VATICANO - “Vi fu detto, ma io vi dico…” - un intervento del prof. Michele Loconsole sulla nuova preghiera “per gli ebrei” di Benedetto XVI

venerdì, 29 febbraio 2008

Città del Vaticano (Agenzia Fides) - All’indomani della Giornata del dialogo ebraico-cattolico, che come è noto si celebra ogni 17 gennaio, in Italia come in tutto il mondo si è innescata una virulenta polemica causata dalla nuova versione, in lingua latina, del testo della preghiera “per gli ebrei” da usarsi a partire da quest’anno nella liturgia del Venerdì santo. I prodromi sono da rintracciarsi nella pubblicazione nel luglio scorso del Motu proprio di Benedetto XVI, che ha liberalizzato il Rito della Messa caro ai cattolici tradizionalisti. Da quella data si è infittito il dibattito tra esponenti ecclesiastici e rabbini circa l’opportunità di usare il Messale nell’edizione di Giovanni XIII (che aggiorna quello ancora più antico di Pio V, chiamato anche tridentino) al posto di quello più noto promulgato da Paolo VI nel 1970.
Perché dunque la polemica? Ecco i fatti principali. Mentre nel Messale di Giovanni XXIII la preghiera in questione riporta la frase “Ascolta le preci che ti rivolgiamo per l’accecamento di quel popolo, affinché sia sottratto alla tenebre”, testo che dai giudei è stato fortemente osteggiato perché fa esplicito riferimento alla cosiddetta “teologia della sostituzione”, ossia dell’impossibilità di Israele di salvarsi senza convertirsi alla Chiesa di Cristo, quella di Paolo VI recita “Il Signore Dio nostro, che li scelse primi tra tutti gli uomini, li aiuti a progredire sempre nell’amore del suo nome e nella fedeltà alla sua alleanza”, formula che mette l’accento più positivamente sulla validità dell’alleanza stipulata tra Dio e il popolo ebraico.
Benedetto XVI, però, oltre a liberalizzare l’antico rito del Messale tridentino - tra l’altro mai revocato neanche nell’ultimo Concilio - ha modificato l’originale formula col nuovo testo: “Preghiamo per gli ebrei: il Signore Dio Nostro illumini i loro cuori perché riconoscano Gesù Cristo Salvatore di tutti gli uomini. Dio onnipotente ed eterno, Tu che vuoi che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità, concedi propizio che, entrando la pienezza dei popoli nella tua Chiesa, tutto Israele sia salvo”. Ed è proprio questa nuova formula che ha fatto gridare allo scandalo gli ebrei di tutto il mondo, perché a loro dire in questo modo la Chiesa indietreggia di oltre quarant’anni nell’esercizio del dialogo fra le due fedi abramitiche. Ma le cose stanno veramente cosi?
Vediamo innanzitutto la posizione cattolica, all’indomani delle proteste dei rabbini che hanno minacciato di interrompere il dialogo. A parlare non è il Papa, ma il Cardinale Walter Kasper, Presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, e quindi responsabile vaticano del dialogo con l’ebraismo, che in una recente intervista ha affermato: “Pensiamo che ragionevolmente da questa preghiera non possa venire un ostacolo al dialogo perché essa riflette la fede della Chiesa e del resto anche gli ebrei hanno nei loro testi liturgici delle preghiere che non piacciono a noi cattolici. Ci si deve accettare e rispettare nella diversità”. E subito dopo ha aggiunto: “Siamo di fronte ad un testo di Paolo (Rm 11, 25-26) dove è espressa la speranza escatologica che anche il popolo di Israele entri nella Chiesa quando vi entreranno tutti gli altri popoli. Voglio dire che esprime una speranza finale e non un proposito di fare missione tra di loro”. Concludendo, poi, quasi a sottolineare il metodo più che i contenuti del dialogo fra ebrei e cattolici, il porporato ha detto: “Dialogheremo con tutte le nostre forze ma certamente obiettivo del dialogo non può essere la cancellazione delle differenze costitutive”.
Da parte ebraica, invece, le posizioni sono contrastanti. Ai disappunti anche duri del rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, e del presidente dell’Assemblea rabbinica italiana Giuseppe Laras, fanno da contraltare le posizioni di altri ebrei, come quella dell’autorevole professore Giorgio Israel che, citando il rabbino David Berger, ha affermato: “Non essendovi più traccia nella nuova preghiera di Benedetto XVI delle conversioni forzate e dell’insegnamento del disprezzo nei confronti del popolo ebraico, la Chiesa ha il diritto nella verità della propria fede… hanno infatti il diritto di affermare che l’ebraismo sbaglia attorno a questioni centrali come quella della divinità di Gesù; ed è valido il diritto simmetrico”. “Essi (i cattolici) - prosegue Israel - hanno il diritto di aspirare a che gli ebrei riconoscano la divinità di Cristo alla fine dei giorni e di affermare che la salvezza è più difficile per chi non è cristiano. Secondo Berger, la posizione ratzingeriana, in quanto evita un ‘doppio standard’, è più rispettosa per l’ebraismo di molte altre”. Conclude, il professore, quasi riprendendo l’intervento del Card. Kasper, ma rispondendo direttamente ai rabbini italiani, “che le posizioni come quella di Laras servono soltanto a dare argomenti a chi sostiene che le religioni sono intrinsecamente intolleranti e non riescono a parlarsi se non imponendo all’interlocutore di piegarsi al suo punto di vista o, nel migliore dei casi, di tacere le divergenze in quanto offensive. Dice Laras: cosa succederebbe se gli ebrei trattassero in modo simmetrico la fede cristiana? Lo fanno. Lo facciamo. Non ho bisogno di insegnargli che le preghiere ebraiche sono (inevitabilmente) intrise della convinzione di possedere il vero e la vera elezione”.
Un’ultima considerazione, infine, a mio avviso centrale e risolutiva dell’intera questione, è riportata in calce ancora nell’intervista di Israel che rivolgendosi ai suoi correligionari li invita a considerare principalmente le questioni metodologiche del dialogo interreligioso, e solo successivamente i contenuti: “Una fede sicura e libera da costrizioni non ha bisogno di arroccarsi, come non si ritrassero dal confronto i grandi maestri dell’ebraismo medievale persino quando i tentativi di conversione erano sostenuti dalla violenza. L’interruzione del dialogo propugnata dal rabbino Laras è regressiva e pericolosa, e avrebbe senso soltanto per una fede traballante e svuotata. Poiché questo non è il caso, è da augurarsi la scelta di un atteggiamento più riflessivo e razionale”. Staremo a vedere gli sviluppi. (4 - continua) (Agenzia Fides 29/2/2008; righe 66, parole 962)


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