Di esperienza in esperienza. Annunciare Cristo secondo Joseph Ratzinger

martedì, 3 gennaio 2023 missione   papa   chiesa cattolica   martiri  

di Gianni Valente

Roma (Agenzia Fides) – «La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana». Fu questo il titolo della XIII Assemblea generale del Sinodo dei Vescovi, l’ultima a cui Benedetto XVI prese parte come Pontefice. Dai lavori di quella assise ecclesiale uscirono anche riflessioni e spunti poi disseminati nella Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, il documento magisteriale più importante di Papa Francesco.

Quello della missione e della sollecitudine apostolica nell’annuncio del Vangelo è il filo rosso di contuità più intenso e appassionante che attraversa il pontificato di Papa Francesco e quello del suo predecessore.

Nel 2011, la “nuova evangelizzazione” era stata al centro dell’annuale incontro dello Schülerkreis ratzingerino, il cenacolo di ex allievi che in quegli anni si ritrovavano ogni anno a Castel Gandolfo per riflettere insieme in un seminario a porte chiuse su un tema specifico, e rincontrare con l’occasione il loro ex professore.
Il futuro Pontefice aveva espresso lungo tutto il suo cammino spirituale e ecclesiale il suo sguardo sul nuovo dinamismo missionario che la Chiesa è chiamata a vivere nel tempo presente, segnato da profondi processi di scristianizzazione in terre di antica tradizione cristiana. Lo aveva fatto anche quando, da Cardinale Prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede, aveva pronunciato una lunga e articolata relazione il 10 dicembre dell’anno Duemila, intervenendo al Convegno dei catechisti e dei docenti di religione promosso a Roma dalla Congregazione per il Clero. Quel documento contiene spunti di impressionante e feconda attualità per riconoscere anche nel tempo presente la sorgente di ogni missione e opera apostolica, e i tratti imparagonabili che connotano il suo fiorire nel mondo, nel tempo presente.

LA TENTAZIONE DELL’IMPAZIENZA
Quela volta, il cardinale Ratzinger prese le mosse dalla parabola evangelica del Regno di Dio, paragonato da Gesù al granello di senape, che «è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami». Quando si parla di “nuova evangelizzazione” nei contesti in cui si è spenta la memoria cristiana – sottolineò il futuro Papa Benedetto XVI - occorre evitare innanzitutto «la tentazione dell'impazienza, la tentazione di cercare subito il grande successo, di cercare i grandi numeri». Questo secondo Ratzinger «non è il metodo di Dio», per il quale «vale sempre la parabola del grano di senape». Anche la nuova evangelizzazione «non può voler dire: attirare subito con nuovi metodi più raffinati le grandi masse allontanatesi dalla Chiesa». La storia stessa della Chiesa insegna che «le grandi cose cominciano sempre dal granello piccolo ed i movimenti di massa sono sempre effimeri».

SEGUIRE IL “METODO” DI DIO
La dinamica della testimonianza cristiana – suggeriva allora il Prefetto-teologo bavarese si riconosce perché ha come termine di confronto solo l'agire di Dio nella storia della Salvezza: «"Non perché sei grande ti ho eletto, al contrario - sei il più piccolo dei popoli; ti ho eletto, perché ti amo...” dice Dio al popolo di Israele nell'Antico Testamento, ed esprime così il paradosso fondamentale della storia della salvezza». Dio «non conta con i grandi numeri; il potere esteriore non è il segno della sua presenza. Gran parte delle parabole di Gesù indicano questa struttura dell'agire divino e rispondono così alle preoccupazioni dei discepoli, i quali si aspettavano ben altri successi e segni dal Messia - successi del tipo offerto da Satana al Signore».

Anche la diffusione del cristianesimo in epoca apostolica veniva allora ricondotta da Ratzinger alle parabole evangeliche dell’umiltà: «Certo, Paolo alla fine della sua vita ha avuto l'impressione di aver portato il Vangelo ai confini della terra, ma i cristiani erano piccole comunità disperse nel mondo, insignificanti secondo i criteri mondani. In realtà furono il germe che penetra dall'interno la pasta e portarono in sé il futuro del mondo».

Non si tratta di “allargare gli spazi” della Chiesa nel mondo. Notava Ratzinger nella sua relazione davanti ai catechisti: «Non cerchiamo ascolto per noi, non vogliamo aumentare il potere e l'estensione delle nostre istituzioni, ma vogliamo servire al bene delle persone e dell'umanità dando spazio a Colui che è la Vita. Questa espropriazione del proprio io offrendolo a Cristo per la salvezza degli uomini, è la condizione fondamentale del vero impegno per il Vangelo».

IL “CONTRASSEGNO” DELL’ANTICRISTO
I richiami proposti allora da Ratzinger riguardo alla natura propria della missione apostolica non erano ispirati da opportunismi tattici, ma alla necessaria conformazione di ogni attività apostolica alla dinamica e al mistero dell’incarnazione di Cristo. Una Chiesa autoreferenziale, che rimandasse solo a se stessa – suggeriva il futuro Successore di Pietro - sarebbe strumento di confusione e di contro-testimonianza, perché «Il contrassegno dell'Anticristo è il suo parlare nel proprio nome», mentre «il segno del Figlio è la sua comunione col Padre». Ratzinger diceva parole già allora illuminanti riguardo alla presunzione di confidare in maniera “trionfalista” nelle nuove strategie di comunicazione e marketing: «Tutti i metodi ragionevoli e moralmente accettabili – disse allora - sono da studiare. È un dovere far uso di queste possibilità di comunicazione. Ma le parole e tutta l'arte della comunicazione non possono guadagnare la persona umana in quella profondità, alla quale deve arrivare il Vangelo. (…). Non possiamo guadagnare noi gli uomini. Dobbiamo ottenerli da Dio per Dio».

MISSIONE E MARTIRIO
La conversione dei cuori è opera della grazia operante di Cristo. E attinge misteriosamente al mistero della Sua Passione. In un altro passaggio straordinario, il futuro Pontefice accennava con parole definitive al vincolo che unisce il tratto martiriale e quello missionario del cammino della Chiesa nella Storia. «Gesù» disse allora Joseph Ratzinger «non ha redento il mondo tramite parole belle, ma con la sua sofferenza e la sua morte. Questa sua passione è la fonte inesauribile di vita per il mondo; la passione dà forza alla sua parola». In maniera analoga, anche per San Paolo, primo grande “missionario”, «il successo della sua missione non fu frutto di una grande arte retorica o di prudenza pastorale; la fecondità fu legata alla sofferenza, alla comunione nella passione con Cristo». I testimoni sono quelli «che completano "quello che manca ai patimenti di Cristo" (Col 1, 24). In tutti i periodi della storia si è sempre di nuovo verificata la parola di Tertulliano: È un seme il sangue dei martiri. Sant'Agostino dice lo stesso in modo molto bello, interpretando il Vangelo di Giovanni, nel passaggio dove la profezia del martirio di Pietro e il mandato di pascere, cioè l'istituzione del suo primato sono intimamente connessi». Per tutto questo, «Non possiamo dare vita ad altri, senza dare la nostra vita. Il processo di espropriazione sopra indicato è la forma concreta (espressa in tante forme diverse) di dare la propria vita. E pensiamo alla parola del Salvatore: "...chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà...».

DI ESPERIENZA IN ESPERIENZA
In un’altra occasione, predicando nel 1986 gli esercizi spirituali ai sacerdoti di Comunione e Liberazione, l’allora cardinale Joseph Ratzinger aveva già riproposto come sorgente di ogni autentica dinamica evangelizzatrice l’attrattiva della grazia, operata da Cristo stesso.
In quell’occasione, Ratzinger ricordò che «la Chiesa antica, dopo la fine del tempo apostolico, sviluppò come Chiesa un’attività missionaria relativamente ridotta, non aveva nessuna strategia propria per l’annuncio della fede ai pagani, e ciononostante il suo tempo divenne il periodo del più grande successo missionario. La conversione del mondo antico» sottolineò Ratzinger «non fu il risultato di un’attività ecclesiale pianificata, bensì il frutto della verifica della fede, verifica divenuta visibile nella vita dei cristiani e nella comunità della Chiesa. L’invito concreto da esperienza ad esperienza e nient’altro fu, umanamente parlando, la forza missionaria della Chiesa antica. Viceversa l’apostasia dell’età moderna si fonda sulla caduta di verifica della fede nella vita dei cristiani. (…) la nuova evangelizzazione, di cui abbiamo tanto bisogno, non la realizziamo con teorie astutamente escogitate: l’insuccesso catastrofico della catechesi moderna è fin troppo evidente. Soltanto l’intreccio tra una verità in sé conseguente e la garanzia nella vita di questa verità può far brillare quell’evidenza della fede attesa dal cuore umano; solo attraverso questa porta lo Spirito Santo entra nel mondo». ( Agenzia Fides 3/1/2023)


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