Bauchi (Agenzia Fides) – “Boko Haram è solo uno dei gravi problemi. Da tempo vanno avanti scontri durissimi tra Tivs e altre etnie come Chamba e Kuetp. Si affrontano per il possesso della terra. C’è poi un antico conflitto che caratterizza la nostra area, quello tra allevatori (in maggioranza musulmani) e coltivatori (in genere cristiani). Ci sono stati tantissimi morti e molti civili sono stati costretti alla fuga. Se ci aggiunge il frequentissimo fenomeno dei rapimenti che come in tutta la Nigeria, è molto pressante, si renderà conto di quanto sia alta la tensione”. Il Vescovo di Bauchi, mons. Hilary Nanman Dachelem, raggiunto da Fides, spiega la situazione del nord-est e del nord-ovest della Nigeria, dove da ormai più di un anno continuano le violenze, mentre la Chiesa continua la sua opera per accogliere i fuggitivi e promuovere dialogo e pace. Nell’aprile scorso, le tensioni hanno costretto alla fuga verso il Niger circa 23.000 persone mentre si moltiplica il numero di sfollati interni che cercano riparo dagli attacchi perpetrati senza sosta da gruppi armati, in campi improvvisati o presso strutture religiose. Gli intrecci di interessi e attività di gruppi terroristici o etnici, così come le antiche rivalità tra allevatori e agricoltori, rendono l’area una vera e propria polveriera.
“La mia diocesi – spiega il Vescovo – si trova nel nord-est del Paese e raccoglie due Stati, Bauchi e Gombe. In tutto ci vivono 10 milioni e mezzo di persone. La maggioranza è di fede islamica (90%) per il resto l’8% è protestante e il 2 cattolico. Dal 2009 tutta l’area è caratterizzata dalla presenza di Boko Haram e dai suoi attacchi terroristici. Si calcola che siano state uccise migliaia di persone e che gli sfollati siano oltre 3 milioni. Come saprete, per Boko Haram ogni tipo di educazione che non sia strettamente islamica è proibita. I bambini, a età molto tenere, vengono inviati presso scuole coraniche in altre città e affidati a insegnanti fanatici e sicuramente non qualificati. Ciò perpetua la loro vulnerabilità e aumenta le percentuali di analfabetismo”. Protagonisti del permanente stato di tensione dell’area non sono solo i terroristi jihadisti. Il mix letale di scontri etnici o legati a motivi socio-economici sta mietendo vittime e innescando esodi di massa.
Le Chiese sono molto attive nel campo dell’accoglienza e del dialogo. Sono diversi, poi, i casi di collaborazione interreligiosa al fine di promuovere pace e salvare vite. “Alcuni campi profughi sono direttamente gestiti dalle Chiese. Uno dei casi più eclatanti riguarda la Cattedrale di San Patrizio a Yola, nello Stato di Adamawa (estremo est, ndr). Lì il vescovo Stephen Dami Mamza ospita nel perimetro della cattedrale stessa, oltre 800 persone. Ma abbiamo molti casi di campi di cui si occupano cristiani delle diverse confessioni e musulmani, un esempio di dialogo sul campo molto proficuo”. La Chiesa poi si è resa protagonista nel ruolo di advocacy e di facilitatrice di dialogo sociale e religioso: “Organizziamo spesso meeting, workshop o conferenze – conclude mons. Hilary Nanman Dachelem –allo scopo di promuovere l’incontro pacifico. Lo scorso anno, ad esempio, a Jos, abbiamo indetto un convegno a cui sono intervenuti tutti i preti dell’area centro-settentrionale della Nigeria assieme a esponenti di varie etnie, per parlare dei conflitti etnici e favorire lo scambio pacifico. Le nostre ottime relazioni con le altre fedi, sono un viatico per aiutare un allentamento della tensione e prevenire scontri”. (LA) (agenzia Fides 30/5/2020)