Yangon (Agenzia Fides) – Sono elezioni controllate e, per molti osservatori, dall’esito scontato, quelle che domani si tengono in Myanmar. Si tratta delle prime elezioni parlamentari, a vent’anni dal voto del 1990 che sancì la vittoria – mai ratificata e accettata dalla giunta militare al vertice del paese – della “Lega Nazionale per la Democrazia”, guidata da Aug San Suu kyy, la leader dell’opposizione ancora agli arresti domiciliari.
La giunta militare al potere ha disegnato a fatto approvare con un referendum la nuova Carta Costituzionale che mette al riparo da possibili sgraditi eventi, come una eventuale vittoria di candidati democratici (e anche se dovessero vincere, con i meccanismi in atto, sarebbe impossibile per loro formare un governo).
Fra i partiti maggiori che si presentano al voto, vi è il “Partito dell’Unione, della Solidarietà e dello Sviluppo”, con oltre 1.100 candidati, formato dai militari al potere; vi è poi il “Partito di Unità Nazionale”, sostenuto dall’ultimo dittatore Ne Win, con 999 candidati. La “Lega Nazionale per la Democrazia” si è spaccata: alcuni membri hanno boicottato il voto, altri hanno formato la “Forza Nazionale Democratica”, ritenendo opportuno lasciare una porta aperta a un possibile cambiamento. Questo partito ha comunque subìto molte restrizioni e presenta solo 163 candidati. Altre formazioni di opposizione sono il “Partito Nazionale Democratico Shan”, con 156 candidati, e il “Partito Democratico del Myanmar”, con 48 candidati.
Secondo gli osservatori, la Commissione Elettorale, preposta a controllare gli esiti del voto, non è indipendente e ciò costitutisce un grave handicap per la trasparenza. Le urne non saranno aperte in oltre 4.000 villaggi abitati dalle minoranze etniche, nelle zone di conflitto, il che escluderà dal voto migliaia di cittadini.
“La popolazione – dicono fonti di Fides – resta piuttosto apatica e non nutre grande fiducia verso il voto. Non ci si aspettano grandi cambiamenti”
Nonostante tutto, secondo alcuni osservatori come il think tank “Transnational Institute”, qualche sorpresa potrebbe esserci: “Il processo elettorale è carente a livello di democrazia e di inclusione delle minoranze etniche, ma le elezioni comunque saranno un passaggio importante e produrranno un assetto le cui evoluzioni non sono prevedibili”, afferma l’istituto.
Le minoranze etniche (circa 100 gruppi differenti) costituiscono oltre il 40% della popolazione birmana (per alcuni studiosi, la cifra tocca il 60%), e sono la maggioranza nei sette stati etnici. Sono penalizzate da un conflitto con le forze governative che le dura da 60 anni. Negli ultimi 10 anni, il conflitto ha generato oltre un milione di sfollati interni o di profughi che hanno varcato i confini con la Thailandia.
Uno degli strumenti per raggiungere le minoranze etniche è costituito dalle trasmissioni di Radio Veritas che, racconta una fonte di Fides, “continua a trasmettere messaggi di pace e di riconciliazione. Ha diramato soprattutto gli appelli dei Vescovi birmani alla responsabilità in vista delle elezioni. Svolge una preziosa opera di informazione e di educazione delle coscienze dei cittadini, tenuti ai margini del processo politico”.
In vista delle elezioni, i Vescovi birmani, cattolici e protestanti, hanno inviato una lettera congiunta al gen. Than Shwe, capo della giunta militare (vedi Fides 14/10/2010), assicurando che “tutti i cristiani sono in preghiera per il paese”, soprattutto perchè alla nazione siano garantite “pace e giustizia”. (PA) (Agenzia Fides 6/11/2010)