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di Gianni Valente
«Beati voi, poveri, perché è vostro il Regno di Dio», dice Gesù nel Vangelo secondo Luca. E chi segue Gesù nel cammino dentro la storia del mondo, si accorge e riconosce che in tale cammino i poveri sono facilitati. È questo il segno della predilezione, della “opzione preferenziale” per i poveri che segna lungo tutto la storia il mistero della salvezza.
I poveri e i piccoli passano con più facilità per le porte strette e i passaggi impervi. Sono facilitati, proprio perché hanno meno ingombro e zavorra da portare con sé.
Sono loro i primi destinatari del “Centuplo su questa terra” che Gesù promette ai suoi nel Vangelo.
E possono brillare di una felicità che non è loro possesso, non è risultato delle loro prestazioni. Loro da sé stessi non hanno nulla, sono a mani vuote. E proprio per questo la loro felicità è e si manifesta come dono gratuito, riverbero di un miracolo di predilezione.
Doni che sono per condizione più lontani per i ricchi e i grandi, quelli con "un'anima bell'e fatta" (Charles Péguy), quelli che si si sono "fatti da sé". E non possono comprare con tutte le loro prestazioni una goccia in più di felicità.
La predilezione di Gesù, del Padre e dello Spirito Santo verso i poveri è inscritta nel Mistero e nella storia della Salvezza. A questo Mistero di predilezione rimanda anche Papa Francesco, quando ripete con insistenza che «i poveri sono la carne di Cristo».
E' Cristo stesso che si identifica con loro. E la salvezza può raggiungere tutti attraverso coloro che Cristo stesso sceglie. Anche le parole di Papa Francesco richiamano a questa dinamica vertiginosa, sempre riconosciuta e confessata nella Chiesa di Cristo.
Dio dona la sua felicità e la sua luce ai poveri, Li predilige. Li preferisce. E per il mistero di carità che anima la Chiesa, anche chi non è povero, perfino i ricchi possono partecipare della stessa gioia, se si lasciano abbracciare da questa predilezione. Non per sforzo ascetico, ma nel seguire qualcosa che li attrae di più dei loro bilanci in attivo.
Sant’Agostino ha scritto che Cristo, nella sua opera di redenzione, ha voluto toccare i cuori del Re a partire dall’annuncio fatto dal pescatore peccatore, e non viceversa. Perché si manifestasse in maniera più luminosa che la sua salvezza si comunica gratuitamente, per grazia, e non per pressioni, calcoli e sforzi umani.
In tempi non troppo lontani, per le griglie ideologiche di influenti circuiti ecclesiali era diventato sospetto anche solo parlare di predilezione e opzione preferenziale per i poveri. Dicevano che si trattava di una politicizzazione del messaggio evangelico.
Adesso, in apparenza, non è più così. Ma anche adesso, sotto altre maschere paradossali, si avverte la stessa insofferenza, lo stesso disagio e sospetto davanti a tale predilezione, quando essa si manifesta.
Tutti i conservatorismi e i progressismi compassionevoli, tutte le pose da pauperismo a la page non riconoscono, sono strutturalmente impossibilitati e non interessati a riconoscere la predilezione efficace e operante di Cristo stesso per i poveri, destinatari privilegiati nel godere della caparra della sua salvezza, già su questa terra. Trattano i poveri, in ultima istanza, secondo le categorie del mondo. Li trattano da sventurati, da falliti, come ricettori ultimamente passivi delle elargizioni e attenzioni altrui. Materiale plastico-umano amorfo e passivo da modellare, materia inerte in cui si pretende di insufflare vita attraverso le proprie strategie di “valorizzazione”.
I poveri, distillati e neutralizzati in categoria astratta, possono diventare propaggini decorative di coreografie neo-clericali. Coreografie in cui si dissipa e si rimuove anche ogni slancio eversivo e profetico delle correnti ecclesiali che nel secolo scorso avevano riconosciuto e abbracciato la forza reale delle moltitudini, già esercitata storicamente. E avevano riconosciuto anche le loro lotte come potenziali fattori di cambiamento strutturale dei meccanismi mondani di produzione e sfruttamento, distribuzione del potere e delle ricchezze.
Nel tempo della Chiesa, e a partire dal Vangelo, dal diacono San Lorenzo, da Sant’Ambrogio e dai Padri della Chiesa, i poveri non sono mai stati trattati come ombre in cerca di visibilità, intenti a mendicare anche loro il loro “quarto d’ora di celebrità” mediatica che la società attuale concede a tutti, come profetizzava Andy Wahrol.
Il Vangelo e la Fides romana non hanno mai detto che i poveri sono senza peccato e senza miserie umane. Ma ha sempre custodito la tacita evidenza che i poveri potessero godere con più facilità della felicità donata loro dal Signore per Sua gratuita scelta e preferenza. Non solo il pianto, non solo il grido del povero oppresso, ma anche la sua gratuita e inimmaginabile felicità tocca e commuove il cuore di Dio.
Lo riconoscevano e lo attestavano i Padri della Chiesa. Lo hanno ripetuto a modo loro anche grandi sacerdoti del nostro tempo come don Lorenzo Milani e don Primo Mazzolari, o come Rafael Tello e Lucio Gera, i più noti esponenti argentini della “Teologia del Popolo”.
Per questi ultimi due, non erano le dichiarazioni e le congetture ecclesiastiche a conferire dignità ai poveri. Perché Cristo stesso custodisce per via sacramentale i poveri nella memoria della loro dignità. Una dinamica - scriveva padre Rafael Tello - custodita e espressa nella spiritualità popolare, quella con cui il popolo dei poveri di Dio evangelizza sé stesso «meglio di come son soliti fare persino i sacerdoti», e della quale la sollecitudine di battezzare i figli è «la manifestazione più importante»: «Un fatto sensibile, il rito battesimale» spiegava padre Rafael Tello «percepito come un segno che Dio li prende per sé. Per la nostra gente è così. Porta il bambino a battezzare e lo riveste di Cristo. Questo è cattolicesimo, fino al fondo della cosa: io porto il bambino a questo; magari vivrà come un disgraziato, però già sta rivestito di Cristo».
(«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli». Mt 11, 25)
(Agenzia Fides 19/11/2024)
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