EUROPA/ITALIA - L’abito “cucito addosso” di Clara

venerdì, 13 gennaio 2023 storia   istituti missionari   animazione missionaria  

Torino (Agenzia Fides) - Clara Pautasso ora ha 40 anni, vive a Torino e fa l’infermiera all’ospedale Molinette. Quando di anni ne aveva 18, e si avvicinava l’esame di maturità, fu allora che si sentì chiamata ad una scelta. “Ho un ricordo molto preciso, impresso nella mia mente. Ero a cena con la mia famiglia, era primavera e mi ricordo perfettamente che dissi loro che a settembre sarei partita per l’Africa”. Cresciuta nell’ammirazione verso figure come Santa Madre Teresa di Calcutta, Clara vuole immergersi dentro la realtà delle cose con tutta se stessa. Attraverso degli amici arriva a conoscere una suora missionaria della Consolata che si trova in Tanzania. Da lì nasce il desiderio di partire per andare a vedere con i propri occhi situazioni e persone fino ad allora aveva conosciuto per sentito dire, o attraverso le storie lette e viste sui media. Come quelle di bambini e bambine che vivono in situazioni di sofferenza, fame, malattia, senza nessuno che possa asciugare le loro lacrime, senza perché.
Clara lavora tutta l’estate per potersi pagare il viaggio, esegue il test di ingresso per accedere al corso di laurea in scienze infermieristiche e a settembre parte per un mese e mezzo. “Quella realtà è entrata dal primo giorno nel mio cuore, l’ho sentita subito casa” racconta Clara Pautasso all’Agenzia Fides . “E’ stato un viaggio che mi ha cambiata, Sono stata prima in servizio al dispensario di Kibiti poi a Dar es Salaam presso il dispensario ed il reparto maternità ed Iringa. Quando sono rientrata, ho iniziato a studiare all’Università per diventare infermiera, e appena le ferie me lo consentivano raggiungevo in Kenya, a Matiri, nel Taraka, il Saint Orsola hospital, dove facevo tutto quello che c’era bisogno di fare, non solo attività inerenti la mia professione”. A Torino nel frattempo la giovane infermiera continua a formarsi: una tesi di laurea sulla malaria, la specializzazione in malattie tropicali. Poi inizia a lavorare. Prima per 6 anni di ortopedia, poi in medicina di urgenza. “Era come se ogni scelta fosse dettata da qualcosa che si stava preparando per me”, racconta Clara. Lungo il cammino, che è anche una ricerca interiore, arriva prima la decisione di dedicarsi alla medicina d’urgenza, e poi, nel 2018, la scelta di uscire da percorsi “protetti” per seguire il proprio desiderio di dedizione totale per aiutare chi ha più bisogno.
Nel maggio del 2018, Clara inizia un periodo di riflessione molto serrato. Parla con la sua coordinatrice in ospedale e le preannuncia che forse, nei mesi successivi, lascerà la squadra di lavoro. Da quel momento è tutto un susseguirsi di “preparativi a lasciare”. Lasciare un lavoro sicuro, una casa, una famiglia.
Se i missionari della Consolata la aiutano molto da un lato, dall’altro non le fanno sconti sulla difficoltà che avrebbe trovato a Ikonda, in Tanzania, dove Clara è destinata.
“In Tanzania mi accorgo che veramente tutto quello che stavo vivendo era come un abito ‘cucito addosso’ su di me”, racconta. Finisco a lavorare in un reparto di terapia intensiva, aperto solo 2 mesi prima, dopo aver vissuto l’esperienza della medicina d’urgenza”.
Ad Ikonda non ci sono medici anestesisti o urgentisti. Ci sono medici locali, soprattutto chirurghi, oltre agli specialisti volontari che arrivano da Paesi occidentali. L’equipe è fatta di infermieri. Clara si mette all’opera. Primo obiettivo: rafforzare l’équipe degli infermieri. “Più ancora che imparare a misurare la pressione o leggere un elettrocardiogramma, volevo riuscire a trasmettere il desiderio del prendersi cura di una persona che è alla base del lavoro di un infermiere. Ho visto veramente la crescita di molti di loro sotto i miei occhi” ci spiega.
Nei 9 mesi trascorsi ad Ikonda accadono tantissime cose, Clara incontra persone, incrocia sguardi e vite tra cui quella di Frederick, un ragazzo di circa 45 anni con un cancro gastrico. Frederick sulle prime non accetta di farsi curare da Clara. Lei è bianca, è una donna, e poi si veste con abiti e maglioni a cui lui non è abituato. Clara rimane amareggiata per quella ostilità immotivata. Poi Frederick peggiora, peggiora, non riesce a alimentarsi. Clara prepara cerca di nutrirlo come può, passa ore accanto a lui. E le cose cambiano, senza bisogno di parole: “Frederick morì da lì a pochissimi giorni. Ho capito da lui quanto il sentirsi amati possa essere una delle più forti medicine, anche quando non c’è più nulla da fare, anche se stai per morire”.
Poi il suo tempo a Ikonda finisce, e arriva il momento di tornare a casa. Tornata nella sua città, senza un lavoro, Clara rimette in moto i suoi contatti, e riparte. Proprio l’esperienza in Africa le ha fatto capire che quello è l’orizzonte in cui è chiamata a vivere la sua dedizione. Arriva a Torino nell’autunno del 2019, di lì a poco scoppia la pandemia. Clara, per mancanza di personale, viene “dirottata” dalle Molinette all’Ospedale Mauriziano, al reparto di medicina d’urgenza annesso al Pronto Soccorso, primo ingresso dei malati di Covid. Un “dirottamento” provvidenziale che riapre in Clara il desiderio il desiderio di tornare alle Molinette, nel suo vecchio reparto di medicina d’urgenza. In quel momento il suo posto è lì in prima linea a fare del proprio meglio per aiutare i malati colpiti dalla pandemia. Ancora una volta riconosce l’ordito di quell’ “abito cucito addosso”, in un cammino dove nulla è scontato, eppure “anche i capelli del capo sono tutti contati” (Lc 12, 7)“.

(EG) (Agenzia Fides 13/01/2023)


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