Photo Teresa Tseng Kuang Yi
di padre Federico Lombardi SJ*
Roma (Agenzia Fides) - Pubblichiamo l’intervento pronunciato dapadre Federico Lombardi in occasione dell’Atto Accademico intitolato “A cento anni dal Concilio di Cina: tra storia e presente”, che nel pomeriggio di venerdì 10 ottobre ha concluso nell’Aula Magna dell’Ateneo la giornata di inizio d’Anno accademico della Pontificia Università Urbaniana.
Durante l’Atto Accademico è stato presentato il volume “100 anni dal Concilium Sinense: tra storia e presente 1924-2024”, pubblicato dalla Urbaniana University Press, a cura del Dicastero missionario.
Il volume raccoglie gli Atti del Convegno internazionale sul “Concilium Sinense” svoltosi presso la stessa Università Urbaniana il 21 maggio 2024, esattamente 100 anni dopo il Concilio di Shanghai.
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Anzitutto ritengo doveroso manifestare grande apprezzamento per il bellissimo volume che presentiamo in questa occasione, cioè gli Atti del Convegno internazionale svoltosi in questa stessa sede lo scorso anno nel centesimo anniversario del Concilio di Shanghai, integrati da tre significative relazioni del Convegno tenuto all’Università Cattolica di Milano il giorno precedente per la stessa occasione.
A parte l’altissimo livello ecclesiale e culturale dei relatori romani e milanesi, qui ben noti (e di cui non ripeto quindi i nomi), il fatto che cinque autorevoli relatori, fra cui anzitutto il nuovo Vescovo di Shanghai, S.E. Mons. Shen Bin, ma anche due figure di primo piano dell’Accademia Cinese delle Scienze Sociali (la prof.sa Zheng Xiaoyun e il prof. Liu Guopeng) e due Direttori di Istituti culturali cinesi riconosciuti di alto profilo (il prof. Tan Lizhu e il rev. Antonio Chen Ruiqi), fossero venuti insieme appositamente dalla Cina per questa occasione, dimostra di per se stesso l’importanza e il significato dell’iniziativa nel quadro dello sviluppo delle relazioni culturali, ecclesiali e, diciamo pure, anche diplomatiche fra la Chiesa e la Cina. Oltre all’equilibrio fra i relatori - non cinesi e cinesi -, anche il fatto che la pubblicazione sia integralmente bilingue, italiano-cinese, che è costata molto tempo e lavoro, le conferisce un valore particolare. Intendo dire che la forma bilingue è in se stessa un messaggio, coerente con l’argomento trattato e con lo spirito che ha animato il grande passo in avanti del Concilio di Shanghai.
Il volume è molto apprezzabile anche nei suoi ricchi contenuti. Ci permette di conoscere realmente meglio questo evento di cent’anni fa, certo uno dei più importanti per la storia della Chiesa in Cina nel secolo XX, ma cruciale anche per la storia complessiva delle missioni cattoliche.
Grazie ai diversi contributi, possiamo ambientare il Concilio di Shanghai nel contesto delle complesse vicende della storia e della società cinese in quel periodo, con la fine dell’Impero e il passaggio alla Repubblica; come pure nel contesto della storia della Chiesa, dei suoi rapporti con il colonialismo e con l’affermarsi degli Stati-nazione; e naturalmente in modo più specifico nella storia dei rapporti fra la Santa Sede e la Cina.
Con il contributo di Liu Guopeng e Chen Ruiqi, siamo guidati a capire la preparazione del Concilio, la scelta di Shanghai per la sua celebrazione, lo svolgimento e i problemi affrontati dall’assemblea - che vanno dalla terminologia religiosa ai problemi concreti della vita ecclesiale -, la revisione e l’approvazione romana dei documenti conclusivi, la recezione e gli sviluppi successivi.
In tutta questa vicenda spicca la grande figura dell’Arcivescovo Celso Costantini e la sua coraggiosa fedeltà nel porre in atto le direttive di Benedetto XV per un rinnovamento delle missioni cattoliche chiaramente liberate dai condizionamenti politici e culturali del colonialismo occidentale. E’ un vero ribaltamento della situazione e della prospettiva. Si mira decisamente a formare e valorizzare il clero locale e a preparare la nomina di vescovi cinesi, riducendo la dipendenza quasi totale dai missionari europei. Solo così la Chiesa cattolica potrà non essere più vista come straniera, ma come cinese. Allo stesso tempo si manifesta l’apprezzamento per la coscienza nazionale cinese, che si va consolidando nel superamento del colonialismo e della profondissima umiliazione che ha arrecato alla dignità del popolo cinese e della sua grande e millenaria tradizione.
Il ruolo di Costantini può essere considerato decisivo, tuttavia non bisogna dimenticare l’importanza di altre voci che lo accompagnano, in particolare di quelle cinesi. Se no, si rifà ancora una volta inconsapevolmente l’errore di privilegiare la prospettiva europea.
Perciò è giusto che nel volume venga segnalata la figura di Ma Xiangbo, ben delineata nell’ampia relazione del prof. Li Tiangang. Membro di un’autorevole famiglia cattolica di Shanghai ed entrato nella Compagnia di Gesù da cui era stato educato, egli aveva lasciato la Compagnia proprio per le tensioni con i suoi confratelli francesi, ma si afferma come figura di primo piano nella cultura e nella società cinese, e ha un ruolo decisivo nella fondazione delle università cattoliche, prima la Aurora a Shanghai con i gesuiti, e poi la Fu Jen a Pechino. Perciò sostiene efficacemente l’inserimento della Chiesa cattolica nel campo dell’educazione e della cultura cinese e la necessità della crescita non solo numerica, ma culturale del clero autoctono.
Ma in questo mio breve intervento vorrei sottolineare soprattutto due punti.
Dopo la lettura complessiva degli Atti e più specificamente dei contributi degli autori cinesi mi sembra di poter riscontrare che nei decenni recenti si va affermando un consenso che prima non esisteva sul riconoscimento di alcuni pilastri fondamentali del ponte del dialogo e dell’incontro fra la Chiesa e la Cina.
Il primo è Matteo Ricci con i suoi primi confratelli e i suoi amici cinesi. Il secondo è Celso Costantini con il Concilio di Shanghai e il movimento ecclesiale che lo accompagna.
Il primo – come dicevo - è quello rappresentato dalla figura e dall’opera di Matteo Ricci. La maggior parte dei relatori vi fa riferimento come modello di atteggiamento culturale e spirituale positivo, basato sul rispetto e sul dialogo, sull’incontro rispettoso e fecondo fra la Chiesa e la cultura cinese, per usare una parola cara a Ricci “sull’amicizia”. Si sono usati i termini di “accomodamento” o “adattamento”, ma certo è una prima fase imprescindibile di quello che oggi siamo soliti dire “processo di inculturazione”, o – come oggi insistono a dire i cinesi con un termine di significato ancora oscillante – di “sinizzazione”.
E’ un fatto che oggi sia le autorità ecclesiastiche, a cominciare dai papi recenti, sia le autorità cinesi, non solo ecclesiastiche, ma anche civili, comprese le più alte, nominano correntemente Ricci come modello di atteggiamento culturale e spirituale positivo per il dialogo e l’incontro fra oriente e occidente, fra cristianesimo e realtà cinese. Pur con i suoi limiti, il tempo e l’opera di Ricci e dei gesuiti della fine epoca Ming e inizio epoca Qing possono essere considerati un primo pilastro solido, e riconosciuto dalle due parti, del ponte del dialogo e incontro fra la Chiesa e la Cina.
Segue purtroppo un tempo molto lungo, diciamo pure veramente tragico, in cui questo rapporto viene messo radicalmente in crisi. Prima per la “controversia dei riti”, interna alla Chiesa, e poi per l’ambiguità del rapporto di “protezione” delle missioni cristiane da parte delle potenze europee intrecciato con il loro colonialismo. La responsabilità degli errori compiuti da parte cattolica, con i conflitti fra gli ordini religiosi e le incomprensioni romane, con il senso radicato di superiorità culturale da parte di missionari pur generosi, continuano ad obbligarci a una meditazione molto profonda sulla storia della Chiesa e delle sue missioni. Quanti rifiuti, risentimenti, opposizioni fino a persecuzioni violente e drammatiche, ne sono stati in gran parte la conseguenza. E continuiamo a sentirne gli strascichi e l’eco fino ad oggi. Su tutto questo complesso di “errori e limiti del passato”, Giovanni Paolo II, a nome della Chiesa, disse una parola molto forte nel contesto delle sue grandi richieste di perdono al tempo del Grande Giubileo, proprio rivolgendosi alla Cina, ai cinesi e alle loro autorità: “Per tutto questo chiedo perdono e comprensione a quanti si siano sentiti, in qualche modo, offesi, feriti da tali forme di azione dei cristiani” (GPII, Insegnamenti, XXIV, 2 (2001), 601-666).
Su questo sfondo il Concilio di Shanghai e le sue conseguenze, l’opera di Costantini, si presentano come un evento storico, che segna una svolta determinante, con seguiti di lungo periodo. Il valore di questo Convegno-Incontro, testimoniato ora negli Atti, è proprio nel consolidare e condividere il riconoscimento di questo fatto, non solo da parte della Chiesa cattolica con le sue autorità e i suoi studiosi, ma anche da parte cinese, sia civile sia ecclesiale.
I compromessi con il colonialismo devono finire. La Chiesa cattolica non è straniera in Cina, non è importata, ma ha le sue radici profondamente piantate in Cina e deve diventare capace di vivervi e svilupparsi con forze proprie. Pur senza separarsi dalla più ampia comunità della Chiesa universale, è componente vitale della nazione cinese con la sua cultura millenaria.
Anche se occorrerà ancora un lungo cammino perché tutto questo si traduca nella vita concreta delle comunità ecclesiali e perché sia capito dagli interlocutori esterni alla Chiesa, anche se il prezzo da pagare per le opposizioni sorte nel corso del tempo sarà ancora altissimo e continui anche ai nostri giorni, possiamo affermare come acquisito che il Concilio di Shanghai e l’opera di Costantini costituiscono un nuovo e solido pilastro del ponte dell’incontro fra La Chiesa cattolica e la Cina. Per usare il vocabolario dei nostri relatori cinesi, ad esempio Liu Guopeng, siamo passati da un adattamento profondo a una vera “indigenizzazione”.
Naturalmente il Concilio di Shanghai va visto non come un evento isolato, come un episodio, ma come un momento centrale di un processo che comprende altri momenti ad esso collegati. Anzitutto la consacrazione dei primi vescovi cinesi da parte di Pio XI, di cui celebreremo il centenario l’anno prossimo, poi la chiusura definitiva della controversia sui riti cinesi e lo stabilimento della gerarchia ecclesiastica in Cina da parte di Pio XII. Anche a questi passi ulteriori porterà il suo contributo decisivo l’Arcivescovo Costantini, rientrato a Roma, come Segretario di Propaganda Fide. Tutto questo insieme di eventi, nonostante i conflitti che seguiranno, costituisce un nuovo punto di appoggio indistruttibile per lo sviluppo del rapporto fra la Chiesa e la Cina. Anzi forse possiamo dire - quasi paradossalmente - che il fatto che i conflitti successivi non abbiano potuto distruggere il ponte - è la dimostrazione della profondità del radicamento della fede cristiana in Cina fin dai tempi di Ricci e della solidità della rinnovata “indigenizzazione” della Chiesa cattolica dopo la fine dell’Impero e nella nascita della Cina moderna.
Dobbiamo assolutamente continuare a far conoscere e maturare la coscienza e la convinzione dell’irreversibilità di questo secondo passaggio. Perciò il discorso sul centenario del Concilio di Shanghai deve necessariamente continuare e approfondirsi collegandosi a quello ormai imminente sul centenario delle ordinazioni episcopali cinesi, nell’anno venturo.
Qui si inserisce il secondo punto su cui vorrei attrarre la vostra attenzione
Se vogliamo proseguire idealmente con l’immagine dei pilastri del ponte, alcune relazioni degli Atti mettono in rilievo anche un successivo pilastro. Se il Concilio di Shanghai esprimeva il rinnovamento e l’allargamento degli orizzonti della Chiesa per un incontro più vero e profondo con l’identità e la cultura cinese, il Concilio Vaticano II allarga gli orizzonti della Chiesa per il dialogo con il mondo moderno in tutta la sua vastità e nella varietà delle culture. Questo può favorire anche una interazione con la dinamica di apertura della Cina al mondo che caratterizza l’epoca attuale e su cui ha molto insistito la Prof.sa Zheng Xiaoyun. Un altro dei relatori cinesi – Tan Lizhu - riporta un pensiero di Yves Congar, secondo cui “il cattolicesimo prima del Concilio Vaticano II sembrava offrire poca speranza per il mondo reale. La speranza era divenuta individuale ed escatologica piuttosto che universale, sociale e storica” (p.156). Personalmente posso aggiungere che anche Papa Benedetto XVI, nell’Enciclica Spe salvi, sviluppa le sue considerazioni critiche su una visione troppo ristretta e individualistica della speranza cristiana. Una nuova Cina, che si considera protagonista del futuro del nostro pianeta, non si sente in contraddizione con la Chiesa, preoccupata e corresponsabile per il destino dell’umanità e della sua casa comune. Per parte sua, il Vescovo di Shanghai, Shen Bin, evoca la ben nota affermazione dei papi recenti, ripetuta in particolare da Papa Francesco in relazione alla Cina, che essere un buon cristiano non è incompatibile con l’essere un buon cittadino, ma ne è parte integrante. Un altro relatore – Tan Lizhu - insiste con acutezza sulla compatibilità, anzi sulla reciprocità necessaria di universalità e cinesizzazione, perché “l’universalità si incarna nella differenza e non l’abolisce” (p.160).
Insomma, nonostante le rigidità e categoricità che traspaiono anche da certe pagine di questo volume, si può affermare che esse ispirano fiducia, sia per il cammino storico di cui ci fanno prendere atto, sia per le prospettive positive che incoraggiano a coltivare.
Inoltre, ci ricordano che il cammino della Chiesa in Cina è accompagnato e guidato dallo Spirito Santo.
Lo dice espressamente anzitutto il Papa Francesco nel suo messaggio in apertura del Convegno: “Lo Spirito Santo riunì i padri conciliari del Concilium Sinense, fece crescere l’armonia fra loro, li portò lungo strade che molti tra loro non avrebbero immaginato, superando anche le perplessità e le resistenze. Così fa lo Spirito Santo che guida la Chiesa” (p.17). Ma il tema dell’opera dello Spirito Santo è ripreso con entusiasmo e convinzione anche da uno dei relatori cinesi – Tan Lizhu - , parlando della sinodalità come modo o stile di azione appropriato per la Chiesa del Terzo Millennio e del “camminare con lo Spirito Santo”, perché la Chiesa di Dio possa “camminare con la Cina, camminare con il popolo cinese, glorificare il Signore e fare del bene al popolo” (p. 159).
Non si tratta solo di una considerazione “devota” a conclusione di queste brevi riflessioni. Si vuol dire il valore spirituale profondo dell’impegno perché si rafforzino anche a vantaggio della Chiesa in Cina le strutture di comunione e partecipazione nella Chiesa universale.
In questo contesto, mi sia lecito alla fine osservare che sia per il padre Matteo Ricci, sia per il cardinale Celso Costantini sono in corso le cause di beatificazione, con gioia e sostegno di molti fedeli cinesi. La loro opera illuminata per l’evangelizzazione, per l’incontro fra la fede cristiana e la civiltà cinese non è stata solo frutto di intelligenza, ma allo stesso tempo di virtù cristiana in ascolto dello Spirito Santo. Continuiamo con fiducia nel solco della loro ispirazione e del loro esempio.
Grazie!
(Agenzia Fides 11/10/2025)
*Presidente della Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger-Benedetto XVI