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di Paolo Affatato
Paksè (Agenzia Fides) - “Lo spirito missionario, la pratica missionaria di girare per i villaggi e visitare le famiglie cattoliche, o di parlare di Gesù e chi non lo conosce, con la gioia nel cuore – e con tanta fatica perché si cammina o si viaggia in motocicletta a in zone di foresta o di montagna – posso dire con sincerità che è una caratteristica peculiare e dell’essere cristiani in Laos, in questo piccolo paese del Sudest asiatico. Se penso alla mia vita di battezzato, poi di prete e ora di vescovo, ebbene è sempre stata missionaria, sempre dinamica, mai ferma. Sempre in movimento per portare il Vangelo a ogni creatura. In Laos, non sapremmo fare altrimenti. La nostra vita è missionaria ogni giorno e in ogni circostanza. Semplice, con pochi mezzi, ma con la grande gioia di esserlo. In questo posso dire che siamo in profonda sintonia e mettiamo in pratica, nel nostro essere Chiesa, le parole che Papa Francesco ci ha consegnato nella Evangelii Gaudium”.
La testimonianza rilasciata all’Agenzia Fides dal Vicario apostolico di Paksé, mons. Andrew Souksavath Nouane Asa, 50 anni – che pubblichiamo a conclusione del mese dell’Ottobre missionario – offre alcuni degli aspetti essenziali e dei tratti peculiari della vita di fede vissuta dal “piccolo gregge” dei fedeli laotiani, realmente una delle periferie più lontane e misteriose della Chiesa cattolica nel mondo, dato un perdurante isolamento, solo da poco tempo scalfito da nuove politiche di apertura all’esterno, e viste le difficoltà di comunicazione che ancora si registrano nella nazione governata da un partito comunista. Vissuta in un paese che, su 7,3 milioni di abitanti, conta 51mila battezzati, divisi in 4 Vicariati apostolici (Vientiane, Paksè, Luang Prabang, Savannakhet), questa esperienza assume, nella sua semplicità e immediatezza, un valore universale e paradigmatico per tutte le comunità cattoliche.
Il Vicario apostolico racconta la storia della sua vocazione: “Sono nato nel 1972 nella città di Paksè, vicino alla casa del Vescovo, da una famiglia cattolica. Mia madre e mio padre avevano in passato conosciuto i missionari ed hanno ricevuto il battesimo. Mio nonno si prendeva cura dei padri francesi delle Missioni Estere di Parigi (MEP), preparava per loro il cibo, li aiutava nel servizio pastorale. I miei genitori erano molto devoti. Frequentavamo ogni domenica la messa e poi parlavamo della Parola di Dio. Mamma poi mi chiedeva: cosa ha detto il prete nell’omelia? Quale parola del Vangelo ti è rimasta nel cuore? In casa pregavamo. Il seme della fede cresceva in me. Ho iniziato a servire all’altare durante la liturgie. E ad accompagnare il parroco che girava per i villaggi a celebrare i sacramenti, a parlare, a visitare le famiglie del Vicariato. Quell’opera missionaria mi ha davvero ispirato. La mia vocazione presbiterale è cresciuta intrisa dello spirito missionario di uscire, incontrare, consolare, fare del bene alla gente più povera e lontana”.
Prosegue il Vicario: “Il parroco ogni tanto chiedeva: chi continuerà quest’opera? Me lo chiedevo anch’io. La chiamata di Dio al sacerdozio già si affacciava nel mio cuore, ma senza grande chiarezza. Certo, quel moto missionario di donarsi al prossimo mi attraeva. Un bel giorno mi chiese: cosa vuoi essere? Come vuoi aiutare la Chiesa? Vuoi essere catechista, insegnante, prete? Dissi il mio ‘Eccomi’ e scelsi di iniziare un’esperienza di studio nel seminario minore. Ho iniziato vivendo nella casa del Vescovo, a circa 16 anni. Studiavo, seguivo il parroco, sperimentavo la sua vita, e questo mi dava gioia e pace. Erano i segni dell’opera di Dio nel mio cuore. Dopo due anni, finita la scuola superiore, ho ottenuto una borsa di studio del governo per continuare con gli studi universitari in Laos, per insegnare l’inglese. La mia formazione proseguiva”.
“Intanto – racconta – vedevo l’opera di preti e suore, erano pochi per un grande territorio. Finita la scuola superiore, il Vescovo e missionario francese Pierre-Antonio-Jean Bach, MEP, ex Vicario Apostolico di Savannakhet, che veniva spesso a visitarci a Paksè, propose di aiutarmi ad andare in Canada a studiare, per completare gli studi verso il sacerdozio. Ottenuto il permesso del governo, ho studiato filosofia e teologia a Vancouver e poi al St Joseph Seminary a Edmonton. Grazie al sostegno economico della comunità di Edmonton, ho terminato gli studi. Sarò loro per sempre grato. Mentre studiavo, ho conosciuto buoni preti che hanno ispirato il mio cammino”.
Dopo gli studi, il rientro in patria: “Con gioia sono tornato nel mio paese. Volevo dare il mio contributo, per quanto possibile. Nel 2006 sono stato ordinato sacerdote a Kamphaeng, villaggio di nascita della mia famiglia, nella parrocchia di San Giuseppe, vicino a Paksè, dove vivono 300 famiglie cattoliche. Alla celebrazione c’erano missionari, suore, fedeli: è stata una grandissima festa, un grande dono di Dio”.
“E così – prosegue – ho iniziato la vita da parroco. Nel 2006 nel Vicariato eravamo solo tre preti, e uno molto anziano. A noi era affidata la cura dei cattolici sparsi nel territorio, che allora erano circa 17mila. Mi furono assegnate circa 10 stazioni missionarie. Andavo e venivo dai villaggi, dove i cattolici si riunivano, anche in alcuni luoghi difficili da raggiungere, sui monti o nelle foreste. In alcuni luoghi vi erano 20 famiglie cattoliche, in altri 50. Ero sempre in moto! Oggi il lavoro non è cambiato: ci sono nel Vicariato di Paksè 64 stazioni missionarie, a volte con piccole cappelle di legno per culto. Le famiglie di indigeni si radunano a pregare e condividere la Parola di Dio, spesso guidate da un catechista. L’opera che svolgo, allora come oggi, è celebrare battesimi, cresime, la messa, fare catechesi in collaborazione con i catechisti, che sono uno o due per ogni stazione missionaria. I catechisti sono ancora oggi molto importanti perchè seguono la vita di fede della gente dei villaggi regolarmente. Sono il punto di riferimento costante”, spiega.
Dice mons. Andrew Souksavath Nouane Asa: “La mia missione, ieri e oggi, è fermarmi, ascoltare e stare con la gente. Vivo da allora la gioia di servire. Ho sperimentato l’affetto, il calore umano, l’accoglienza, mi sentivo a casa in ogni villaggio. Chi sono io, perché mi trattano con tale gentilezza e cura, mi chiedevo. Sono indigeni, agricoltori, gente non istruita, ma con la luce negli occhi. Gente che resiste di fronte alla difficoltà e confida in Dio. Sono persone che vivono la fede come un tesoro da custodire nel cuore, e così hanno fatto, anche nelle difficoltà o nelle persecuzioni del passato”. “La vita da parroco era sempre in movimento: adorazione, preghiere, Sacramenti” e, anno dopo anno, anche la libertà di azione, data dal governo, è cresciuta: “Oggi possiamo girare liberamente e chiediamo il permesso solo per i grandi raduni di gente, non ci sono difficoltà o ostacoli nel servizio quotidiano”, racconta.
Divenuto Vescovo, “ho ancora molto da imparare”, dice. L’ordinazione episcopale è avvenuta nella Solennità dell'Assunzione, il 15 agosto 2022, nella stessa chiesa di San Giuseppe e nello stesso villaggio di Kamphaeng, a circa 30 chilometri a nord della città di Paksé. “E’ la parrocchia in cui sono cresciuto. Sono venuti i Vescovi del Laos e della Cambogia e c’era anche Delegato Apostolico della Santa Sede, l'Arcivescovo Paul Tschang In-Nam. Sono sotto la protezione di Maria. Mi sono sentito accompagnato e sostenuto dalla comunità”.
Ora “la parrocchia si è allargata”, rileva, e abbraccia l’intero Vicariato, che copre quattro province civili nel Laos meridionale. “Abbiamo oggi 22mila fedeli e siamo 10 preti, tutti locali. I missionari vengono ogni tanto a visitarci, dall’estero o da Vientiane. Ci aiutano e sono presenti nel Vicariato congregazioni religiose femminili come le Suore della carità di San Vicenzo e le Suore Amanti della Santa Croce. Abbiamo oltre 100 catechisti: che grande forza e che grande dono! Molti sono giovani. Sono la nostra speranza, e vivono in differenti luoghi della regione. Le parrocchie istituite sono 4, una in città, tre nel territorio. E poi, come detto, le oltre 64 stazioni missionarie”.
I preti del Vicariato mons. Andew li ha chiamati a vivere con lui a Paksè: “Viviamo insieme per essere una fraternità sacerdotale e anche perché, nei luoghi più lontani, i preti hanno difficoltà nel sostentamento quotidiano e non hanno il giusto supporto. Vediamo che, come sacerdoti, traiamo tutti giovamento dalla condivisione e dalla vita in comunità”, rileva.
Sulle vocazioni al sacerdozio, nel territorio di Paksè il futuro appare roseo: “Ci sono già due diaconi che si stanno preparando al sacerdozio, e 12 giovani seminaristi a Savannakhet. C’è speranza, il Signore scalda i cuori. Anche i ragazzi più giovani chiedono di venire a stare con noi. Cerchiamo di accoglierli e accompagnarli nel cammino di fede. La nostra è una Chiesa piccola che vive, nella sua ordinarietà, un’esperienza sinodale. Ascoltiamo tutti, così si rafforzano la comunione e il senso di comunità. Lo Spirito Santo si manifesta e il Signore ci stupisce sempre. E’ bello incontrarsi e affidarsi a Lui”.
(Agenzia Fides 28/10/2023)