Il Papa fragile e il Mistero di Pietro  

giovedì, 13 marzo 2025 papa francesco   chiesa cattolica  

VaticanMedia

di Gianni Valente

Roma (Agenzia Fides) - Papa Francesco trascorre in una stanza d’ospedale del Policlinico Gemelli il 12esimo anniversario della sua elezione come Successore di Pietro e Vescovo di Roma. I medici solo da pochi giorni hanno sciolto per lui la prognosi, che dopo il suo ricovero - avvenuto il 14 febbraio - era rimasta riservata per lungo tempo.
Nell’anno del Giubileo, all’inizio della Quaresima, il singolare momento vissuto dal Vescovo di Roma, sospeso alle incognite del decorso della malattia, smonta almeno un po’ la logora ritualità mediatica del “bilanci del pontificato”, mentre proprio la sua condizione di fragilità lascia intravvedere qualcosa di più bello, interessante e decisivo per il cammino della Chiesa e per sua missione nel tempo e e nel mondo.
Condotto a abbracciare il proprio limite e la propria debolezza, con il corpo consumato e mai sottratto alla fatica a cui lo ha chiamato la sua vocazione e il suo ministero, Papa Francesco ripete senza bisogno di usare parole quello che lui stesso ha detto sempre: che la Chiesa non la può salvare un pover’uomo. Che a guidare, guarire e salvare la Chiesa in ogni passo del suo cammino nel tempo è Cristo stesso, con la Sua grazia e il Suo Spirito.

Le fragilità e vulnerabilità umane dei Vescovi di Roma non sfigurano il volto della Chiesa: anch’essi invece suggeriscono qualcosa del mistero che la fa vivere e camminare nella storia.
La salvezza di Cristo abbraccia gli uomini e le donne così come sono, feriti dal peccato originale, esposti alla malattia e alle cadute, e questo vale per tutti, a cominciare dai Successori di Pietro. E da San Pietro fino ad oggi, a mettere in pericolo la Chiesa non sono fragilità e limiti umani dei Papi.

Papa Francesco non ha mai nascosto i propri limiti, gli errori, le proprie caducità umane. E lo stesso hanno fatto tanti Vescovi di Roma prima di lui. «La mia persona conta niente. È un fratello che parla a voi, diventato padre per la volontà di Nostro Signore», dice Papa Giovanni XXIII nel suo famoso Discorso alla Luna; Giovanni Paolo I, nel discorso rivolto al Collegio cardinalizio dopo la sua elezione, esprime l’augurio che i «confratelli cardinali» aiuteranno «questo povero cristo, il Vicario di Cristo». E Paolo VI, incontrando nel dicembre 1968 gli alunni del Seminario lombardo, accenna ai tanti che «si aspettano dal Papa gesti clamorosi, interventi energici e decisivi», e aggiungeva che «il Papa non ritiene di dover seguire altra linea che non sia quella della confidenza in Gesù Cristo, a cui preme la sua Chiesa più che non a chiunque altro. Sarà Lui a sedare la tempesta». 
Mentre la malattia gli impedisce di compiere tanti gesti abituali legati alla sua missione, nelle giornate del Papa fragile al Gemelli il ministero affidato a Pietro e ai suoi successori si manifesta nei suoi tratti più intimi e elementari: pur nei suoi limiti e nella sua impotenza, Il Successore di Pietro rimane Successore di Pietro anche nella stanza al decimo piano del Gemelli. Papa Francesco non è “meno” Papa ora che la malattia gli impedisce di incontrare le moltitudini. La sorgente del suo ministero non si attiva in funzione dell’intensità dei suoi impegni pubblici. La comunione di preghiera vissuta tra il Popolo di Dio sparso nel mondo e il Vescovo di Roma nei giorni della sua prova ha una consistenza di realtà più intensa e efficace della firma di chirografi papali o delle apparizioni papali agli Eventi giubilari. E gesti come le nuove telefonate del Papa alla parrocchia di Gaza, effettuate anche nei giorni del suo ricovero per avere notizie su chi più soffre nella terra di Gesù, appartengono con tutte le loro implicazioni alla fascia degli “atti primari” del Pontificato. Così come gli appelli alla pace e le parole sulla guerra, diffusi anche durante il ricovero, che hanno provvidenzialmente tenuto distante la Chiesa cattolica dai vortici guerrafondai che continuano a squassare il mondo, anche mentre si vanno aprendo di nuovo strade diplomatiche alla pace.

La comunione di preghiera che in queste settimane di degenza papale ha unito Vescovo di Roma e Popolo di Dio è un’immagine limpida delle dinamiche e dei fattori reali che uniscono la Chiesa e la fanno vivere nel tempo. Con una concentrazione sulle cose reali e sostanziali che sembra riportare tutto alla richiesta che Papa Francesco ha ripetuto in maniera assillante per 12 anni: la richiesta a tutti di pregare per lui, «perché ne ho bisogno”.
Papa Francesco ha chiesto e chiede di essere preso in braccio in braccio nel tempo della prova. Il Popolo di Dio ha pregato e prega per lui, lo affida a Maria con letizia e nella pace, senza angosce.
La semplice ripetizione comune delle preghiere più abituate, le preghiere spesso imparate da bambini, diventa anche segno e strumento intimo della comunione delle moltitudini con il Vescovo e con la la Chiesa di Roma, fondata sul martirio degli apostoli Pietro e Paolo. Così è avvenuto quando l’Apostolo Pietro «era tenuto in prigione, mentre una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla Chiesa per lui» (Atti degli Apostoli, 12,5). Così avveniva già nei primi secoli dopo Cristo, quando la comunione con la Chiesa di Roma era anche espressa e confermata dal fatto di condividere le stesse formule di preghiera. 
 
Sperimentando e testimoniando la reale comunione col Vescovo di Roma nella preghiera, l’esperienza vissuta da tanti nelle settimane di preghiera per Papa Francesco ha avuto anche l’effetto di sgombrare il campo dalle concezioni fuorvianti che scambiano il ruolo del Papa con quello di un “amministratore delegato” di qualche azienda multinazionale.
Si è sperimentato e testimoniato che il ministero del Vescovo di Roma può essere anche più fecondo con un sussurro di preghiera condiviso che con decine di Motu Proprio e di apparizioni pubbliche.  

Il Papa non è il “project manager” della Chiesa . Non è nemmeno l’organizzatore/catalizzatore di eventi. Non rientra nei tratti irrinunciabili del compito a lui affidato quello dell’efficientismo aziendalista. A lui è chiesto solo di confermare i fratelli e le sorelle nella fede degli Apostoli. (Agenzia Fides 13/3/2025)


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