New York (Agenzia Fides) – La giunta militare del Myanmar ha accolto un appello della "Associazione delle Nazioni del Sudest Asiatico" (ASEAN) per avviare un cessate-il-fuoco fino alla fine del 2021. La tregua servirà a garantire la distribuzione di aiuti umanitari nella nazione lacerata dal conflitto civile. L’ASEAN ha specificato che non si tratta di un cessate-il-fuoco politico, ma che "mira a tutelare la sicurezza degli operatori umanitari” nel loro sforzo di distribuire aiuti in sicurezza alla popolazione stremata e colpita dalla pandemia. L’ASEAN ha rivolto l’appello anche alle forze di opposizione della resistenza, nella speranza che uno stop bilaterale della violenza possa giovare all’assistenza della popolazione civile. Secondo le stime della Banca Mondiale, dato il crollo del Pil e la grave situazione socioeconomica in Myanmar, nei prossimi mesi circa 25 milioni di persone (quasi la metà della popolazione birmana) vivranno in una condizione di povertà.
Nel frattempo, una petizione ai governi dei paesi membri dell’Onu e una raccolta di firme a livello internazionale cercano di fare pressione sulla prossima Assemblea generale dell’Onu dove l’ambasciatore Kyaw Moe Tun, nominato dal governo in carica in Myanmar prima del golpe militare del 1° febbraio, viene considerato l’ultima voce in grado di far sentire le aspirazioni della resistenza birmana in un consesso internazionale.
La petizione chiede ai governi di prendere posizione in occasione della Assemblea Generale dell’Onu, che si apre il 14 settembre, esprimendosi in favore dell'ambasciatore Kyaw Moe Tun, come rappresentante permanente del Myanmar alle Nazioni Unite. Il diplomatico – vittima di minacce e intimidazioni, per cui sono stati arrestati negli Usa due birmani – è stato nominato dal governo della Lega di Aung San Suu Kyi ma il nuovo regime guidato dalla giunta militare lo ha ufficialmente esautorato dopo che Kyaw Moe Tun aveva preso posizione contro il golpe, parlando davanti ai membri dell’Onu. Nella petizione si ricorda che accogliere un nuovo ambasciatore nominato dalla giunta “significherebbe legittimarlo e incoraggiarne la politica autoritaria e repressiva, condannando il Myanmar a una dittatura guidata dallo stesso esercito che nel 2017 ha commesso il genocidio contro il popolo Rohingya”. Quella violenza, più volte stigmatizzata in sede Onu, provocò migliaia di vittime e centinaia di migliaia di profughi, ora ospitati in Bangladesh. Citando nella petizione il dossier sui Rohingya, l'attuale “governo-ombra” (National Unity Government-Nug), che si oppone alla giunta militare, mostra di aver aderito allo statuto di Roma della Corte Penale Internazionale, per dimostrare la volontà di collaborare con la comunità internazionale nelle indagini su quella violenza.
Le comunità birmane della diaspora, in Italia e in molti altri stati occidentali, che sono espressione del Nug, chiedono al governo italiano e all’Unione Europea di riconoscere l'Ambasciatore Kyaw Moe Tun. Per questo il 12 settembre ha organizzato a Roma un presidio in Piazza del Popolo, mentre anche in altre città europee e in America si prevedono simili manifestazioni.
(MG-PA) (Agenzia Fides 6/9/2021)