AFRICA/GUINEA BISSAU - Tra le capanne di Bigene la missione comincia col segno della croce

sabato, 27 luglio 2024

di Fabio Beretta

Bigene (Agenzia Fides) – Strade dissestate, temperature tropicali, e tra le foreste piccoli villaggi di capanne circondati da campi coltivati a riso, mango e cadjù. È questo l’angolo di mondo in cui da più di trent’anni, vive e opera un gruppo di suore missionarie, appartenenti alla Congregazione delle Suore Oblate del Sacro Cuore di Gesù, affiancate da alcuni sacerdoti fidei donum dell'Arcidiocesi di Foggia-Bovino.

A chiamarle fu Settimio Ferrazzetta, primo Vescovo della Guinea-Bissau dopo la raggiunta indipendenza, che alle Suore Oblate aveva proposto di iniziare una missione in virtù del loro carisma, dedito alla collaborazione coi sacerdoti nel servizio reso alle nuove Chiese particolari.

La missione nacque nel 1991 a Bigene, un villaggio situato al nord della Guinea Bissau, vicino al confine con il Senegal, distante 40 km dalla città di Farim e 30 da Ingorè. Oggi, il territorio della missione comprende una cinquantina di villaggi sparsi su circa 300 chilometri quadrati. Di questi, solo una ventina sono abitati da cristiani. Gli altri sono abitati in maggioranza da musulmani o animisti.

“Li chiamiamo cristiani - riferisce all’Agenzia Fides don Marco Camilletti, missionario fidei donum dell’Arcidiocesi di Foggia-Bovino che per diversi anni ha svolto il suo ministero proprio a Bigene - ma molti di loro non hanno ancora ricevuto il battesimo. Però partecipano alle catechesi, pregano, prendono anche parte alla celebrazione eucaristica”.

Per ricevere il battesimo, spiega il sacerdote, “il percorso dura 7 anni. E in questo lasso di tempo, quando organizziamo le catechesi, molti lasciano il lavoro nei campi di giorno per ascoltarci. Viene sempre qualcuno, anche nei periodi in cui il lavoro è più intenso. C’è chi ci aiuta in parrocchia, o che ci chiama per dire una preghiera quando muore qualche congiunto, anche se la famiglia non è cattolica…”.

Il percorso per il battesimo è lungo, ma i battezzati continuano a crescere. “Poco più di dieci anni fa - racconta don Marco - nella parrocchia di Bigene si contava una sola famiglia sposata in chiesa. A fare la comunione erano pochissimi, quattro o cinque. Oggi possiamo dire che molti ragazzi figli di cristiani partecipano alla vita liturgica e pastorale della parrocchia, anche se alcuni di loro non possono ricevere i sacramenti perché poligami".

Don Marco ricorda quella che definisce una “mega cerimonia” celebrata nel 2014 il giorno di Pentecoste: “Nella stessa celebrazione abbiamo avuto una trentina di battesimi, diverse prime comunioni e cresime di giovani e adulti, più cinque matrimoni. Eravamo moltissimi, non esistono chiese così grandi da contenerci. Così i riti dei diversi sacramenti vennero celebrati all’aperto, nella foresta, in una radura tra le palme”.

Negli ultimi anni, nei villaggi della parrocchia, sono fiorite anche alcune vocazioni: “Al momento - racconta don Marco - c’è una ragazza, Francisca, che sta seguendo il percorso di formazione con le suore. C’è stato anche un ragazzo che è entrato in una congregazione di religiosi”.

Entrare in seminario, fa notare il missionario, è reso complicato anche dal problema della bassa scolarizzazione: “Nei seminari è richiesto un livello alto di istruzione ma in Guinea Bissau non tutti arrivano alle scuole medie. Alle famiglie interessa che i figli sappiano leggere e scrivere. Poi bisogna lavorare nei campi”.

Eppure molti segnali suggeriscono che si sta vivendo anche per le vocazioni sacerdotali e religiose un ‘tempo di semina’: “Sono diversi i ragazzi e le ragazze che intraprendono un percorso di formazione. Pochi lo continuano, molti lo abbandonano perché capiscono che non fa per loro. È nato anche un gruppo intorno a un centro vocazionale dedicato agli adolescenti. È l’inizio del percorso”.

L’opera apostolica compiuta dai missionari non sembra far conto su mezzi sofisticati e strategie pianificate. “Personalmente – racconta don Marco – non sono mai andato in giro a fare pubblicità ai corsi di catechesi in villaggi in cui nessuno sa di cosa si tratta. Di solito sono gli stessi abitanti dei diversi villaggi che vengono a chiamarci quando qualcuno di loro viene a sapere delle nostre opere e delle nostre preghiere. Fanno un ragionamento semplice. Pensano: ’Aiutano tutti, aiuteranno anche noi’”. Poi tutto accade secondo le dinamiche misteriose e sorprendenti con cui opera la grazia: “Col tempo qualcuno lascia, qualcuno rimane. E qualcuno chiede di essere battezzato”.

Per presentare la persona di Gesù ai villaggi africani del XXI secolo, racconta ancora don Camilletti, "partiamo da zero, dall’a-b-c: il segno di croce. Quello è il punto di partenza”. “Poi ci sono le storie del Vangelo che arrivano col tempo, piano piano, assieme a quelle dell’Antico Testamento. Sono storie semplici che molti di loro già conoscono in un certo senso”. Don Marco fa l’esempio della Creazione: “Se dico loro di Dio che crea il mondo, lo capiscono perché questo lo riconoscono tutti, anche gli animisti. La novità è Gesù, che porta la salvezza”.

La novità cristiana viene proposta adattandosi alle prassi e ai valori della cultura locale: “Non cancelliamo la loro cultura” rimarca il missionario “ma ne prendiamo elementi e esempi per comunicare il Vangelo in modo che sia compreso e accolto. Ad esempio, quando loro partono per un viaggio versano acqua o vino su una rocca e recitano una preghiera agli antenati che suona così: “Fa che possa viaggiare bene e tornare sano e salvo. Un po’ come noi che quando ci mettiamo in viaggio ci affidiamo a Santa Maria del cammino”. Per questo “conviene conoscere molto bene la loro cultura prima. Viviamo in una società agricola, fanno una vita molto semplice. Ma la loro cultura è ricchissima e offre tanti spunti e buone occasioni per proclamare e testimoniare inserire nel vissuto la Buona Notizia di Gesù”.
(Agenzia Fides 27/7/2024)


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