AMERICA/ECUADOR - “Non serve a nulla avere 54.000 rifugiati riconosciuti, se non gli si offre sufficiente attenzione e sicurezza" denuncia la Fondazione Scalabrini

mercoledì, 22 giugno 2011

Quito (Agenzia Fides) – Ogni giorno inventa uno stratagemma nuovo, come passare da una città all'altra o modificare l'aspetto con vestiti e taglio dei capelli. José L. preferisce l'anonimato per evitare di essere catturato da gente armata che lo perseguita. E' uscito dal suo paese dopo essere sfuggito ad un rapimento da parte di gruppi irregolari ed è arrivato in Ecuador via terra, in cerca di rifugio. "Sono venuto con niente, pensando che avrei trovato un futuro migliore qui, perché qui non c'era il problema che avevo nella mia terra, era più facile passare il confine, potevo stare in un paese non troppo lontano".
Questo è il racconto pubblicato da un giornale di Quito, di cui copia è stata inviata all’Agenzia Fides, a motivo della Giornata del Rifugiato. Motivi analoghi a quelli di José L. hanno spinto la maggior parte dei rifugiati che vivono oggi in Ecuador. Il 98,5% viene dalla Colombia e la maggior parte sono donne e bambini. Questo numero fa della Colombia il paese con il maggior numerose di persone accolte in altre nazioni dell’America Latina, secondo l'Alto Commissario dell'ONU per i Rifugiati (ACNUR). Le diverse organizzazioni che lavorano con questa fascia della popolazione, come la Missione degli Scalabriniani in Ecuador, rilevano che la risposta dello Stato ecuadoriano e degli organismi impegnati in questo settore è ancora troppo limitata.
Janeth Ferreira, direttrice della Fondazione Scalabrini, afferma nel suo intervento sul giornale di Quito che "lo Stato legalizza solo lo status di rifugiato, concedendo i visti. Ma per ciò che riguarda i servizi sociali, come la protezione e l'integrazione, praticamente non c'è nessun contributo da parte del Governo". Anzi, aggiunge, piuttosto ci sono difficoltà amministrative per il rinnovo annuale del visto, soprattutto per coloro che vivono nelle zone di confine come San Lorenzo e hanno bisogno di recarsi negli uffici di Quito, Tulcan o Ibarra per le pratiche.
“Non serve a nulla avere 54.000 rifugiati riconosciuti, se non gli si offre sufficiente attenzione e sicurezza" denuncia la Ferreira, aggiungendo che molte persone rifugiate sono costrette a rimanere chiuse nelle loro case per paura di essere perseguitate anche in territorio ecuadoriano. "Lo Stato non dà loro sicurezza". Per questo José L. preferisce essere in rotazione costante in tutto il paese. Un giorno, camminando per le strade di una città dell’Ecuador, ha riconosciuto uno dei suoi rapitori, così ha cambiato subito città per evitare qualsiasi rischio.
Janeth Ferreira racconta che "alcune persone non vogliono neppure la tessera di rifugiato. Infatti se fai domanda per un lavoro o per affittare una casa, quando mostri il documento di identità su cui c'è scritta la parola ‘refugiado’, le persone ti guardano con paura". In molte scuole e centri sanitari dicono loro "non c'è posto per gli ecuadoriani, figuriamoci per gli stranieri."
La direttrice della Fondazione Scalabrini afferma che l'assistenza dipende molto da quello che realizzano le organizzazioni della società civile. Ma il lavoro è isolato, in assenza di una politica pubblica al riguardo. L'unica proposta dello Stato, attraverso il Ministero degli Affari Esteri, è il rinnovo del visto annuale e l'aggiornamento delle informazioni. In occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, Antonio Gutierres, responsabile dell'ACNUR a Quito, ha annunciato che circa 1.000 rifugiati lasceranno l'Ecuador per andare negli Stati Uniti, in Canada, Nuova Zelanda, Brasile e Cile. (CE) (Agenzia Fides, 22/06/2011)


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