ASIA/SIRIA - Monaci e monache di Deir Mar Musa: tra guerre e pandemia, l’amore di Cristo può guarire l’umanità ferita

lunedì, 14 dicembre 2020 medio oriente   chiese orientali   monachesimo   natale   preghiera   pandemia   jihadisti  

Nabek (Agenzia Fides) – “A volte diciamo a Dio, forse per abitudine, 'sia fatta la tua volontà', ma raramente diciamo con il lebbroso 'se vuoi'. Spesso i momenti di preghiera sono pieni di noi stessi, dei nostri pensieri, preoccupazioni, invece di essere pieni del Signore, del momento e della sua presenza”. Inizia così la lettera di Natale inviata agli amici sparsi in tutto il mondo dai monaci e dalle monache di Deir Mar Musa, la comunità monastica fondata in Siria dal gesuita romano Paolo Dall’Oglio, scomparso nel luglio del 2013 mentre si trovava a Raqqa, a quel tempo roccaforte delle milizie jihadiste dello Stato Islamico (Daesh).
Come ogni anno, la lettera traccia un breve resoconto delle letizie e delle vicissitudini che hanno segnato la vita dei membri nella comunità nell’ultimo anno, guardando con sguardo di fede anche alle tribolazioni, alle attese e alle consolazioni che nel 2020 hanno scandito il tempo dei popoli mediorientali – a partire da quello siriano- e di tutto il genere umano. “Il nostro mondo” scrive nell’introduzione suor Houda, che ha guidato la comunità negli ultimi tre anni, “ha urgentemente bisogno di preghiera, perché essa è l’unica àncora di salvezza per evitare che, a causa dello sfruttamento della natura e delle cattive relazioni umane, si giunga ad una fine catastrofica e distruttiva di tutto ciò che è bello.
La pandemia, che ha terrorizzato le persone ed ha causato tante vittime - aggiunge suor Houda, introducendo il primo riferimento al contagio del Covid 19 - altro non è che uno dei risultati del nostro approccio irresponsabile verso il mondo e verso la natura. Ma la pandemia più pericolosa – aggiunge sorella Houda - è quella che colpisce le anime e i cuori, che infetta la nostra relazione con Dio e con il prossimo, nelle nostre comunità, famiglie, chiese e nel mondo”. Un morbo che dilaga “a causa dell’arroganza, dell’autosufficienza e dell’egocentrismo”. Per coloro che hanno incontrato la grazia di Cristo – rimarca la lettera dei monaci e delle monache di Deir Mar Musa - “una sola è la medicina efficace: la riabilitazione come discepoli e discepole di Gesù e il ritorno all’amore genuino per Lui solo, un amore taumaturgico che cura e ripara le ferite del genere umano e gli restituisce la sua umanità primordiale”.
La lettera dei fratelli e delle sorelle di Deir Mar Moousa, tra le altre cose, riposta il racconto dei ritorno di padre Jacques Mourad al monastero di Mar Elian, da dove il monaco siriano era stato prelevato da un gruppo di rapitori jihadisti nel 2015: “Per la prima volta dopo essere tornato libero dopo il sequestro, frà Jacques è andato a giugno con suor Deema e frà Yause a visitare il monastero di Mar Elian. Lo shock è stato enorme; tutti gli alberi di olivo e gli altri alberi da frutto, piantati da 20 anni, sono stati sradicati o tagliati. Queste piante costituivano un’oasi che circondava il monastero dove gli abitanti di Qaryatayn, musulmani e cristiani, venivano con i loro bambini che lì giocavano contenti. Ci sono tanti ostacoli che impediscono la ripresa dei lavori a Qaryatayn, in particolare l’esiguo numero dei parrocchiani. Pochi tra loro, meno di 15 persone e in maggioranza single, sono ritornati in città. Essi formano comunque una speranza concreta per il ritorno di altri cristiani che sperano di trovare al loro fianco una Chiesa che li aiuta nel restauro delle loro case, e per ritrovare il lavoro che consenta loro una vita dignitosa. Ogni tanto la Comunità va per celebrare la messa nelle case dei parrocchiani presenti lì. Il 9 settembre abbiamo celebrato in modo raccolto nella chiesa bruciata del monastero la festa di Mar Elian, con la presenza del parroco di Nebek e di un numero discreto di parrocchiani””.
La lettera dei monaci e delle monache di Deir Mar Mousa fornisce anche dettagli impressionanti sulle nuove sofferenze e anche sulle contraddizioni che assediano il presente del popolo siriano: “La situazione economica in Siria” si legge nel messaggio “va via via peggiorando, l’anno scorso un dollaro valeva intorno a 540 lire siriane, oggi invece ne vale quasi 3000. Il lavoro è precario per tutti e non basta un lavoro per portare avanti una famiglia anche non dignitosamente. Soffriamo, inoltre, per la mancanza di gas e la mancanza di diesel per riscaldarsi e per far funzionare le fabbriche inclusi i forni; fare la fila per comprare il pane del povero può durare una mezza giornata, quella invece per la benzina può arrivare, in certi periodi, ad essere lunga chilometri e durare due notti di attesa in auto lungo la strada del distributore. Non parliamo delle medicine e delle cure mediche: ci sono dei contadini che devono vendere le loro terre per non lasciare morire un figlio o una madre malati di cancro o perché devono fare la dialisi... Nonostante questo però c’è chi può comprare il pane ai panifici privati, chi può comprare il diesel, il gas, e la benzina a prezzi pazzeschi senza dover aspettare e fare file umilianti, e se si ammala può andare nelle cliniche di lusso dove si continuano a fare anche gli interventi estetici”. A conclusione della lettera, i monaci e le monache di Deir Mar Musa esprimono di nuovo il desiderio e la speranza di continuare a camminare sulla strada che hanno iniziato a percorrere insieme a padre Paolo Dall’Oglio, il loro fondatore, pur nel dolore della sua assenza: “L’orizzonte dell’amicizia con l’Islam e con i musulmani” si legge nella missiva inviata a amici e benefattor”i “è davanti ai nostri occhi ed è presente nella nostra orazione; è di là che ci attira Cristo a sé. E noi, questo piccolo gregge, abbiamo un piccolo augurio: che ci portiate nelle vostre preghiere affinché Dio ci confermi nella nostra vocazione e ci dia pace e unità sempre in Lui”. (GV) (Agenzia Fides 14/12/2020)


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