Kuki (il distretto di Kangpokpi). La coppia, che gestisce l'orfanotrofio dal 2015, si prende cura di 17 bambini provenienti da contesti diversi: tra loro vi sono Meitei, Kuki, Naga e nepalesi. "L'amore e la convivenza sono l’unico antidoto alla violenza e la via verso la pace", dicono i due auspicando "il trionfo della ragione e il prevalere della pace, desiderio e necessità di tutti".
(PA (Agenzia Fides 20/5/2024)