GIOVANNI PAOLO II E LE ALTRE RELIGIONI di don Ernesto Lettieri

mercoledì, 15 ottobre 2003


Roma (Agenzia Fides) - “Inviata da Dio alle genti per essere ‘sacramento universale di salvezza’ , la Chiesa, per le esigenze più profonde della sua cattolicità e obbedendo all’ordine del suo Fondatore, si sforza di annunciare l’evangelo a tutti gli uomini.” (Ad Gentes 1).
“Nel nostro tempo in cui il genere umano si unifica di giorno in giorno più strettamente e cresce l’interdipendenza tra i vari popoli, la Chiesa esamina con maggiore attenzione la natura delle sue relazioni con le religioni non-cristiane. Nel suo dovere di promuovere l’unità e la carità tra gli uomini, anzi segnatamente fra i popoli, essa esamina qui innanzitutto tutto ciò che gli uomini hanno in comune e che li spinge a vivere insieme il loro comune destino. (Nostra Aetate 1).
L’inizio di due importanti documenti del Vaticano II° esprime bene l’idea di Chiesa che il Concilio vuole mettere in evidenza, quale appunto sacramento universale di salvezza per tutti gli uomini e sacramento di unità dell’intero genere umano. Tale concezione la troviamo sintetizzata in modo ancora più evidente nella Lumen Gentium, la costituzione dogmatica sulla Chiesa, la quale ha fatto da fulcro, assieme alla costituzione pastorale Gaudium et spes, a tutto il magistero di Giovanni Paolo II°. Il Concilio ha ereditato dalla Tradizione tale concezione, ampliandola di contenuti ed evidenziandola maggiormente e in modo più solenne. In continuità con questa Tradizione, i venticinque anni del pontificato di papa Wojtyla non rappresentano altro che l’attuazione e la testimonianza apostolica e pastorale appunto di questa concezione di Chiesa come ‘sacramento’.
Per Giovanni Paolo II°, questi due fondamentali concetti di fede – la Chiesa sacramento universale di salvezza e sacramento di unità del genere umano – non hanno rappresentato, e non rappresentano soltanto, la natura intima della Chiesa, ma anche due sfide pastorali e missionarie a cui egli ha voluto rispondere attraverso il suo pontificato ed in particolare con il suo magistero. Due ‘segni dei tempi’ che attraverso Giovanni Paolo II° la Chiesa ha voluto perseguire per essere ed esprimere meglio se stessa.

Il magistero di Giovanni Paolo II° sulle altre religioni
L’intero magistero del papa sulle altre religioni va letto ed interpretato all’interno di questo contesto teologico, pastorale e spirituale che abbiamo brevissimamente tracciato.
Già nella sua enciclica programmatica Redemptor Hominis si possono trovare le coordinate fondamentali dell’insegnamento di Giovanni Paolo II° sulle altre religioni. Insegnamento che ha fatto da base a ciò che successivamente verrà sviluppato nei venticinque anni del suo pontificato. In questo documento, il papa ci fa capire subito a chiare lettere qual è il compito fondamentale della Chiesa: la missione. Cioè, il compito di portare a tutti gli uomini la Redenzione procurata da Cristo. Da questo punto di vista la Chiesa è chiamata a confrontarsi – a dialogare – con il fenomeno umano in quanto tale. Con tutto ciò che le si prospetta davanti. Ai nn. 6, 11 e 12 del documento, più precisamente invece si parla del dialogo che la Chiesa deve sostenere con il fenomeno religioso in senso lato e con le religioni in senso specifico.
Così, da questi numeri dell’enciclica programmatica, si può già notare come Giovanni Paolo II° tratta delle altre tradizioni religiose da due punti di vista che noi riteniamo fondamentali: uno, le altre tradizioni religiose sono considerate dal papa una emanazione della universale azione dello Spirito Santo che soffia oltre i confini visibili della Chiesa, con cui si è chiamati a dialogare; due, le altre religioni sono inevitabilmente interpretate alla luce della missione che la Chiesa ha, di portare cioè la Redenzione di Cristo a tutti gli uomini.
Nel corso del suo pontificato, Giovanni Paolo II° diverse volte ed in molteplici modi ha posto l’accento su questi due punti fondamentali di teologia delle religioni, attraverso cui la Chiesa è chiamata a rapportarsi con esse. A riguardo delle modalità concrete, basti pensare all’incontro interreligioso di Assisi del 1986, dove sono confluiti moltissimi leaders di varie tradizioni religiose che insieme col papa hanno pregato per la pace; così come non si possono dimenticare i diversi incontri che egli ha avuto nei vari viaggi apostolici, soprattutto in Asia, con i più importanti leaders religiosi dei paesi che ha visitato. In particolare Assisi, ma poi tutti questi incontri, hanno inciso profondamente nella storia contemporanea della Chiesa e del mondo. Manifestando così non solo un volto inedito della Chiesa ma anche un volto profondamente autentico di ciò che il Concilio chiedeva ad essa, di essere sacramento di salvezza e di unità del genere umano.
Se il magistero di Giovanni Paolo II° sulle altre religioni è costellato di questi segni – eventi – di altissimo profilo; è altrettanto vero che dal punto di vista degli insegnamenti – delle parole – a cui siamo interessati maggiormente in questo caso, il magistero del Santo padre è di una novità e di una levatura straordinaria.
I due punti di vista fondamentali di cui sopra, attraverso cui il papa ha trattato delle altre religioni nel corso di questi suoi 25 anni di pontificato, si possono dedurre da varii discorsi ed interventi tenuti dal Sommo Pontefice, ma in particolare da due encicliche molto importanti del suo magistero. La prima è l’enciclica sullo Spirito Santo, Dominum et Vivificantem, quinta del suo pontificato e conclusiva di quella trilogia di encicliche dedicate alle tre Persona della SS. Trinità. In essa viene esaltata non solo la Persona dello Spirito ma anche la sua Azione nella Chiesa e la sua Azione universale nel mondo. In particolare al n° 53, si dimostra che il ‘vento soffia dove vuole’(Gv.3,8), e perciò la Chiesa deve avere la capacità di saper guardare ‘al largo’ per scorgervi quello Spirito che porta a compimento il disegno della volontà del Padre di ricapitolare in Cristo l’universo intero (cf. Ef. 1,3-14). A tal punto ciò, da ritenere che: “…lo Spirito santo dia a tutti la possibilità di venire in contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale.” (GS 22). Al numero 64 invece tratta in modo mirabile, della ‘Chiesa come segno e strumento della presenza e della azione dello Spirito vivificante’. E rifacendosi alla Lumen gentium tratta della Chiesa come sacramento dell’unità dell’intero genere umano che si radica nel mistero non solo della redenzione ma anche della creazione: “E ci è caro prendere una coscienza sempre più viva del fatto che dentro l’azione svolta dalla Chiesa nella storia della salvezza, inscritta nella storia della umanità, è presente ed operante lo Spirito Santo, colui che col soffio della vita divina pervade il pellegrinaggio terreno dell’uomo e fa confluire tutta la creazione – tutta la storia – al suo termine ultimo, nell’oceano infinito di Dio.” (DV64).
Se già nella enciclica sullo Spirito Santo vi troviamo i presupposti teologici fondamentali per affermare che lo Spirito soffia anche oltre i confini visibili della Chiesa e quindi nelle stesse religioni non cristiane. Solo però nella enciclica Redemptoris Missio sul mandato missionario della Chiesa – l’ottava del suo pontificato, il papa in modo più esplicito e più evidente pone in risalto la relazione tra l’azione universale dello Spirito santo con l’azione missionaria e sacramentale della Chiesa e le altre tradizioni religiose. Tutto il capitolo 3° dell’enciclica parla dello ‘Spirito santo protagonista della missione’, e più precisamente i nn. 28 e 29 ci presentano una vera e propria teologia delle religioni in una prospettiva prettamente pneumatologica, in relazione appunto alla terza Persona della SS. Trinità.
Il tema riguardante le altre religioni, la missione della Chiesa e l’azione universale dello Spirito santo, che in modo preponderante abbiamo trovato presente in questi documenti magisteriali, si trova, anche se in modo meno solenne ma con la stessa incisività, in diversi altri discorsi pronunciati dal papa. Evidentemente non potendoli menzionare tutti, riteniamo opportuno in questo caso evidenziarne solo alcuni quando affronteremo più da vicino le tematiche dottrinali sulle altre religioni che scaturiscono dal magistero di Giovanni Paolo II°.

Le grandi linee dottrinali del magistero di Giovanni Paolo II° sulle altre religioni
Se questo è a grandissime linee il magistero del papa sulle altre Religioni, quale è la dottrina che ne scaturisce? Quali le caratteristiche fondamentali, dal punto di vista teologico, dell’intero insegnamento di Giovanni Paolo II° sulle altre religioni?
Intanto come prima cosa, bisogna dire che non è assolutamente facile dedurre i tratti essenziali del magistero petrino sulle altre tradizioni religiose; in quanto questa problematica, come è facile intuire, si interseca notevolmente con molteplici aspetti teologici e più precisamente con molteplici aspetti che investono la Chiesa. In questi venticinque anni il Santo padre ha trattato questo argomento in contesti diversi, sotto diversi punti di vista, e con una ampiezza di contenuti notevolissima. Perciò non è facile sintetizzare una simile ricchezza; peraltro non vogliamo assolutamente correre il rischio di sminuire la portata e la grandezza di tale insegnamento.
I punti dottrinali che a noi a riguardo appaiono fondamentali nel magistero di Giovanni Paolo II° sono i seguenti:
1°) – L’universale operante presenza dello Spirito santo, senza limiti di tempo e di spazio ;
2°) – Lo Spirito santo che opera per mezzo dei ‘semina verbi’ ;
3°) – Lo Spirito che agisce nel cuore dell’uomo offrendogli luce e forza per rispondere alla sua vocazione ;
4°) – L’azione dello Spirito santo che tocca anche la ‘dimensione sociale’ dell’uomo e perciò anche la Religione ;
5°) – L’atteggiamento complessivo della Chiesa verso questa universale presenza dello Spirito ed in particolare verso le altre Tradizioni religiose .
Questi sono i 5 punti essenziali del magistero petrino di Giovanni Paolo II° a proposito delle altre religioni, in relazione della missione dello Spirito Santo e della Chiesa.
Il passo successivo è quello di evidenziarne lo sviluppo e la coerenza interna di queste 5 linee, nell’ambito dei venticinque anni del pontificato del Sommo Pontefice.

Lo sviluppo delle linee dottrinali di Giovanni Paolo II° sulle altre religioni
Il 1° punto che riguarda l’azione universale dello Spirito, come abbiamo già notato ha il suo fondamento nei testi di RM 28 e 29, in DV 53 e in RH 6, così come nel testo conciliare di GS 22. Invece le radici bibliche di questa azione universale dello Spirito si possono trovare nel testo di Gv 3,8 e in Sap. 1,7.
Da questi testi di Giovanni Paolo II° ci pare di capire che nella azione universale dello Spirito santo, non viene affatto sminuito il dato storico della salvezza che si è realizzata attraverso quell’uomo concreto che fu Gesù di Nazaret; bensì si vuole mostrare la portata universale di questa salvezza in Cristo, la quale ad opera dello Spirito santo è attingibile per ogni uomo, dovunque egli si trovi e a qualunque condizione socio-culturale egli appartenga.
Secondo il papa, proprio in considerazione di questa visione pneumatologica (dello Spirito santo) dell’Evento Cristo, che noi possiamo attribuire al Cristianesimo un valore universale: “L’universalità della salvezza non significa che essa è accordata solo a coloro che, in modo esplicito, credono in Cristo e sono entrati nella Chiesa. Se è destinata a tutti la salvezza deve essere messa in concreto a disposizione di tutti.” (RM 10). La grandezza di Giovanni Paolo II° sta anche nel merito di aver fatto maggiormente scoprire alla Chiesa del terzo millennio, il valore universale della sua fede e le conseguenze che da questo valore ne derivano
Cosicchè per coloro i quali sono nati e cresciuti in condizioni socio-culturali diverse dal contesto cristiano e spesso educati in altre tradizioni religiose si ha che: “Per essi la salvezza di Cristo è accessibile in virtù di una grazia che, pur avendo una misteriosa relazione con la Chiesa, non li introduce formalmente in essa, ma li illumina in modo adeguato alla loro situazione interiore ed ambientale. Questa grazia proviene da Cristo, è frutto del suo sacrificio ed è comunicata dallo Spirito santo: essa permette a ciascuno di giungere alla salvezza con la sua libera collaborazione.”(RM 10).

Nel 2° punto dottrinale, si viene a dimostrare ‘come’ questa universale presenza operante dello Spirito possa toccare concretamente ogni uomo in relazione alla redenzione operata da Cristo.
Per il papa e ancora prima per il Concilio (cf. AG 11 e LG 17) il modo attraverso cui si realizza tutto ciò, avviene attraverso l’azione del Verbo di Dio che sparge i suoi ‘semi’di verità e di bene. Della antica dottrina dei ‘semina verbi’, già adottata da alcuni padri della Chiesa per parlare della verità che si manifesta fuori della sotto diverse forme, Giovanni Paolo II° ne parla in rapporto alle altre religioni in RH 11 e naturalmente in RM 28; evidenziando il fatto che essa non è solo legata alla Persona di Cristo ma anche all’azione universale dello Spirito di Verità: “I ‘semi di verità’ presenti ed operanti nelle diverse tradizioni religiose sono il riflesso dell’unico Verbo di Dio, ‘che illumina ogni uomo’(Gv.1,9) e che si è fatto carne in Cristo Gesù(Gv.1,14). Essi sono insieme effetto dello Spirito di verità operante oltre i confini del corpo mistico e che ‘soffia dove vuole’(Gv.3,8).” (Udienza generale del 09/09/1998).
Questa dottrina che si ispira significativamente al quarto vangelo a papa Wojtyla sta molto a cuore, facendoci capire che proprio alla luce di essa, entrambi le ‘economie’ – quella del Verbo e quella dello Spirito – possono essere significativamente intrerpretate e finalizzate a realizzare l’unità del cosmo e della storia: l’unità della famiglia umana di cui la Chiesa ne è il sacramento: “L’universale unità fondata sull’evento della creazione e della redenzione non può non lasciare una traccia nella realtà viva degli uomini, anche appartenenti a religioni diverse. Per questo il Concilio ha invitato la Chiesa a scoprire e rispettare i germi del Verbo presenti in tali religioni.” (Allocuzione alla curia romana del 22/12/1986).

Il 3° e il 4° punto invece, ci aiutano a capire il ‘luogo’ antropologico, e della creazione, in cui vengono sparsi questi semi del Verbo per opera dello Spirito santo. La domanda a cui si vuole rispondere in questi punti è: ‘dove’ agisce questa Grazia, ed in seguito anche ‘che cosa’ questa Grazia – opera del Verbo e dello Spirito – produce nell’ambito dell’intera creazione?
Il papa attraverso il suo insegnamento ci fa intendere chiaramente che Essa agisce sia nell’intimo del cuore dell’uomo, sia in tutti gli aspetti ‘sociali’ della persona, fra cui in modo eminente la religione e le religioni.
Per quanto riguarda il cuore dell’uomo, il papa ne parla sempre al n° 28 di RM, rifacendosi completamente come è ovvio, visto che ne è stato uno degli ispiratori al Concilio, alla dottrina della Gaudium et Spes, e precisamente al n° 38. Alla luce della dottrina conciliare egli non vuole altro che evidenziare come l’uomo, di per sè, è capace di Dio:”Se Dio nel suo Spirito si apre all’uomo, questi d’altra parte è creato come soggetto capace di accogliere l’autocomunicazione divina. L’uomo – come dice la tradizione del pensiero cristiano – è ‘capax Dei’: capace di conoscere Dio e di accogliere il dono che Egli fa di se stesso. Creato infatti ad immagine e somiglianza di Dio, è in grado di vivere un rapporto personale con lui e di rispondere con l’obbedienza d’amore alla relazione d’alleanza propostagli dal suo Creatore.” (Udienza generale 26/08/1998 – cf. DV 34).
Ma che cosa compie lo Spirito attraverso i semi del Verbo nel cuore dell’uomo capace di Dio?
Secondo Giovanni Paolo II° - sempre alla luce degli insegnamenti conciliari – questo Spirito fa sì che l’uomo sia fondamentalmente ‘religioso’. Come? Donando all’uomo quella ‘luce’ e quella ‘forza’ che lo rende capace di rispondere alla sua vocazione umana e divina (cf. RM 28). Vocazione che si manifesta in modo particolare quando egli si esprime religiosamente, soprattutto nella preghiera. Quando nella sua attività umana si sforza di tendere alla verità, al bene e a Dio, o quando testimonia con la sua vita l’assolutezza del bene morale (cf. VS 94).
Se questo è quello che lo Spirito compie nel cuore della persona: che cosa Egli compie nell’ambito specifico della religione e delle religioni?
Intanto, come abbiamo più volte ribadito, per Giovanni Paolo II° è un dato di fatto che: “La Presenza e l’attività dello Spirito non toccano solo gli individui, ma la società e la storia, i popoli, le culture, le religioni. …E’ ancora lo Spirito che sparge i ‘semi del Verbo’, presenti nei riti e nelle culture, e li prepara a maturare in Cristo.” ( RM 28).
Sulle basi dottrinali di GS 22, AG 3.9.11. e del famosissimo documento ‘Dialogo e Annuncio’ del 1991 (documento congiunto del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli), nella già citata udienza del ’98, egli addirittura arriva a dire, che normalmente i seguaci delle altre religioni rispondono positivamente a Dio e ricevono la salvezza in Cristo, quando praticano ciò che buono nella propria tradizione religiosa, anche se non riconoscono Gesù come il loro Salvatore. In pratica: “Tale possibilità si realizza mediante l’adesione intima e sincera alla Verità, il dono generoso di sé al prossimo, la ricerca dell’Assoluto suscitata dallo Spirito di Dio.” (Udienza generale del 09/09/1998).
Ma allora la Chiesa? Alla luce di tutte queste considerazioni che cosa ci sta a fare? In questo contesto quale è il suo ruolo? Di più! quale atteggiamento essa deve assumere di fronte alle altre religioni?

A tutte queste domande vogliamo che risponda ancora una volta Giovanni Paolo II°, nel 5° punto della nostra disamina. In questo ultimo punto vogliamo mettere in evidenza ‘come’ la Chiesa si deve comportare di fronte a questo Spirito le soffia dall’esterno anche attraverso le altre tradizioni religiose.
Dal magistero del Santo padre prima di tutto possiamo capire il valore che bisogna dare a questo Spirito che alita fuori dalla Chiesa, senza limiti di spazio e di tempo; per poter dedurre poi l’atteggiamento che la Chiesa deve tenere di fronte alle varie manifestazioni di questo Spirito, in particolare verso le religioni.
Per quanto riguarda il valore che la Chiesa deve dare allo Spirito che agisce nelle altre religioni, il papa, sulla scorta come sempre di tutta la tradizione della Chiesa, dai Padri sino al Vaticano II°, ci insegna che le religioni proprio in virtù di questo Soffio sono da considerarsi per la Chiesa una ‘praeparatio evangelica’(RM 29, DV54, TMA 6); a sua volta facendoci capire due cose essenziali per la Chiesa. La prima, non vi può essere separazione fra l’azione dello Spirito e del Verbo al di fuori della Chiesa, con l’azione dello Spirito e del Verbo al di dentro della Chiesa (RM 29, DV 7.23.54); anche se fra le due dinamiche di azione vi è una manifesta alterità. Alterità che è dovuta all’assolutà novità dell’ Incarnazione del Verbo di cui la Chiesa è depositaria e testimone. La seconda cosa, altrettanto essenziale, è che la Chiesa proprio in virtù di questa diversa azione dello Spirito al suo interno, ed in forza del Deposito che ha ricevuto, è chiamata a porre in atto inevitabilmente la sua missione. Qui naturalmente non possiamo citare tutte i testi magisteriali del papa a riguardo della missione della Chiesa, ci pare ovvio. Semplicemente vorremmo ribadire che secondo Giovanni Paolo II° le altre religioni sono teologicamente orientate ed ordinate, così come il Concilio ci attesta in particolare nella Lumen Gentium, alla comunione e all’unità dell’unico popolo di Dio.
Da questo punto di vista allora, quale dovrebbe essere l’atteggiamento della Chiesa verso le altre religioni secondo il pensiero di Giovanni Paolo II°?
Per il papa l’atteggiamento complessivo della Chiesa nei confronti delle altre religioni si qualifica attraverso tre caratteristiche fondamentali: a) ‘profondo stima’ e ‘sincero rispetto’ verso tutte le altre tradizioni religiose senza dimenticare la natura missionaria della Chiesa (cf. RH 12, RM 29, Udienza 09/09/1998) ; b) la caratteristica fondamentale del ‘dialogo’ che qualifica la Chiesa come sacramento di unità del genere umano (cf. RM 56, Udienza 09/09/1998, Allocuzione 22/12/1986); c) sulla base di Nostra Aetate 1, la ‘diaconia – il servizio – dell’unità’ nei confronti dell’intera comunità umana (cf. Allocuzione 22/12/1986).

Conclusione
Concludendo questa analisi sul magistero di Giovanni Paolo II° a riguardo delle altre religioni, non possiamo non pensare a quel ‘grido’ che egli lanciò all’inizio del suo pontificato, il quale profeticamente così suonava: “Non abbiata paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi della cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa ‘cosa c’è dentro l’uomo’. Solo lui lo sa!”.
Quel grido è risuonato anche in noi, ma ancor di più è risuonato con spirito profetico e regale in tutti questi venticinque anni del suo pontificato, tanto da scandire la storia della Chiesa e del mondo in questo passaggio dal vecchio al nuovo millennio.
Come abbiamo notato quel grido di fede e di spirituale novità Giovanni Paolo II° lo ha scandito anche a proposito delle altre religioni, affinchè la Chiesa, guidata dallo Spirito di Cristo e del Padre, possa aprirsi al futuro con più ampia speranza per continuare ad essere per il mondo sacramento di salvezza e di unità dell’intero genere umano. (Agenzia Fides 15/10/2003)


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