Kinshasa (Agenzia Fides) – “Vogliamo che la voce degli abitanti dell’est della Repubblica Democratica del Congo si faccia sentire nelle trattative di pace” dice all’Agenzia Fides Néné Bintu Iragi, di professione avvocato, Presidente della Società Civile del Sud-Kivu, oltre che coordinatrice del collettivo “Maman Congo” che riunisce le donne sfollate, e membro della Commissione diocesana “Giustizia e Pace” di Bukavu.
Bukavu, capoluogo del Sud Kivu, è stata conquistata il 16 febbraio dai ribelli dell’M23 appoggiati da truppe ruandesi (vedi Fides 17/2/2025). Prima ancora a gennaio era caduta nelle mani dell’M23 Goma, capoluogo del Nord Kivu (vedi Fides 29/1/2025)). Da allora si sono avuti accordi di pace come quello firmato a Washington il 27 giugno, tra RDC e Ruanda sotto l’egida americana, e l’accordo di principio tra RDC e il movimento M23 siglato a Doha (Qatar) il 19 luglio (vedi Fides 21/7/2025). Quest’ultimo dovrebbe sfociare in un’intesa definitiva ma al momento si registrano degli intoppi.
Sulla situazione nel Nord e Sud Kivu e sulle prospettive della pace nell’est della RDC, Néné Bintu Iragi ha concesso ha accettato un’intervista a Fides.
Lei non può rientrare a Bukavu. Perché?
Quando i ribelli sono entrati a Bukavu mi trovavo a Dar es- Salaam (Tanzania) per un incontro sul processo di pace avviato a Nairobi e Luanda. Ero lì come portavoce della popolazione del Sud Kivu per affermare che questa credeva ancora al percorso di pace avviato in precedenza. Purtroppo le cose sono andate diversamente. Già prima della mia partenza per la Tanzania, il 6 febbraio, erano apparsi sui social media dei messaggi di minaccia contro gli esponenti della società civile locale. Poi lungo il mio viaggio di ritorno in patria, mentre mi trovavo a Bujumbura, in Burundi, ho appreso della caduta di Bukavu. Non potevo rientrarvi perché nel corso dell’assalto dell’M23 le prigioni di Bukavu sono state svuotate dei loro carcerati. Tra questi vi sono delle persone che nel mio lavoro di avvocato difensore della popolazione avevo contribuito a far condannare. Si tratta di banditi pericolosi che taglieggiavano i viaggiatori lungo le strade nazionali n.2 e n.5 spesso uccidendoli.
Dove si trova ora e come prosegue la sua opera di sensibilizzazione del dramma dell’est della RDC?
Sono stata costretta a fare base a Uvira, ancora sotto il controllo del governo, da dove mi tengo in contatto con le zone in mano all’M23 per documentare le violenze commesse contro i civili sia dai guerriglieri sia dai paramilitari filo governativi, i Wazalendo. Alcuni dei miei colleghi sono minacciati da questi ultimi perché denunciamo le violazioni dei diritti umani di chiunque le commetta.
Come società civile siamo presi nella morsa dei diversi contendenti perché rifiutiamo di schierarci da una parte o dall’altra, rivendicando la nostra neutralità.
Nei nostri rapporti emerge che la situazione umanitaria è catastrofica. Solo a Goma nei giorni della sua conquista sono state violentate 3.000 donne, mentre circa 10.000 persone sono morte nella settimana seguente alla caduta della città. Questo mentre la MONUSCO (Missione ONU nella RDC) è ancora presente nella zona.
Quali sono le speranze di pace?
La nostra speranza di pace è basata sulla risoluzione 2773 adottata dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU il 21 febbraio 2025 che chiede la cessazione dell’ostilità, il ritiro immediato dell’esercito ruandese e dell’M23 e la protezione dei civili.
Il processo di pace avviato dal Presidente statunitense Trump parla di tutto tranne che delle vittime congolesi. Inoltre nella firma dell’accordo il 27 giugno a Washington non sono stati coinvolti né il Senato né l’Assemblea Nazionale. Eravamo disposti ad accettare tutto questo pur di avere la pace, ma lo stesso giorno della firma le uccisioni dei civili sono continuate impunemente a 15 km da Bukavu.
Per quanto riguarda l’altro mediatore, il Qatar, questo ha investimenti sia nella RDC sia in Ruanda, in particolare la raffineria d’oro ruandese che utilizza il minerale saccheggiato in Congo è stata costruita con finanziamenti qatariani cosi come la compagnia aerea ruandese è nelle mani di Doha. Quindi questo Stato non è un mediatore neutrale perché ha degli interessi da tutelare in entrambi i Paesi.
Vogliamo un accordo inclusivo che prenda in considerazione la popolazione congolese ma anche tutte le altre parti coinvolte nel conflitto nell’est della RDC compresi Burundi e Uganda. (L.M.) (Agenzia Fides 15/11/2025)