ASIA/MYANMAR - Guerra e ciclone, una nazione in ginocchio

martedì, 16 maggio 2023 crimini di guerra   guerre   guerra civile  

Mandalay (Agenzia Fides) - A Sittwe, capitale dello stato bimano di Rakhine, nell'Ovest del Myanmar, il ciclone Mocha, abbattutosi nell'area il 14 e 15 maggio, ha fatto almeno oltre 40 vittime tra la popolazione, ha devastato case, campi, distruggendo anche la chiesa cattolica del Sacro Cuore nella città, e danneggiando irrimediabilmente i locali dell'annesso complesso parrocchiale, nella diocesi di Pyay. Il ciclone, uno dei più potenti che abbia mai colpito la regione, si è abbattuto su tutta l'area, toccando anche la località di Cox's Bazar, poco oltre il confine, in Bangladesh , dove sono accampati circa un milione di rifugiati Rohingya, fuggiti dopo la violenza subita in Myanamr a partire dal 2017.
La giunta del Myanmar ha dichiarato lo stato Rakhine "zona disastrata", mentre strade e telecomunicazioni sono interrotte. Le forti inondazioni hanno colpito comunità già vulnerabili, tra le quali centinaia di migliaia di Rohingya che vivono in ghetti con severe restrizioni ai loro movimenti.
La tempesta atmosferica, che ha colpito anche aree culturalmente molto importanti come Bagan, nella regione i Mandalay, nella sua improvvisa violenza non raggiunge, però, il livello di gravità del conflitto civile che attraversa ormai l'intero paese. Il Myanmar è precipitato in una crisi politica e sociale dopo che i militari hanno preso il potere con un golpe, scalzando il governo democraticamente eletto e guidato dal partito della leader Aung San Suu Kyi nel febbraio 2021. Il colpo di stato ha generato, in una prima fase, proteste di massa e un vasto movimento di "disobbedienza civile" che ha bloccato scuole, servizi, uffici pubblici. La repressione, messa in atto dall'esercito bimano Tatmadaw, ha ucciso civili e arrestato migliaia di persone come “prigionieri politici”. La protesta ha così assunto carattere di resistenza armata, con la nascita delle "Forze di Difesa popolare" (FDP), composte da giovani birmani che hanno iniziato una guerriglia a bassa intensità.
A quelle milizie civili si sono poi affiancati gli eserciti, già ben organizzati, delle minoranze etniche, (Kachin, karen, karenni, shan, chin e altre) che da decenni combattevano contro il governo centrale (per lunghi tratti costituito da militari) e che oggi addestrano al combattimento giovani di etnia bamar (quella maggioritaria in Myanmar) per compiere raid, piccoli attacchi a convogli o posti di blocco militari.
Per ognuna di queste azioni la reazione dell'esercito è oltremodo violenta: villaggi interi vengono devastati, rasi al suolo e dati alle fiamme, con crescente sofferenza e vittime tra la popolazione civile e aumento degli sfollati interni. Esercizi commerciali, edifici e proprietà di civili sospettati di aver aiutato o in qualche modo supportato le Forze di difesa polare vengono bombardati e distrutti. Con il passare dei mesi, il conflitto si è trasformato in una guerra civile diffusa, che vede un confronto asimmetrico, con grande disparità di forze in campo: da un lato uno degli eserciti meglio addestrati ed equipaggiati d’Asia, con oltre 400mila uomini, con mezzi e forniture militari ingenti (assicurate da Russia, Cina e nazioni europee); dall'altro il movimento di giovani birmani, coagulatisi nelle Forze di difesa popolare, che si procurano fucili o pistole dal mercato nero (perfino dagli stessi militari birmani ) o dai canali già attivati dagli eserciti delle minoranze, e che oggi, secondo le stime, sarebbero un fronte di circa 80mila resistenti.
E se la fonte più citata sugli effetti del conflitto, la "Assistance Association for Political Prisoners", riferisce, al 9 febbraio 2023, un bilancio di 2.981 vittime civili, secondo il Centro di ricerca ACLED (Armed Conflict Location & Event Data Project, con sede in USA), dall’inizio del golpe, il bilancio delle vittime civili (censite per nome e cognome grazie a rapporti di fonti sul campo) è di oltre 30mila morti. Nel conflitto in atto non si vede una via di uscita o uno spiraglio di negoziato, in quanto i giovani birmani – una generazione che ha imparato a conoscere e pratica la democrazia a partire dal 2015 – non vogliono sottostare alla dittatura militare che per molti anni ha già guidato il paese.
Le comunità cattoliche birmane si trovano in questo scenario scegliendo di servire i poveri, i sofferenti, gli sfollati, aumentati costantemente negli ultimi due anni a causa dei combattimenti e delle distruzioni inferte dai militari. Luoghi come chiese o scuole, cliniche o centri di cura cattolici sono divenuti luoghi di accoglienza dei profughi e degli indigenti. Tuttavia è sufficiente il sospetto che tali luoghi possano contenere o supportare i resistenti per diventare bersaglio dei bombardamenti. Per questo numerose chiese sono state colpite in diverse diocesi (l’ultima è la chiesa cattolica di Nostra Signora di Lourdes nel villaggio di Tiphul, nella diocesi di Hakha, alla fine di aprile), per questo nella Arcidiocesi di Mandalay 20 parrocchie su 42 sono danneggiate o chiuse. Non è ammesso nemmeno il servizio umanitario: come appreso da Fides, l'esercito ha fatto irruzione in tre piccole cliniche cattoliche che hanno accolto partorienti e curato dei civili feriti, devastandole, portando via dispositivi medici, bruciandole col pretesto che "stavano curando membri delle FDP”.
A Mandalay da due anni ormai si vive con elettricità intermittente, senza acqua, senza scuola, e il settore pubblico ridotto all'osso. La Chiesa locale gestisce quattro grandi campi che ospitano sfollati, tra cattolici e famiglie di altre religioni. Di fronte alla immane e prolungata sofferenza, i 62 sacerdoti della diocesi cercano di portare conforto semplicemente restando accanto alla gente, anche in luoghi disagiati come campi di riso e foreste dove i profughi cercano rifugio dalla violenza.
Nell’attuale situazione, affermano, non si vede una via d’uscita concreta dal conflitto: “La nostra speranza non muore, anche in tempo di oscurità, tristezza e dolore, solo perchè è fondata in Dio. Siamo stanchi di combattimenti e della violenza generalizzata, ma andiamo avanti con la fiducia in Dio che non ci abbandona. La nazione è prostrata, è in ginocchio per la crisi. Anche noi ci mettiamo in ginocchio, invocando pace e salvezza da Dio con tutto il cuore”.
(PA) (Agenzia Fides 16/5/2023)


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