ASIA/PAKISTAN - Per Asia Bibi si mobilitano avvocati musulmani e attivisti per i diritti umani

venerdì, 12 novembre 2010

Islamabad (Agenzia Fides) – La società civile in Pakistan – non solo le comunità cristiane – si sta mobilitando per il caso di Asia Bibi, la prima donna cristiana condannata a morte per blasfemia. “Sosteniamo Asia Bibi e organizzeremo un’ampia campagna di protesta in suo favore. Faremo i tutti passi necessari, a livello legale, perché il giudizio sia completamente capovolto in appello all’Alta Corte di Lahore. Il suo caso è emblematico dell’abuso della legge sulla blasfemia a danno delle minoranze religiose. Si tratta di patenti violazioni dei diritti umani”, dichiara all’Agenzia Fides Mehdi Hasan, giornalista e accademico, Presidente della “Human Rights Commission of Pakistan” (HRCP), una delle Organizzazioni non governative più importanti e più capillarmente diffuse nella società pakistana.
“Come Commissione per i Diritti Umani svolgeremo indagini accurate e credibili sul caso. Posso però già dire che tutti i casi registrati per blasfemia sono basati su false accuse, sono frutto di odio interreligioso o di settarismo. Non nutriamo alcuna fiducia nell’indagine annunciata dal governo tramite il Ministro per le Minoranze religiose”, rimarca Hasan.
“Da anni – conclude – chiediamo di abolire questa legge, che è un cattiva eredità del passato: fu voluta dal generale Zia per tacitare l’estremismo religioso. Casi come quello di Asia Bibi impongono di continuare nel nostro impegno”.
Anche Aslam Khaki, noto avvocato e studioso musulmano, si dice favorevole all’abrogazione della legge, raccontando di trovarsi spesso a difendere cittadini accusati falsamente di blasfemia “solo per motivi di ostilità religiosa o di settarismo”.
Nel caso di Asia Bibi, Aslam Khaki si dice pronto ad assumere, gratuitamente, la difesa della ragazza e suggerisce un duplice appello: uno presso l’Alta Corte di Lahore, dove si potrà chiedere all’accusa di presentare prove concrete; uno presso la “Federal Sharia Court”, dato che “la stessa legge islamica vieta la pena capitale per le donne e per i non-musulmani”.
“La legge sulla blasfemia dovrebbe essere abolita – rimarca in un colloquio con Fides – ma il governo è debole e se provasse a farlo, i gruppi radicali islamici scenderebbero in piazza. Quello che si può fare, a questo punto, è cambiare almeno le procedure legali: per registrare ufficialmente una denuncia di blasfemia, non dovrebbe bastare una testimonianza, ma devono essere presentate prove concrete. Già questo sarebbe un passo avanti ed eviterebbe molta sofferenza”.
L’avvocato spiega a Fides: “A livello giuridico, va notato che la Corte di appello capovolge il 95% delle condanne per blasfemia comminate in primo grado: dunque è lo stesso sistema giuridico nazionale a riconoscere le scarsa fondatezza delle accuse. Ma intanto, molte persone soffrono discriminazioni, minacce di morte, anni di prigione”. (PA) (Agenzia Fides 12/11/2010)


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