Roma (Agenzia Fides) – Di fronte ai conflitti che continuano ad insanguinare il continente africano, spesso nell’indifferenza generale, pubblichiamo la riflessione di un sacerdote che sottolinea la necessità di non cedere alla tentazione dello scoraggiamento nel cammino verso la costruzione di una pace autentica, in quanto per raggiungere l’obiettivo è necessaria una paziente e lunga educazione, a tutti i livelli.
Giungere alla pace è la sintesi ed il coronamento di ogni nostra aspirazione. La pace – come noi stessi intuiamo – è pienezza ed è gioia. Per instaurarla tra gli Stati, si moltiplicano i tentativi negli scambi bilaterali o multilaterali, nelle conferenze internazionali, e vi sono anche alcuni che assumono in prima persona iniziative coraggiose per stabilire la pace o allontanare la minaccia di una nuova guerra.
Si rileva, però, al tempo stesso, che sia le persone singole sia i gruppi non finiscono mai di regolare i loro conflitti segreti o palesi. Sarebbe, dunque, la pace un ideale al di fuori della nostra portata? Lo spettacolo quotidiano delle guerre, delle tensioni, delle divisioni semina il dubbio o lo scoraggiamento. Focolai di discordia e di odio sembrano addirittura essere attizzati artificialmente da certuni che non ne portano poi le conseguenze. E troppo spesso i gesti di pace sono ridicolmente impotenti a cambiare il corso delle cose, quando non sono sopraffatti ed, infine, riassorbiti dalla logica dominante dello sfruttamento e della violenza.
La timidezza e la difficoltà delle riforme necessarie avvelenano le relazioni tra i gruppi umani, pur uniti tra loro da una lunga od esemplare storia comune; nuove volontà di potenza propendono a ricorrere alla costrizione del numero o alla forza brutale, per sbloccare situazioni, sotto lo sguardo impotente, ed a volte interessato e complice, di altri Paesi, vicini o lontani; i più forti come i più deboli non hanno più fiducia nelle procedure pazienti della pace.
D’altronde, la paura di una pace mal sicura, esigenze di ordine militare o politico, interessi economici e commerciali conducono alla creazione di arsenali od alla vendita di armi di spaventosa capacità distruttiva: la corsa agli armamenti prevale allora sui grandi compiti pacifici, che dovrebbero unire i popoli in una solidarietà nuova, fomenta sporadici ma sanguinosi conflitti ed accumula più gravi minacce. E’ vero: ad un primo sguardo, la causa della pace soffre di un handicap scoraggiante.
E tuttavia in quasi tutti i discorsi pubblici, a livello sia nazionale , che internazionale, raramente si è tanto parlato di pace, di distensione, di intesa, di soluzioni ragionevoli dei conflitti, conformemente alla giustizia. La pace è diventato lo slogan che rassicura o che vuole sedurre. Questo è, in un certo senso, un fatto positivo: l’opinione pubblica delle Nazioni non sopporterebbe più che si facesse l’apologia della guerra, e neppure che si corresse il rischio di una guerra offensiva.
Ma per raccogliere la sfida che si impone a tutta l’umanità, di fronte al difficile compito della pace, non bastano le parole, sincere o demagogiche che siano. In particolare, a livello degli uomini politici, degli ambienti o dei centri da cui, più o meno direttamente, più o meno segretamente, dipendono i passi decisivi verso la pace o, al contrario, il prolungamento delle guerre o delle situazioni di violenza, è necessario che penetri il vero spirito di pace. E’ necessario, come minimo che ci si trovi d’accordo nell’appoggiarsi su alcuni principi, elementari ma fermi, quali, ad esempio, i seguenti: gli affari degli uomini devono essere trattati con umanità, e non mediante la violenza; le tensioni, le liti ed i conflitti devono essere regolati mediante negoziati ragionevoli, e non mediante la forza; le opposizioni ideologiche devono essere tra loro confrontate in un clima di dialogo e di libera discussione; gli interessi legittimi di determinati gruppi devono tener conto anche degli interessi legittimi degli altri gruppi parimenti implicati e delle superiori esigenze del bene comune; il ricorso alle armi non può essere considerato come lo strumento appropriato per risolvere i conflitti; i diritti umani imprescrittibili devono essere salvaguardati in ogni circostanza; non è permesso uccidere per imporre una soluzione.
Ogni uomo di buona volontà può ritrovare questi principi di umanità nella sua propria coscienza. Essi corrispondono alla volontà di Dio sugli uomini, e perché diventino salde convinzioni presso i potenti e presso i deboli, così da impregnare tutte le azioni, occorre ridare ad essi tutta la loro forza. E’ necessaria una paziente e lunga educazione a tutti i livelli.
Uomini impegnati nella vita professionale e sociale, spesso è difficile per voi realizzare la pace. Non c’è pace senza giustizia e senza libertà, senza un coraggioso impegno per promuovere l’una e l’altra.
La forza che allora si esige deve essere paziente senza rassegnazione né scoraggiamento, ferma senza provocazione, prudente per preparare attivamente l’auspicato progresso, senza dissipare le energie infiammate di indignazione violenta, che subito si spengono. Contro le ingiustizie e le oppressioni, la pace è costretta ad aprirsi una strada adottando una soluzione risoluta. Ma questa azione deve già portare l’impronta del fine a cui si indirizza, e cioè una migliore accettazione reciproca delle persone e dei gruppi. Essa troverà una regolazione nella volontà di pace che sgorga dalle profondità dell’uomo, nelle aspirazioni e nella legislazione dei popoli. E’ questa capacità di pace, coltivata e disciplinata, che illumina nel trovare, di fronte alle tensioni e agli stessi conflitti, le tregue necessarie a sviluppare la logica feconda e costruttiva. Ciò che avviene nella vita sociale interna dei Paesi ha una considerevole ripercussione – per il meglio e per il peggio – sulla pace tra le Nazioni.
La pace come pienezza di vita, cioè di verità, di giustizia, di libertà, resta il termine più alto dell’anelito e dell’impegno di ogni uomo e di tutti i popoli. La Chiesa serve la causa della pace predicando il messaggio delle beatitudini e dell’amore evangelico, proponendo criteri sempre più rigorosi di rispetto dei valori umani, indicando anche, come ha fatto nel Concilio Vaticano II, strade concrete di internazionalizzazione dell’autorità per ridurre le tensioni e quindi gli armamenti. E nessuno più di chi mette a repentaglio la propria vita, può essere sensibile e grato di questa passione per la causa della pace. (W.T.) (Agenzia Fides 23/2/2009; righe 74, parole 1.012)