VATICANO - La Chiesa e i percorsi della comunità cristiana (5) - La Parrocchia “comunità di fedeli”

venerdì, 9 maggio 2008

Città del Vaticano (Agenzia Fides) - Si assiste oggi ad una percezione superficiale della Chiesa come una “società di servizi” che offre dei riti di passaggio nella vita di quei cristiani che non vedono più il loro essere cristiani come un progetto che dà l’impronta alla vita. E’ vero anche che, proprio nel contesto attuale, in un’epoca di ricerca di senso, di perdita dei valori e di disorientamento emerge la sentita esigenza di trovare delle formule per riuscire a trasmettere in modo più forte e rinnovato la predicazione autorevole del Vangelo, per coinvolgere le persone alle celebrazioni liturgiche, per far riscoprire la relazione personale con Cristo.
Il Prof. Christoph Hegge, docente di Diritto Canonico presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma, mette in evidenza come il Concilio Vaticano II abbia introdotto la dimensione comunionale della Chiesa e, in sintonia con questa, si è avuto un ampliamento riformatore del concetto di parrocchia e della comprensione della pastorale. Allo stesso tempo il Codice di Diritto Canonico riformato nel 1983 ha modificato la terminologia relativa alle Chiese particolari e alle Chiese locali riportando delle definizioni in linea con la costituzione comunionale della Chiesa. Per le Chiese particolari si parla di “porzione del popolo di Dio che viene affidata alla cura pastorale del Vescovo con la cooperazione del presbiterio” (can. 369 CIC) e per le Chiese locali si è scelto il concetto di communitas christifidelium: “La parrocchia è una determinata comunità di fedeli costituita stabilmente nell’ambito di una Chiesa particolare, la cui cura pastorale è affidata, sotto l’autorità del Vescovo diocesano, al parroco quale suo proprio pastore” (can. 515, § 1 CIC).
La dimensione comunionale della parrocchia si manifesta inoltre nelle definizioni congregationis fidelium paroecialis (can. 528, § 2 CIC) e communionis paroecialis (can. 529, § 2 CIC). La parrocchia è intesa come communio di fedeli nella loro manifestazione concreta e visibile, nella quale la Chiesa si invera in uno specifico territorio come comunità nel senso originario: “Erano un cuore solo e un’anima sola” (cf. At 4, 32; 42-48). La communio fidelium della parrocchia avviene nel modo più denso e in sommo grado nella celebrazione domenicale dell’eucaristia, come sottolinea il Concilio Vaticano II: “Bisogna fare in modo che il senso della comunità parrocchiale fiorisca soprattutto nella celebrazione comunitaria della messa domenicale” (Costituzione su “La Sacra Liturgia”, Sacrosanctum Concilium, n. 42, 2; cf. can. 528, § 2 CIC).
La Chiesa, e quindi la parrocchia, non è né una democrazia né una monarchia ma è “un popolo radunato dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 4) e questo comporta una più compiuta partecipazione e corresponsabilità. Come afferma il Prof. Mons. Sergio Lanza, docente di Teologia pastorale fondamentale e speciale presso la Pontificia Università Lateranense a Roma, solo una parrocchia che si fa capace di comprendere il territorio nella sua valenza carismatica e missionaria, di affrontare l’appartenenza e l’identità del cristiano con modalità nuove e adeguate, di articolare le sue strutture in forma di reale corresponsabilità partecipativa, sarà in grado di essere davvero “Chiesa in un luogo”. (5 - continua) (E.M.) (Agenzia Fides 9/5/2008; righe 36, parole 519)


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