Cardinale Tagle: Ecco perché John Henry Newman, Dottore della Chiesa, è anche “Dottore della missione”

lunedì, 3 novembre 2025

di Luis Antonio Gokim Tagle*

Pubblichiamo l’intervento del Cardinale Tagle letto in apertura dell’Atto accademico promosso dalla Pontificia Università Urbaniana in occasione della proclamazione di San John Henry Newman come Dottore della Chiesa.

L’Atto accademico, intitolato “La vocazione di un Dottore nella Chiesa. San John Henry Newman dal Collegio di Propaganda alla Chiesa universale”, si è svolto nell’Auditorium Giovanni Paolo II della Pontificia Università Urbaniana. Nella cornice dell’Atto accademico, il Professor Vincenzo Buonomo, Delegato Pontificio e Rettore Magnifico dell’Ateneo, ha letto il Chirografo con cui Papa Leone XIV ha disposto la proclamazione di John Henry Newman, Santo e ora Dottore della Chiesa, come Patrono della Pontificia Università Urbaniana.

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Roma (Agenzia Fides) - È ancora vivo in tutti noi il ricordo di quando, due giorni fa, Papa Leone XIV dichiarava San John Henry Newman Dottore della Chiesa e, insieme a San Tommaso d’Aquino, “co-patrono della missione educativa della Chiesa”. Sentiamo una gioia particolare per questa dichiarazione, perché Newman era un ex-alunno del Collegio di Propaganda, dove studiò teologia dal 1846 al 1847, in preparazione alla sua ordinazione, come sacerdote cattolico.

Mentre celebriamo il nuovo Dottore della Chiesa, vorrei suggerire di approfondire la nostra riflessione sulla Sua figura di importante maestro per tutti coloro che sono impegnati nella missione evangelizzatrice della Chiesa. Ritengo che un aspetto importante della figura di Newman come ex-alunno del Collegio di Propaganda e ora Dottore della Chiesa Universale, sia quello di essere “Dottore della missione”.

Vorrei solo sottolineare tre punti su cui potremmo riflettere.

In primo luogo, coloro che si impegnano nella missione, che cercano di invitare gli altri alla gioia della fede, possono trarre grande beneficio dai ricchi scritti di San John Henry Newman sull’atto di fede, su come le persone giungono alla fede. Infatti, Newman era profondamente consapevole della crisi di fede che attraversava la Gran Bretagna e l’Europa del XIX secolo. Si trattava di una questione che lo coinvolgeva personalmente, poiché suo fratello minore, Francis Newman, un tempo evangelico zelante, aveva abbandonato la fede cristiana e le sue dottrine, sviluppando una propria fede unitaria.
San John Henry Newman rifiutava l’idea superficiale che la fede fosse un atto di puro intelletto o una scelta intellettuale, una decisione presa dopo che alla mente erano state presentate prove convincenti. Questo lo portò in vari scritti, da The Arians of the Fourth Century del 1833 agli University Sermons del 1843, fino alla sua espressione più matura che espresse nella Grammar of Assent del 1870, a esplorare come l’atto di fede dipendesse dalle disposizioni personali e morali della persona, più che dal puro intelletto. L’adesione alla fede non dipendeva solo dall’essere convinti da argomenti razionali, ma dall’esistenza di determinate disposizioni, come la fiducia, l’umiltà, l’apertura, il desiderio.
Egli indicava che non si può portare gli altri alla fede semplicemente presentando i migliori argomenti; piuttosto, si deve cercare di formare i cuori e ampliare l’immaginazione, allargando la capacità della mente e del cuore di poter ricevere la rivelazione di Dio. Siamo di fronte ad una posizione che è ad un tempo parte del metodo teologico e dell’azione pastorale. Una posizione che quanti sono impegnati nell’azione evangelizzatrice, devono imparare, custodire e attuare.

In secondo luogo, chi è impegnato nella missione può apprendere da Newman a non temere il cambiamento e lo sviluppo nella Chiesa. Newman iniziò il suo famoso Essay on the Development of Doctrine, nel 1844, per rispondere al travaglio interiore che stava affrontando, poiché si sentiva attratto dalla Chiesa di Roma, ma gli era familiare l’accusa secondo cui la Chiesa cattolica aveva abbandonato la fede primitiva, quella della Chiesa delle origini, con le numerose aggiunte alla pura fede trasmessa dagli Apostoli.
Newman trovò luce nell’idea di sviluppo: che un messaggio ricco come quello che è proprio dell’annuncio cristiano, richiede tempo e generazioni per dispiegarsi ed essere compreso; inoltre, lo sviluppo avviene grazie a un processo incessante in cui i cristiani ricevono, interpretano e fanno proprio il Vangelo nelle loro particolari circostanze culturali e nelle vicende storiche in cui sono immersi. Uno dei criteri che Newman individua per uno sviluppo autentico o vero della fede è il suo “potere assimilativo”, cioè la capacità del cristianesimo di assumere elementi di nuove culture o contesti come modi di esprimere il Vangelo, senza perdere la propria identità.
In altre parole, per Newman la novità e il cambiamento non sono un tradimento dell’identità, ma sono piuttosto necessari perché l’identità cristiana possa essere accolta, compresa, vissuta in persone e circostanze diverse e così essere preservata.
Newman, dunque, ci incoraggia ad essere fiduciosi e creativi nell’inculturazione della fede.

Come terzo e ultimo punto invito a riflettere sul fatto che nel nostro impegno per edificare le Chiese particolari, possiamo trarre arricchimento dalle intuizioni fondamentali di Newman sull’importanza dei laici e sul significato cruciale della loro educazione e formazione. Il suo saggio del 1859 On Consulting the Faithful in Matters of Doctrine, all’epoca non trovò accoglienza e considerazione, ma le sue intuizioni sono state confermate dal Concilio Vaticano II, specilmente nel Decreto Apostolicam Actuositatem. Newman non negava che nella Chiesa il munus docendi che esprime la funzione dottrinale, appartiene alla gerarchia. Tuttavia, egli insisteva anche sul fatto che i laici non erano solo destinatari passivi della Verità, ma erano soggetti attivi nella trasmissione e nella testimonianza della verità del Vangelo.
Suscitò non poco scalpore quando a sostegno di questa sua visione pose l’esempio storico di come, nel IV secolo, per un breve periodo nel corso della controversia ariana, molti Vescovi e teologi caddero nell’eresia di Ario, mentre la grande maggioranza dei battezzati rimase fedele alla verità della divinità di Cristo.
Di qui l’insistenza di Newman sull’importanza di un laicato attivo e formato, affinché, per usare la sua bella espressione, ci possa essere una conspiratio, un respirare insieme dei pastori e dei fedeli, per testimoniare uniti il Vangelo.

Questi sono solo alcuni esempi degli ambiti che potrebbero essere approfonditi mentre celebriamo il nuovo Dottore della Chiesa, in particolare nella nostra Università che ha un interesse particolare per la missione. Per questo siamo chiamati tutti a sentirlo e invocarlo come “Dottore della missione”. (Agenzia Fides 3/11/2025)

* Pro-Prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione (Sezione per la prima evangelizzazione e le nuove Chiese particolari), Gran Cancelliere della Pontificia Università Urbaniana


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