Roma (Agenzia Fides) - Dopo la generazione degli Apostoli, i testimoni “per eccellenza” del Vangelo di Cristo sono sempre stati i martiri, coloro che hanno effuso il sangue per Cristo e hanno sperimentato nella loro carne anche il miracolo di perdonare “i propri aguzzini”. Perché i martiri non sono eroi “spuntati in un deserto” ma “frutti maturi e eccellenti della vita del Signore, che è la Chiesa”. E la Chiesa non ha mai fatto recriminazioni per i suoi martiri, e ha sempre guardato il martirio come “dono insigne e suprema prova di carità”. Con queste e altre espressioni eloquenti, Papa Francesco ha ricordato il vincolo intimo e indissolubile che unisce l’annuncio del Vangelo al martirio, esperienza che segna e accompagna sempre la vicenda della Chiesa nella Storia. Lo ha fatto oggi, mercoledì 19 aprile, durante l’Udienza generale, proseguendo il ciclo di catechesi dedicate alla passione per l’annuncio del Vangelo e allo zelo apostolico. Le schiere dei martiri di oggi sono più folte "nel nostro tempo che nei primi secoli", ha ripetuto ancora una volta il Papa, rendendo particolare omaggio alla memoria e ai nomi delle Suore Missionarie della Carità trucidate in Yemen negli ultimi anni (vedi Fides 4 e 5/3/2016).
La parola “martirio” – ha ricordato il Pontefice all’inizio della sua catechesi, davanti alla moltitudine assiepata in Piazza San Pietro – deriva dal greco martyria, che significa proprio testimonianza. Tuttavia, “ben presto nella Chiesa si è usata la parola martire per indicare chi dava testimonianza fino all’effusione del sangue.
Il cuore e la sorgente del martirio – ha proseguito il Vescovo di Roma, citando le prediche dedicate da Sant’Agostino al martire San Lorenzo, diacono romano – non è uno slancio di eroismo religioso, ma un “mistero d’amore”, un dinamismo tutto intessuto di “gratuità e gratitudine” per i doni di salvezza ricevuti gratuitamente da Cristo. E “il Concilio Vaticano II” ha rimarcato il Papa, citando la Costituzione dogmatica Lumen Gentium – “ci ricorda che «il martirio, col quale il discepolo è reso simile al suo maestro che liberamente accetta la morte per la salute del mondo, e col quale diventa simile a lui nella effusione del sangue, è stimato dalla Chiesa come dono insigne e suprema prova di carità»”
Tra i connotati che rendono il martirio cristiano imparagonabile a forme di eroismo e dedizione – ha rimarcato Papa Francesco nella sua catechesi – c’è il fatto che “i martiri, a imitazione di Gesù e con la sua grazia, fanno diventare la violenza di chi rifiuta l’annuncio una occasione suprema di amore, che arriva fino al perdono dei propri aguzzini”. I martiri – ha insistito il Papa – “perdonano sempre gli aguzzini. Stefano, il primo martire, morì pregando: ‘Signore, perdona loro, non sanno cosa fanno’. I martiri pregano per gli aguzzini”. E benchè “siano solo alcuni quelli a cui viene chiesto il martirio”, il miracolo del perdono offerto anche ai propri carnefici e la partecipazione dei martiri al mistero della Passione di Cristo ricordano a tutti “che ogni cristiano è chiamato alla testimonianza della vita, anche quando non arriva all’effusione del sangue, facendo di sé stesso un dono a Dio e ai fratelli, ad imitazione di Gesù”.
Nella parte conclusiva della sua catechesi, Papa Francesco ricordato a tutti la testimonianza martiriale resa dalle Suore Missionarie della Carità presenti in Yemen, dove “offrono assistenza ad anziani ammalati e a persone con disabilità. Alcune di loro hanno sofferto il martirio, ma le altre continuano, rischiano la vita ma vanno avanti. Accolgono tutti, di qualsiasi religione, perché la carità e la fraternità non hanno confini”. Nel luglio 1998 – ha ricordato il Vescovo di Roma - Suor Aletta, Suor Zelia e Suor Michael vennero “uccise da un fanatico”. Poi, nel marzo 2016, “Suor Anselm, Suor Marguerite, Suor Reginette e Suor Judith sono state uccise insieme ad alcuni laici che le aiutavano nell’opera della carità tra gli ultimi. (...) Tra questi laici uccisi” ha aggiunto Papa Francesco “oltre ai cristiani c’erano fedeli musulmani che lavoravano con le suore. Ci commuove vedere come la testimonianza del sangue possa accomunare persone di religioni diverse. Non si deve mai uccidere in nome di Dio, perché per Lui siamo tutti fratelli e sorelle. Ma insieme si può dare la vita per gli altri. Preghiamo dunque” ha concluso il Vescovo di Roma, utilizzando anche espressioni riprese dalla Prima Lettera di San Paolo ai Corinti “perché non ci stanchiamo di dare testimonianza al Vangelo anche in tempo di tribolazione. Tutti i santi e le sante martiri siano semi di pace e di riconciliazione tra i popoli per un mondo più umano e fraterno, nell’attesa che si manifesti in pienezza il Regno dei cieli, quando Dio sarà tutto in tutti”. (GV) (Agenzia Fides 19/4/2023).