La pace è a portata di mano. Il Sud Sudan vive una fase cruciale della sua storia: è aperta la strada per porre fine al conflitto civile in corso da sei anni. Il presidente, Salva Kiir, ha annunciato infatti un’intesa con il leader dei ribelli, Riek Machar, per la formazione di un governo di unità nazionale. La popolazione Sudsudanese guarda con trepidazione e speranza al patto, dopo anni di sofferenza.
L’accordo di pace che durava dal settembre del 2018, il più lungo della brevissima storia del Sud Sudan, stava per esaurirsi come tanti altri siglati prima. Sembrava nuovamente vicino l’incubo della guerra civile che in meno di sette anni ha fatto circa 350mila morti, causato lo sfollamento interno ed esterno di quasi 4 milioni di persone e ridotto 7 milioni di cittadini allo stremo in emergenza alimentare. La nazione più giovane al mondo, staccatasi dal Sudan solo nel 2011, è tra quelle che con maggiore frequenza ricorrono all’utilizzo di bambini soldato, circa 20 mila, e non riesce a sfruttare le enormi potenzialità di un’area ricca di risorse.
Anche il clamoroso gesto di Papa Francesco, che nell’aprile 2019 aveva invitato i leader politici e religiosi in Vaticano, baciando loro i piedi e a implorandoli di prendere un solenne impegno per la pace, sembrava un lontano ricordo. Poi è giunta inaspettata la sorpresa più grande. “Il compromesso a cui siamo giunti oggi – ha dichiarato il presidente Salva Kiir il 15 febbraio, quando ormai risultava impossibile giungere a un accordo sulla nuova composizione dello Stato che accontentasse governo e opposizioni – è una dolorosa decisione, forse la più difficile della mia vita, ma allo stesso tempo rappresenta un passaggio necessario se vogliamo arrivare alla pace”. Con queste parole, Kiir annunciava di aver accolto le richieste di ridurre a 10 (da 32) gli Stati del Sud Sudan e metteva fine alle speculazioni riguardo l’imminente rottura delle trattative per la formazione del governo di unità nazionale (come previsto dal Revitalized Agreement on the Resolution of the Conflict siglato a settembre) e il ritorno immediato alla guerra. “Lo scorso aprile – ha poi aggiunto - siamo stati in Vaticano alla presenza dei 3 leader religiosi mondiali (il Papa, L’Arcivescovo di Canterbury e primate della Chiesa Anglicana e il Moderatore della Chiesa Presbiteriana di Scozia, ndr). Abbiamo pregato e il Papa ci ha baciato i piedi. Non possiamo dimenticare questo. E' stata una benedizione per il nostro Paese non possiamo disattenderla tornando a farci la guerra”.
Si presenta ora la sfida della formazione del governo di unità nazionale, mentre il leader dell’opposizione armata Riek Machar - ex delfino di Kiir - ha fatto trapelare la sua opposizione alla creazione di tre nuove aree amministrative (il nuovo accordo prevede oltre alla riduzione degli Stati, l’istituzione delle tre amministrazioni di Ruweng, Pibor e Abye, ndr). Ma elementi che fanno ben sperare verso la pace sono chiari: l’esplicita dichiarazione del Presidente; il ritorno a Juba, il 16 febbraio, dello stesso Machar, dall’esilio di Khartoum; l’unità mostrata da tutti gli attori internazionali coinvolti (Unione Africana, Unione Europea, Autorità intergovernativa per lo sviluppo, Stati Uniti) nel vincolare gli aiuti alla tenuta della pace.
Il Paese, quindi, tira un enorme sospiro di sollievo ma attende notizie sulla formazione del governo e dunque sul futuro del paese. Ne parla all’Agenzia Fides Suor Elena Balatti, comboniana da 20 anni residente in Sud Sudan, giornalista e attenta osservatrice della situazione. (...)