EUROPA - Un’umana realtà

martedì, 11 marzo 2008

Roma (Agenzia Fides) - La normativa approvata in prima lettura dal Parlamento del Lussemburgo il 19 febbraio 2008 sulla legalizzazione dell’eutanasia, prevede la stesura di un testamento biologico ad opera di persona maggiorenne. Il medico che dovrà por fine alla vita di un malato, avrà bisogno del parere di un collega riguardo la gravità ed incurabilità della malattia per poter procedere ed è prevista la creazione di una Commissione nazionale di controllo, composta sia da medici che da rappresentanti della società civile, a cui è affidato il compito di esaminare caso per caso le condizioni mediche e giuridiche che giustifichino il ricorso al suicidio assistito. Sulla scia della laica affermazione europea dei cosiddetti diritti civili, il Gran Ducato si appresta quindi ad aggiungersi alla Svizzera, dov’è stato depenalizzato il suicidio medicalmente assistito, al Belgio e all’Olanda, “garantendo così il diritto civile e umano all’autodeterminazione”, si dice.
Anche in Italia, il dibattito sul testamento biologico, che riduce ad una forma contrattualistica la relazione medico-paziente e prelude all’introduzione della pratica eutanasica, è in pieno svolgimento. C’è chi, riferendosi alla morte naturale, la definisce “morte da aguzzini”, parla di “ideologia fanatica”, di “tortura artificiale di Stato, imposta come armamentario tecnologico e di ricatto punitivo”. Linguaggio forte, realista, moderno, non violento, a parere di chi lo esprime. C’è chi, da una parte ritiene di sottrarre al dibattito pubblico i temi legati all’etica, affidandoli alla coscienza individuale, come se alla politica, che è tentativo di governare la realtà, dovesse essere sottratto il dibattito sulla vita e sulla morte e c’è anche chi, come risposta, inserisce questi temi nei programmi per governare il Paese. Così, da una stessa parte politica convivono coloro che nella formazione delle leggi, per convinzione e ragione, dovrebbero affermare l’indisponibilità del bene vita - che è uno dei principi basilari dell’ordinamento giuridico - e coloro che esprimono “soddisfazione e speranza” per il crinale anti-vita che sta praticando parte consistente della cultura europea.
Il diritto alla vita e la dignità del vivere, se prevalesse questa posizione culturale e politica, non sarebbero salvaguardati come beni in sé, per tutti e per ciascuno, ma dovrebbero, di volta in volta, essere bilanciati con l’interesse di terzi, della maggioranza. Si consuma, in quest’edonismo globalizzante, una sorta di dominio dell’utilitarismo. Quel che serve, va conservato, quel che non serve, anche l’essere umano, va gettato via e si introduce nella coscienza collettiva - che tende ad essere annullata - un elemento di formidabile pericolosità intellettuale e civile, che stravolge il concetto stesso di bene comune, fondamento della vita associata e del servizio che la politica dovrebbe prestare alla collettività: il bene comune viene inteso, quindi, come sommatoria dei beni individuali. Io, come individuo, posso anche essere annullato, purché rimanga o aumenti un interesse di un maggior numero di persone. A ben guardare è questa la “visione” del protocollo di Groningen”, che ha introdotto in Olanda la possibilità dell’eutanasia neo-natale, è questa l’impostazione scientifica dominante con la quale viene usato, ad esempio, lo strumento della diagnosi pre-natale, che si è tramutata, nel tempo, in una determinazione selettiva sulla natalità.
Si parla di “qualità della vita” e si tende a dare della vita una “misura”, riferendosi anche ai costi sociali e al recupero della capacità produttiva. Si insinua nella coscienza collettiva, in modo subdolo ed efficace, da una parte il concetto che una singola persona non vale per se stessa, solo perché sta al mondo, ma per i “calcoli” che la società fa su di lei, dall’altra che debba prevalere la cosiddetta funzione sociale, negando a quella stessa persona la sua dignità. Tutto questo viene teorizzato. Qualche anno fa, Peter Singer, filosofo con cattedra di Filosofia Morale a Princeton, in Australia, pubblicò “La vita come si dovrebbe”. Un programma chiaro: il dolore è negativo, a prescindere da chi lo provi; gli esseri umani non sono gli unici esseri capaci di provarlo; quando valutiamo la gravità dell'atto di togliere una vita dobbiamo guardare non alla razza, al sesso o alla specie cui l'essere appartiene, ma alle sue caratteristiche: per esempio il suo desiderio di continuare a vivere o il genere di vita che è capace di condurre; siamo responsabili non solo di ciò che facciamo, ma anche di quello che avremmo potuto impedìre. Per Singer, autocoscienza e desiderio sono gli elementi fondamentali per poter dire che un individuo è anche una “persona” e ne consegue che ‘feti, handicappati, neonati, anziani, che non hanno reale coscienza, non sono persone”.
Caino chiedeva a Dio: “Sono forse il custode di mio fratello?”. Nella vita associata, che è definita dalle regole e dai principi che una politica attenta alla morale si dà, è compito di ciascuno salvaguardare il bene della vita di ciascuno e questo bene costituisce il principio. Tutti gli altri beni, anche quelli apparentemente più utili socialmente, rimangono, rispetto ad esso, in secondo piano. E’ compito della politica, e del potere, garantire questa umana realtà. (S.G.) (Agenzia Fides 11/3/2008; righe 56, parole 816)


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