VATICANO - LA “PACEM IN TERRIS” DOPO 40 ANNI È PIÙ CHE MAI ATTUALE - Una riflessione di p. Claudio Pighin, PIME, Direttore del Centro Comunicazioni Sociali della Pontificia Università Urbaniana

martedì, 8 aprile 2003

Città del Vaticano (Agenzia Fides) - La lettera enciclica “Pacem in Terris” venne pubblicata l’11 aprile 1963 da Papa Giovanni XXIII. Era quella una fase storica che ha molte analogie con quella che stiamo attraversando: costruzione del muro di Berlino, la guerra fredda fra il mondo Sovietico e il mondo Occidentale, la crisi Cubana ecc..
Per celebrare il 40° anniversario che cade quest’anno, Giovanni Paolo II ha celebrato, il 1° gennaio 2003, la Giornata della Pace con un messaggio intitolato: “Pacem in Terris - un impegno permanente”.
Pacem in terris non è un appello sentimentale, ma un meditato documento pontificio che coglie la radice del problema e propone la questione nel rispetto della dignità della persona. La Chiesa non è pacifista ma pacificatrice. Paolo VI nel discorso all’ONU disse che la Chiesa chiede il permesso di poter servire.
L’enciclica Pacem in Terris si divide in quattro parti come sono i valori che stanno alla base della convivenza umana: verità, giustizia, carità (amore) e libertà.
Bisogna pertanto domandarsi che cosa significa avere un diritto: significa avere un corrispondente dovere. Reciprocità dei diritti e dei doveri allargano gli orizzonti degli operatori di pace, facendoli sentire co-protagonisti della continua costruzione del mondo.
Il discorso della pace è strettamente legato al discorso del bene comune internazionale. Quindi disarmo integrale non solo sul piano delle politiche degli armamenti, ma sul piano culturale.
A fronte della inadeguatezza degli stati nazionali a realizzare il bene comune universale, la Pacem in Terris propone la costituzione di poteri pubblici mondiali, mediante un processo democratico, sulla base dei principi di solidarietà e di sussidiarietà.
Papa Giovanni Paolo II osserva nel suo messaggio che una autorità pubblica internazionale a servizio dei diritti umani è costituita, ma non è infrequente la sua esitazione nel fare rispettare ed applicare i diritti umani. Oggi è viva la preoccupazione per la forbice creatasi tra i diritti promossi tra le società tecnologiche avanzate e i diritti umani elementari, che non vengono soddisfatti soprattutto in situazioni di sottosviluppo ( cibo, acqua potabile, casa, autodeterminazione ecc.).
Nella Pacem in Terris è straordinariamente preziosa l’indicazione riguardante la correlazione tra i contenuti del bene comune universale e la configurazione ed il funzionamento dei poteri pubblici mondiali. Tale tematica è morale prima che strutturale. Al centro deve essere posta la famiglia ed il bene comune universale a cui essa tende.
Il valore di bene comune universale, secondo l’enciclica, deve essere il criterio ispiratore della creatività progettuale e della configurazione più pertinente dei poteri pubblici mondiali. Diventa perciò urgente determinare i contenuti del bene comune universale odierno. Analizzando la realtà sociale è possibile intravedere la rete di poteri e di funzionalità di cui ha bisogno il mondo: fame, analfabetismo, senza tetto, abbandono dei vecchi, droga, dissesto ecologico, senza terra ecc..
Nel contesto internazionale gli stati sono richiamati a ripensare e ridefinire l’autorità da esercitare. L’enciclica di Giovanni XXIII afferma che la pace ha bisogno di un convinto e generoso impegno dei cristiani nella società, soprattutto dei fedeli laici.
Nel testo troviamo inoltre l’invito a partecipare alla vita politica, il richiamo alla prudenza e alla gradualità, la sollecitazione a coltivare la vita spirituale.
La partecipazione alla vita pubblica per promuovere il bene comune esige la fondazione teologica dell’impegno politico, non soltanto impegno gestionale ma culturale, da svolgere con un preciso riferimento all’ordine soprannaturale.
La Pacem in Terris raccomanda che l’azione dei cristiani in politica sia vissuta nella loro interiorità come sintesi di elementi scientifico-tecnico-professionale e di valori spirituali. L’impegno per la pace ha bisogno di uomini e donne rinnovati dall’azione dello Spirito.
Giovanni XXIII nell’enciclica “Mater et Magistra” afferma: “Qualora si garantisca nell’attività e nelle istituzioni temporali l’apertura ai valori spirituali e ai fini soprannaturali, si rafforza in esse l’efficienza rispetto ai loro fini specifici ed immediati”.
Queste parole valgono anche per la pace.
Concludendo, la Pacem in Terris proponeva il compito immenso di “ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia e nell’amore”. Giovanni Paolo II chiama questo compito “impegno permanente”.
È uno sforzo di ricomposizione attraverso la mediazione culturale, il dialogo aperto, da vivere in modo da essere e fare sacramento dice l’Arcivescovo Renato Martino, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace; ossia incarnare qui ed ora Cristo vivente ed operante nella Chiesa, cercando di esprimere il suo amore e la sua carità.
(Agenzia Fides 8/4/2003, Righe 57 – Parole 715)


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