Città del Vaticano (Agenzia Fides) - L’Anno Sacerdotale inaugurato da Papa Benedetto XVI è una grande occasione di grazia, soprattutto per noi sacerdoti, per farci riscoprire ed approfondire la vocazione di servitori del Signore. “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi” (Gv 15, 16), Gesù lo dice chiaramente ai suoi primi apostoli - e così agli apostoli di ogni tempo -, che la chiamata sacerdotale scaturisce dal suo Cuore, non è iniziativa degli uomini, ma di Dio.
La radice di ogni autentica vocazione è, quindi, da ricercarsi unicamente in Lui: “il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fino dal grembo di mia madre ha pronunziato il mio nome” (Is 49, 1). Lo sappiamo, lo scopo principale per cui siamo stati chiamati, lo possiamo trovare sempre e solo nella Parola di Gesù. Lui ci ha chiamato e Lui ci ha fatto conoscere chiaramente il suo Volere su di noi. San Paolo sintetizza così la Volontà di Dio, valida per ogni cristiano e, quindi, a maggior ragione per ogni sacerdote, che deve essere un pastore per le anime a lui affidate: “questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione” (1Ts 4, 3).
Il sacerdote non dovrebbe dimenticare che il fine della sua chiamata è appunto la santità. Come si potrebbe, infatti, diventare amici di Gesù senza imitarne le virtù, a partire da quelle centrali del suo Cuore? “Imparate da me che sono mite ed umile di cuore” (Mt 11, 29). Quanti passaggi nel Vangelo, sottolineano l’ardente desiderio di Gesù che i suoi discepoli anelino alla santità! “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5, 48). Se la ragione più profonda della chiamata al sacerdozio, non può che essere la santità, allora diventa imperativo per ogni ministro sacro, la tensione quotidiana verso la conversione di vita. La santità sacerdotale, infatti, come ogni santità di vita, occorre “conquistarsela”, giorno dopo giorno, pur in mezzo ai tanti limiti e fragilità umane.
Il cammino di conversione non deve essere mai interrotto perché, se ciò avvenisse, l’energia spirituale del sacerdote diminuirebbe pericolosamente fino al pericolo di collasso: quando cioè viene a mancare la forza di andare avanti. “Andare avanti” significa, prima di tutto, non smettere di combattere il proprio egoismo, nel sacrificio del proprio “io” e dei suoi molteplici interessi che portano lontano dagli interessi di Dio. Il Vangelo, infatti, pone come condizione essenziale per “seguire” Gesù proprio questo rinnegamento: “se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mc 8, 34). Il più grande combattimento spirituale del sacerdote, consiste nel dimenticare se stesso, per non anteporre nulla a Gesù. “Tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta” (Lc 10, 41-42). L’unica cosa necessaria ad un sacerdote è Gesù. Se si desidera imitarlo veramente, mai il Signore permetterà che si resti senza di Lui, che si perda il bene così prezioso della grazia.
Nessuno può togliere ad un anima l’intimità con Gesù! Solo l’anima stessa può farlo, se comincia a trascurare proprio la vita di comunione con Dio, nutrita dai sacramenti e dalla sua Parola meditata e vissuta, accompagnata da una autentica vita di preghiera e di carità. L’amicizia con Gesù è lo scopo primario della chiamata al sacerdozio, da cui tutto il resto dipende: “voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando…Vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi.” (Gv 15, 14ss). Se al posto delle parole di Gesù mettiamo le nostre, anteponendo ai suoi interessi divini i nostri umani, se fissiamo traguardi che non sono ispirati da Lui ma dal mondo, allora si cessa di essere “amici” e si diventa traditori. Non è il sacerdozio ministeriale che si snatura, ma è il singolo ministro che perde il “sapore” (cfr. Mt. 5, 13) e l’irradiazione di quella straordinaria “amicizia” che Gesù gli aveva offerto chiamandolo a sé, “perché stesse con Lui” (Mc 3, 14). Si può allora dire che si impara a diventare quello che si deve essere, cioè sacerdoti, solo “stando con Gesù”. “Rimanete nel mio amore” (Gv 15, 9), questo ha chiesto Gesù ai primi apostoli e questo chiede a tutti gli altri. “Rimanere” è un verbo che ci rimanda al mistero eucaristico: Lui rimane con noi nell’Eucarestia, affinché anche noi rimaniamo con Lui!
Il Santo Padre Benedetto XVI ha fatto dell’esortazione all’amicizia con Gesù, uno dei punti cardine del suo Magistero. Tante volte ha ricordato ai sacerdoti che è dall’intimità con Dio che dipende tutto il resto. Senza un’autentica vita di preghiera, che culmina nella quotidiana, degna celebrazione della S. Messa e nell’adorazione della Santissima Eucaristia, non ci può essere santità sacerdotale e vera fecondità apostolica. Solo se il tralcio è unito alla vite porta frutto, altrimenti si secca (cfr. Gv 15, 4ss). Papa Benedetto XVI addita ai ministri sacri proprio la logica eucaristica come modello di pensiero e di vita: “solo dall’unione con Gesù potete trarre quella fecondità spirituale che è generatrice di speranza nel vostro ministero pastorale. Ricorda san Leone Magno che ‘la nostra partecipazione al corpo e al sangue di Cristo non tende a nient’altro che a diventare ciò che riceviamo’ (Sermo 12, De Passione 3,7, PL 54). Se questo è vero per ogni cristiano, lo è a maggior ragione per noi sacerdoti. Divenire Eucaristia! Sia proprio questo il nostro costante desiderio e impegno, perché all’offerta del corpo e del sangue del Signore che facciamo sull’altare, si accompagni il sacrificio della nostra esistenza. Ogni giorno, attingiamo dal Corpo e Sangue del Signore quell’amore libero e puro che ci rende degni ministri del Cristo e testimoni della sua gioia. E’ ciò che i fedeli attendono dal sacerdote: l’esempio cioè di una autentica devozione per l’Eucaristia; amano vederlo trascorrere lunghe pause di silenzio e di adorazione dinanzi a Gesù come faceva il santo Curato d’Ars, che ricorderemo in modo particolare durante l’ormai imminente Anno Sacerdotale” (Benedetto XVI, omelia nella solennità del Corpus Domini, 11 giugno 2009).
Chi più della Vergine Maria, “Donna Eucaristica” e Madre dei sacerdoti, può insegnarci questa logica eucaristica: perdere se stessi per ricevere Lui; chi più di Lei può aiutarci a procedere sul cammino della “espropriazione” di noi stessi, affinché “Cristo viva in noi” (cfr. Gal 2, 20)! (Agenzia Fides 24/6/2009; righe 68, parole 1.063)