ASIA/PAKISTAN - Asia Bibi, avvocati al lavoro per smascherare i falsi testimoni

venerdì, 3 dicembre 2010

Lahore (Pakistan) – Smascherare i falsi testimoni, mettendo in luce “il castello di menzogne” che accusa Asia Bibi; dimostrare le inadempienze della polizia e i condizionamenti subiti dal giudice che in primo grado ha emanato la condanna a morte: è questa la linea difensiva adottata dagli avvocati di Asia Bibi che, come riferiscono all’Agenzia Fides, stanno preparando il processo di appello, in attesa della prima udienza presso l’Alta Corte di Lahore.
La nuova indagine promossa dalla difesa, spiegano a Fides i legali, intende dimostrare che le due donne, “testimoni oculari” per l’incriminazione di Asia, non erano affatto presenti al momento della controversia che sarebbe degenerata fino alle offese blasfeme. Inoltre, dalle carte processuali, che l’Agenzia Fides ha avuto modo di consultare, emerge una fantomatica “confessione pubblica” che Asia Bibi avrebbe rilasciato, sulla quale si basa il verdetto di condanna a morte. Anche questa, nota la difesa, “è una grossolana falsità” che sarà denunciata nel processo di appello. “Pilotata” e “a senso unico” anche l’indagine condotta dai funzionari di polizia incaricati del caso.
Su mandato della “Fondazione Masihi”, con sede a Londra e a Lahore – unica Ong che si sta occupando realmente dell’assistenza legale e della cura della famiglia di Asia Bibi – gli avvocati procederanno per falsa testimonianza contro quanti hanno contribuito alla condanna di Asia e chiederanno un cospicuo risarcimento danni.
Oggi su tali dinamiche che caratterizzano le accuse di blasfemia è intervenuto pubblicamente Rana Sanaullah, Ministro della Giustizia della Provincia del Punjab, affermando che “in casi come questo ai falsi testimoni, una volta provata la malafede, deve essere inflitta la stessa pena subita dalle vittime innocenti di false accuse”.
Intanto si registra un’altra vittima della legge sulla blasfemia: si tratta del giovane musulmano Muhammad Amin, blogger pakistano della città di Bahawalpur, nella provincia del Sindh. Il giovane avrebbe pubblicato sul suo blog e scambiato con un coetaneo, anch’egli accusato, materiale ritenuto blasfemo verso il Profeta Maometto. Un funzionario della polizia se ne è accorto per caso, e sono scattati così la denuncia e l’arresto.
L’episodio conferma che la discussa “legga sulla blasfemia” – oggetto di un intenso dibattito nella società pakistana – ha esteso i suoi tentacoli anche sul web. Già nel giugno scorso il Ministero dell’Informazione della Tecnologia aveva esteso il reato di blasfemia a Internet, mettendo al vaglio Facebook, Google, Yahoo, Youtube ma anche Amazon, MSN, Hotmail e Bing, provocando un ciclone di censura e imponendo fortissime limitazioni (vedi Fides 26/6/2010). Una task-force di ispettori ha il compito di monitorare il web a disposizione dei navigatori pakistani, che possono essere accusati e arrestati per blasfemia. (PA) (Agenzia Fides 3/12/2010)


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