Teresa, Roma e il mondo

domenica, 1 ottobre 2023 santi   martiri   missione  

Thérèse Martin all'età di 15 anni

di Gianni Valente

Roma (Agenzia Fides) – Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo, proclamata da Papa Pio XI co-patrona delle missioni insieme a San Francesco Saverio, ha vissuto buona parte della sua breve e fragile vita (morì a 24 annio di tubercolosi) tra le mura di un monastero. Ma prima di iniziare il suo tempo di clausura, la santa di Lisieux, di cui oggi si celebra la memoria liturgica, ebbe modo di attingere col suo stile imparagonabile alle memorie apostoliche e martiriali della Chiesa di Roma. Quella che per tradizione, nel mese di ottobre, chiama tutte le comunità cattoliche del mondo anche a raccogliere aiuti per le opere della missione. Accadde nel novembre del 1887, quando Teresa aveva 14 anni, e Papa Leone XIII compiva il suo giubileo sacerdotale.
Tra i numerosi pellegrinaggi organizzati per rendere omaggio all’anziano Pontefice, c'era anche quello promosso dalla diocesi francese di Coutances. Teresa Martin vi prese parte insieme al papà Louis e alla sorella Céline.

Teresa parte per Roma accarezzando un suo “piano”: se ne avrà occasione, vuole parlare con l’anziano Pontefice e chiedere direttamente a lui il permesso di farsi carmelitana a quindici anni.
Del resoconto del suo viaggio in Italia, riportato nel suo diario, la Storia di un’anima, sono rimaste famose proprio le pagine in cui Teresa descrive l’incontro e il colloquio avuto con il Papa. Ma forse i particolari più suggestivi del racconto dell’adolescente sono quelli che descrivono il suo pellegrinaggio alle memorie cristiane disseminate nella Città Eterna: «Ah, che viaggio! Mi ha istruita di più da solo, che non i lunghi anni di studio» scrive Teresa. E aggiunge: «Ho visto delle cose bellissime, ho contemplato le meraviglie dell’arte e della religione, soprattutto ho camminato sulla terra stessa degli apostoli, la terra intrisa del sangue dei martiri, e l’anima mia si è dilatata a contatto con le cose sante».

Il viaggio della comitiva, partito da Parigi, prima di giungere a Roma fa tappe a Milano, Venezia, Padova, Bologna. Il treno arriva a Roma di notte. Teresa, Céline e il papà Louis trovano alloggio in un albergo in via Capo le Case, strada che su cui si affaccia anche un lato del Palazzo di Propaganda Fide. Rimangono nella città sette giorni. I suoi singolari appunti di viaggio, affidati al diario, oltre a riportare diffusamente l’incontro con Papa Leone XIII si snodano tra il Colosseo e le Catacombe, le Basiliche di Santa Cecilia e di Sant’Agnese, fino alla Basilica di Santa Croce in Gerusalemme.

Al Colosseo, la ragazzina di Lisieux racconta come una avventura rocambolesca il suo allontanamento dalla comitiva per discendere insieme a Céline tra i ruderi: «Vedevo finalmente» scrive Teresa «quell’arena dove tanti martiri avevano dato il sangue per Gesù e già mi disponevo a baciare la terra che essi avevano consacrata, ma quale delusione! Il centro è soltanto un ammasso di ruderi che i pellegrini possono guardare e basta, perché uno sbarramento impedisce di penetrarvi, del resto nessuno prova la tentazione di entrare in mezzo a quelle rovine. Eravamo dunque venute a Roma per non discendere nel Colosseo? Mi pareva impossibile»: Teresa non ascolta più le spiegazioni della guida, e comincia a cercare il modo allontanarsi dai percorsi protetti e discendere tra le rovine. Scavalca la staccionata, portandosi dietro Céline, e «ed eccoci a scalar le rovine che si sgretolavano sotto i nostri passi. Papà ci guardava meravigliato per la nostra audacia, e ci disse di tornare indietro, ma le due fuggitive non udivano più nulla». Le due sorelle si mettono acercare un pezzo di pavimento, segnato da una croce, che la guida aveva segnalato «come quello su cui combattevano i martiri», e avendolo trovato, «ci inginocchiammo su quella terra sacra, le nostre anime si fusero in un’unica preghiera. Mi batteva forte il cuore quando avvicinai le labbra alla polvere arrossata dal sangue dei primi cristiani, chiesi la grazia di essere martire anch’io per Gesù, e sentii in fondo al cuore che la mia preghiera era esaudita. Tutto questo» prosegue Teresa «fu compiuto in brevissimo tempo; dopo aver preso qualche pietra, ritornammo verso le mura in rovina per ricominciare la nostra impresa rischiosa. Papà, vedendoci così felici, non poté rimproverarci e vidi bene che era orgoglioso del nostro ardimento... Il buon Dio ci protesse visibilmente, perché i pellegrini, essendo un po’ distanti, non si accorsero della nostra assenza (…)».

A Teresa – ha scritto Giovanni Ricciardi - «non basta sapere o vedere da lontano. Davanti alle reliquie dei martiri sente il bisogno di accostarsi, di toccare con mano». Sarà così anche alle Catacombe di San Callisto. «Sono tali e quali me le ero figurate leggendone la descrizione nella vita dei martiri», racconta Teresa. Anche lì, le due sorelle lasciano che la processione di pellegrini si allontani un poco, si calano in fondo all’antica tomba di santa Cecilia, e prendono un po’ di terra. «Prima del viaggio a Roma» scrive Teresa «non avevo alcuna devozione particolare per quella santa ma, visitando la casa trasformata in chiesa [la Basilica di Santa Cecilia in Trastevere], luogo del suo martirio, e venendo a sapere che ella è stata proclamata regina dell’armonia non già a causa della sua bella voce né del suo ingegno per la musica, bensì in memoria del canto virginale ch’ella fece udire allo Sposo celeste nascosto in fondo al suo cuore, sentii per lei più che una devozione: una vera tenerezza d’amica... Ella divenne la mia santa prediletta, la mia confidente intima...». Cecilia le diviene cara, ne avverte la prossimità, nella comunione dei santi.Teresa richiama anche un particolare della Passio di santa Cecilia, che forse aveva letto nelle vite dei martiri: «Cecilia portava sempre il Vangelo di Cristo nascosto nel seno e sia di notte che di giorno mai cessava di parlare del Signore nelle sue preghiere e assai spesso gli chiedeva di conservarla nella verginità».

La stessa prossimità di sorella, Teresa la avverte e proclama con Sant’Agnese, durante la visita alla Basilica dedicata alla Santa sulla Via Nomentana. Quella visita – racconta Teresa «mi fu di grande dolcezza, era un’amica d’infanzia che andavo a trovare nella sua casa, le parlai lungamente di colei che porta così bene il suo nome [la sorella Agnese, già allora nel Carmelo], e feci tutti i miei sforzi per ottenere una reliquia di quest’angelica patrona della mia madre carissima, avrei voluto portarla a lei, ma non ci fu possibile avere altro che una pietruzza rossa staccatasi da un ricco mosaico la cui origine risale al tempo di sant’Agnese e che lei stessa dovette guardare spesso».

Lo stesso modo di fisico e vitale di accostarsi alle memorie cristiane Teresa lo esercita davanti alle reliquie più preziose, l’ultimo e il più caro dei ricordi del suo pellegrinaggio romano: «Nella chiesa di Santa Croce in Gerusalemme potemmo vedere alcuni frammenti della vera croce, due spine ed un santo chiodo racchiusi dentro un magnifico reliquiario d’oro cesellato, ma senza vetro, perciò io trovai il modo, venerando la reliquia preziosa, d’insinuare il mignolo in uno spazio del reliquiario, e potei toccare il chiodo che fu bagnato dal sangue di Gesù. Fui veramente troppo audace». Ma «il Signore vede il fondo dei cuori,» aggiunge, «sa che l’intenzione mia era pura, e che per niente al mondo avrei voluto fargli dispiacere, agivo con lui da bambina che si crede tutto permesso e considera come propri i tesori del Padre». «Bisognava che trovassi sempre il modo per toccare tutto», conclude Teresa. (Agenzia Fides 1/10/2023)


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