RELIGIOSI IN PRIMA LINEA PER COMBATTERE QUESTA NUOVA FORMA DI POVERTA’
Il Santo Padre Giovanni Paolo II ha lanciato frequenti appelli sollecitando a prendere coscienza circa le nuove sfide e i nuovi campi d’azione che la società odierna pone all’azione evangelizzatrice della Chiesa. Ha denunciato in diverse occasioni la tratta di donne e di bambini per lo sfruttamento sessuale, qualificandola come uno dei problemi particolarmente ripugnanti della nostra società per l'intrinseca violazione della dignità e dei diritti della persona umana ed ha incoraggiato ad impegnarsi con sollecitudine in questo campo. "Sono tanti, nel nostro tempo, i bisogni che interpellano la sensibilità cristiana.... Il cristiano, che si affaccia su questo scenario, deve imparare a fare il suo atto di fede in Cristo decifrandone l'appello che egli manda da questo mondo della povertà. Si tratta di continuare una tradizione di carità che ha avuto già nei due passati millenni tantissime espressioni, ma che oggi forse richiede ancora maggiore inventiva. È l'ora di una nuova « fantasia della carità », che si dispieghi non tanto e non solo nell'efficacia dei soccorsi prestati, ma nella capacità di farsi vicini, solidali con chi soffre” (NMI, n. 50). “E come poi tenerci in disparte di fronte al vilipendio dei diritti umani fondamentali di tante persone?”(Ib. n. 51).
Quindi la Chiesa non rimane estranea a questo grave problema che costituisce una delle nuove situazioni di povertà. È dunque una provocazione per tutta la società, ma soprattutto per i religiosi e religiose chiamati per il loro carisma e vocazione a difendere la dignità ed i diritti dei poveri, delle persone più vulnerabili ed indifese cono sono le donne e bambini in pericolo.
In un Congresso di Vescovi e Direttori nazionali addetti della pastorale degli immigranti delle Conferenze Episcopali Europee, celebrato in Turchia dal 9 al 13 ottobre, sul “Volto femminile dell’Immigrazione”, è stato affermato che questo nuovo problema del traffico di donne per la prostituzione pone nuove sfide e richiede una accurata attenzione perché fa parte della missione della Chiesa difendere la dignità ed i diritti delle persone. In modo particolare costituisce un nuovo campo di azione per le religiose, le quali hanno un'importante ruolo di mediazione nel contesto immigrazione femminile.
Nell'Istruzione "Ripartire da Cristo: un rinnovato impegno della vita consacrata nel terzo millennio" (maggio 2002), la Chiesa lancia alla vita consacrata alcune provocazioni al riguardo: "Nuovi volti si mostrano oggi, nei quali riconoscere, amare e servire il volto di Cristo lì dove si è fatto presente: sono le nuove povertà materiali, morali e spirituali che la società contemporanea produce…La vocazione delle persone consacrate continua ad essere quella di Gesù e, come lui, assumono su di sé il dolore e il peccato del mondo consumandoli nell' amore (n.27).
“Persino alcuni carismi che sembravano rispondere a tempi ormai trapassati, acquistano rinnovato vigore in questo mondo che conosce la tratta delle donne o il traffico dei bambini schiavi, mentre l'infanzia, sovente vittima di abusi, corre i pericoli dell'abbandono sulla strada e dell'arruolamento negli eserciti” (n.36) .
"Come si potrebbe, infine, rimanere passivi di fronte al vilipendio dei diritti umani fondamentali?” (n.45)
Spetta dunque alla vita consacrata farsi carico di queste nuove sfide che pone il mondo odierno, nel quale vengono vilipesi i diritti umani fondamentali e davanti ai quali non possono rimanere indifferenti. Inoltre il personale religioso in molti casi rappresenta l'unico baluardo della società civile che è in condizioni di dare continuità alle iniziative sociali. In realtà le Congregazioni religiose, insieme alle Càritas diocesane e gruppi di volontari sono stati i primi a leggere queste nuove sfide ed offrire il loro aiuto alle donne a cui hanno derubato la loro dignità.
Il 13 maggio 2001 le partecipante alla Riunione Plenaria dell'UISG (Unione Internazionale Superiore Generali), 800 donne alla guida di un milione di membri di Congregazioni Religiose sparse in tutto il mondo, ratificarono una dichiarazione nella quale, tra le altre cose, manifestavano la loro determinazione nel denunciare insistentemente ed a tutti i livelli l'abuso e lo sfruttamento sessuale di donne e bambini prestando un'attenzione particolare al traffico di donne che si è trasformato in un commercio redditizio multinazionale.
Alcune delle strategie proposte dalle Congregazioni religiose e dai loro collaboratori sono:
1. Condannare seriamente soprattutto il mercato del sesso, i trafficanti, i clienti e tutti quelli che ottengono un qualunque vantaggio da questa schiavitù.
2. Indagine e raccolta di dati per sensibilizzare ed informare i cittadini e fedeli di questo problema.
3. Una maggiore presa di coscienza e impegno che può abbracciare diversi aspetti: Organizzare campagne di sensibilizzazione; usare i mezzi di comunicazione per offrire una copertura nazionale ed internazionale a questo problema; incoraggiare le comunità cristiane e famiglie ad accogliere le vittime della strada per un periodo di recupero e di appoggio; istituire, soprattutto nelle parrocchie, progetti in difesa della vita e di appoggio a donne incinte.
4. Prevenzione: affrontare la causa della povertà che sta alla base di questo problema, migliorare le opportunità di accesso all'educazione e l'impiego; educare giovani ed adulti ad un avvicinamento corretto della sessualità; formare negli autentici valori umani e cristiani, fondati nel rispetto di ogni persona e nella dignità della donna.
5. Protezione e Reinserimento: aiuto fisico, economico, legale psicologica e spirituale per le donne che soffrono le conseguenze; offrire i mezzi necessari affinché possano imparare un mestiere ed aiutarli a trovare mezzi alternativi di sussistenza; programmi di riabilitazione e reinserimento nella società; aiutare le famiglie delle vittime.
6. Collaborazione: creare reti di collaborazione tra Congregazioni religiose, per lavorare e studiare il problema; organizzare queste stesse reti con ONG ed altri gruppi e persone a livello nazionale ed internazionale; lavorare in collaborazione con altre Chiese e religioni.
7. Indire in tutte le comunità religiose una campagna di preghiera e sostegno alle vittime e a tutti quelli che lavorano in questo delicato ministero di recupero perché "se il Signore non costruisce la casa invano si affaticano i muratori"
INTERVISTA A SUOR EUGENIA BONETTI, RESPONSABILE DEL SETTORE “TRATTA” PRESSO L’USMI
Suor Eugenia Bonetti, delle Missionarie della Consolata, ha lavorato per 24 anni in Kenya (Africa). Dal 1993 opera nel settore della tratta e dall'anno 2000 è responsabile del settore specifico della "tratta di donne e minorenni per lo sfruttamento sessuale" presso l'USMI (Unione Superiore Maggiori Italiane). La conoscenza della lingua e della cultura africana le ha permesso un maggiore avvicinamento e contatto con le donne africane così numerose in Italia. L’Agenzia Fides le ha rivolto alcune domande.
Il problema del traffico e lo sfruttamento della donna costituisce attualmente un vero dramma. Quale sfida pone alla Vita religiosa e che risposta è chiamata a dare soprattutto la donna consacrata?
È certamente un problema che provoca la vita religiosa ed esige risposte adeguate ed urgenti. Provoca in primo luogo la Vita consacrata femminile, perché come donne e come religiose, esse sentono il dovere di difendere le tante donne comprate come semplici oggetti e lottare contro la mentalità edonista che considera il corpo della donna come semplice oggetto di piacere. Ma è anche una sfida per la vita consacrata maschile che non può rimanere al margine, è sollecitata ad assumere il suo ruolo soprattutto nei confronti del cliente, del problema della pedofilia, del turismo sessuale e della prostituzione maschile.
Gli istituti missionari ed internazionali dovrebbero trovarsi ugualmente in prima linea nella lotta contro questo traffico di donne che provengono dai Paesi dove i loro membri lavorano da anni nella diffusione della Buona Novella, nella promozione della giustizia e dei diritti fondamentali della persona. Questi istituti dovrebbero realizzare un lavoro di informazione, prevenzione ed anche di accoglienza e reintegrazione delle vittime che sono espulse e rimpatriate. E’ urgente che le Congregazioni dei Paesi di provenienza siano pienamente coinvolte nella lotta per sradicare questo male, perché queste donne, di ritorno al loro paese di origine, se non trovano nessun aiuto, ricadono facilmente nelle reti della tratta di donne e tutto il lavoro fatto in precedenza per aiutarle resta vanificato.
Neanche la vita di clausura rimane al margine di questo problema. Anzi, in realtà, sono già vari i monasteri che hanno collaborato con noi con diverse iniziative. Le persone che lavorano in questo campo devono sempre ricordare che sono chiamate ad offrire alle vittime della tratta, un ministero di guarigione profonda e di recupero della propria stima e dignità.
Come ha iniziato questo lavoro? Che cosa l’ha spinta ad impegnarsi in questo campo?
Tutto cominciò in un pomeriggio piovoso del 2 novembre 1993. Mentre mi apprestavo a lasciare il Centro Caritas al servizio degli immigranti a Torino, dove lavoravo, per andare a Messa. Arrivò in quel momento una donna nigeriana chiedendo aiuto. Dal suo comportamento e dai suoi vestiti intuii che era una delle tante donne che vendono il loro corpo sulle strade. Mi sentii a disagio. La donna era malata ed aveva bisogno di un intervento chirurgico, ma non avendo documenti non poteva essere ricoverata in un ospedale pubblico e perciò la indirizzarono al nostro centro.
Cominciò a raccontarmi la sua storia: era madre di tre bambini che aveva lasciato in Nigeria per venire in Italia alla ricerca di un lavoro per aiutare la sua famiglia. Ma si trovò sulla strada vittima della tratta. Improvvisamente incominciò a piangere: "Sister, please, help io, help io!... Sorella, per favore, aiutami”. Io ero preoccupata per la Messa e gli dissi di tornare il giorno dopo, ma lei volle accompagnarmi in chiesa. Si sedette nell'ultimo banco e cominciò a singhiozzare. Io pensavo alla parabola del Fariseo e del pubblicano (Lc 18,9-14).
In quelle circostanze mi chiedevo cosa mi stava chiedendo il Signore ora che mi trovavo in Italia dopo 24 anni di lavoro in Kenya. Quella notte non potei dormire pensando alla donna. Dentro di me risuonava una frase: "Eugenia dove sta tua sorella?”. Questo fatto stava interpellando profondamente tutta la mia vita e la mia vocazione. L'incontro con questa donna mi aiutò ad entrare ed a comprendere il "mondo" della notte ed il terribile fenomeno del "traffico di esseri umani". Come donna, come religiosa e come missionaria, sentii che la missione mi si spalancava verso una nuova e grande sfida: lottare per restituire a queste vittime la loro libertà e dignità.
Quali sono attualmente le cifre di questo problema in Italia?
Questo fenomeno ha cominciato ad acquistare proporzioni enormi a partire dagli anni ‘90. Attualmente in Italia ci sono tra 50 e 70.000 donne che vivono e lavorano sulle strade delle nostre città, provenienti da Africa (Nigeria), America Latina ed Europa Orientale. Di queste, circa il 40 % sono minorenni, tra 14 e 18 anni di età. Poichè purtroppo si trovano in Italia in forma illegale, e quindi essendo doppiamente clandestine, è molto difficile avere cifre esatte. Ad oggi, in Italia ci sono 220 religiose che lavorano in questo campo.
In cosa consiste concretamente il suo lavoro?
Io lavoro nell'USMI nella sezione "tratta" e, pertanto, la mia prima missione è coordinare il lavoro delle religiose che si sono aperte a questo nuovo ministero. Questo servizio richiede contatti costanti con tutte le comunità di accoglienza dove lavorano le religiose per trasmettere informazioni, stimolare nuove aperture, appoggiare le comunità che nascono, preparare incontri formativi... ma richiede anche di mantenere reti di collaborazione con tutte le forze, private e pubbliche, per comprendere meglio come nasce il fenomeno e dunque delineare le strategie adeguate per contrastarlo.
In che modo entrate in contatto con queste donne?
Lo facciamo in diverse forme. In primo luogo tramite le Unità di strada come primo mezzo offrendo un contatto umano, personale. Tutti i mercoledì andiamo direttamente sulla strada con una squadra volontaria della parrocchia di S. Frumenzio di Roma alla Salaria, per avvicinare le donne, offrire soluzioni alternative allo sfruttamento, ascoltare le loro storie, condividere un momento di preghiera. Abbiamo anche Centri di ascolto in collaborazione con i Centri Caritas diocesani, per ascoltare e cercare soluzioni, e Comunità di accoglienza gestite da religiose per alloggiare da 6 a 8 persone. La permanenza in questi centri varia secondo le necessità ed il recupero della ragazza verso una piena autonomia, ma non è mai meno di 6-12 mesi. Ci sono inoltre Centri di preparazione professionale, dove le donne frequentano i corsi per riuscire a guadagnare un salario onesto e poter aiutare così le loro famiglie ed essere indipendenti.
Da poco tempo abbiamo incominciato a realizzare Visite settimanali al Centro di permanenza temporanea di Ponte Galeria per offrire assistenza religiosa a numerose donne detenute in attesa della loro espulsione.
Che cosa la impressiona di più nel suo rapporto con loro?
Quello che più mi impressiona è la forza e la tenacia delle donne africane. Quando rimangono incinte respingono l'aborto con tutte le loro forze e decidono di avere il figlio, pur sapendo che troveranno molte difficoltà. Ho conosciuto due donne che avevano sofferto enormi torture e maltrattamenti brutali da parte delle loro madam per indurle all'aborto, ma fuggirono e chiesero aiuto. A causa dei maltrattamenti ebbero figli prematuri ma ora, grazie a Dio, stanno bene.
Le nigeriane hanno un profondo senso di Dio. La Parola di Dio è la loro forza. Il regalo che più insistentemente chiedono per strada è un Bibbia in inglese, per poter pregare dopo il nostro incontro. Prima di lasciarle faccio anche il segno della croce nelle loro fronti e tutte aspettano questo segno di redenzione e salvezza.
In genere le donne africane e quelle dell’Est europeo dimostrano un grande attaccamento alla loro tradizione spirituale e religiosa e davanti alla presenza della religiosa tra esse trovano una forza interna che le aiuta ad affrontare i traumi ed a curare le profonde ferite che portano dentro di loro. Non appena vedono la religiosa che per strada si avvicina a loro, la chiamano "mamma" e subito mostrano fiducia ed apertura. E se qualcuna di esse non può avvicinarsi è perché è sorvegliata dai suoi padroni, tuttavia fa capire con un sguardo espressivo il suo desiderio di avvicinarsi.
Quali sono le principali difficoltà che si incontrano?
È certamente una realtà nella quale non mancano tanti ostacoli come la mancanza di una idonea formazione professionale. Molte religiose si dicono carenti di una adeguata preparazione spirituale e professionale, e sollecitano perciò incontri formativi in sintonia con la loro identità di donne consacrate. Accogliendo queste richieste l'USMI sta organizzando alcuni corsi formativi. Dal 26 gennaio al 6 febbraio 2004, presso la sede centrale dell'USMI a Roma, abbiamo realizzato un Corso, in collaborazione con l'UISG (Unione Internazionale delle Superiore Generali), l'OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) e l'Ambasciata USA presso la Santa Sede. Al corso hanno partecipato 27 religiose. Altri corsi similari si sono realizzati quest’anno in Nigeria, dal 26 marzo al 2 aprile, con la partecipazione di 23 religiose, in Albania, dal 13 al 20 aprile, ed in Romania, dal 16 al 23 maggio.
Un altro problema è ottenere i documenti dalle ambasciate. Ogni volta ci arrivano dai Centri di accoglienza più richieste di documenti da sollecitare presso le diverse ambasciate. Ma siccome in genere sono pratiche che richiedono molto tempo è davvero impossibile offrire questo servizio. Gli unici interventi possibili sono quelli che realizziamo presso l'ambasciata della Nigeria che non richiedono molto tempo grazie alle buone relazioni e alla collaborazione che si è creata.
Ottenere una vera reintegrazione della persona dal punto di vista sociale, lavorativo, culturale e spirituale, è ancora un passo difficile dopo il primo aiuto di emergenza. Soprattutto l'inserimento lavorativo è particolarmente difficile per queste donne che hanno scarsa conoscenza della lingua italiana, senza un'adeguata preparazione professionale, con l'enorme competitività che esiste ed i pregiudizi che portano con sé. Questa fase assorbe molto tempo ed energie e si ottiene non sempre i risultati desiderati.
Ci sono anche i problemi di salute fisica e mentale delle vittime: sono aumentate le richieste per ragazze siero-positive o con problemi mentali, ciò richiede la costruzione di comunità preparate nel modo migliore, in modo tale che si possa far fronte anche a queste esigenze.
TESTIMONIANZE DELL’IMPEGNO DEI RELIGIOSI NEL MONDO
In Tailandia un gesuita spagnolo riscatta migliaia di bambine della prostituzione.
Padre Alfonso di Juan, missionario gesuita spagnolo, è da quaranta anni in Tailandia per lottare contro i soprusi fatti ai danni dei deboli. Da alcuni anni ha incentrato la sua battaglia sull'ignominiosa piaga della prostituzione infantile. Soltanto in Tailandia ci sono più di 50.000 bambine, minori di 15 anni obbligate a prostituirsi.
Come afferma in un articolo pubblicato nella rivista “Mondo cristiano”, questo è un commercio milionario, davanti al quale il Governo chiude gli occhi perché ritiene che favorisca il turismo. In questo modo si è creata una "industria" del sesso ben organizzata con agenti che percorrono i paesi poveri comprando bambine. Quando queste bambine arrivano a Bangkok, si sentono completamente smarrite: non conoscono la lingua perché parlano soltanto il loro dialetto; le maltrattano, arrivano persino a mutilarle perché non possano fuggire. E finiscono tutte con l'AIDS.
P. Alfonso di Juan sta portando avanti un programma chiamato "Il grido della mia supplica". "Quando riusciamo a trattenere queste bambine nella loro terra, dando loro un'educazione utile che serva loro per imparare un mestiere, una professione e la lingua, le abbiamo già salvate della prostituzione perché allora possono difendersi. Il migliore aiuto che può essere offerto loro è l’educazione. E per garantire loro questo aiuto sono necessarie borse di studio, per evitare che le bambine di 12 e 13 anni ed a volte meno, cadano in quell'inferno”.
In Italia una religiosa nigeriana aiuta le donne del suo paese rese schiave
Suor Margaret Mary Okereke appartiene alle religiose del Sacro Cuore di Gesù, è di origine nigeriana, lavora a Castelvolturno dal 2001 per aiutare le donne del suo stesso paese obbligate alla prostituzione, come informa un articolo della rivista "Gesù" di settembre 2003. Sono migliaia le donne nigeriane che si trovano a Castelvolturno immesse nella prostituzione, schiave di riti vudù delle madame. Ma da quando è arrivata Suor Margaret le cose sono cambiate enormemente. La religiosa le aiuta con la preghiera a superare la paura, facendo imparare loro un mestiere, e così recuperano la speranza. Per entrare in contatto con loro, questa religiosa, insieme ad altre della sua comunità, esce sulla strada verso le 10 di sera fino alle due del mattino e si avvicina alle ragazze nigeriane. "Parliamo con loro, portiamo la Parola di Dio e le invitiamo a pregare, a cambiare la loro esistenza." Il reinserimento è la fase più difficile di programma spiega Suor Margaret. "Dopo sei mesi nel Centro, la ragazza riceve un permesso di soggiorno. Ma senza lavoro non ci sono prospettive di vita". In questi anni sono stati accolte 32 ragazze nel Centro e 27 hanno trovato una soluzione lavorativa.
INTERVISTA A SUOR IVAROSA, DEL “CENTRO DI ACCOGLIENZA PER DONNE IN DIFFICOLTÀ ANCHE CON BAMBINI” DI ROMA
"Le persone che arrivano al Centro hanno sofferto molto e la loro personalità con frequenza è stata fatta a pezzi”, afferma Suor Ivarosa, delle Religiose di Maria Consolatrice, una delle molte religiose che lavora in questo campo. Ecco l’intervista rilasciata all'Agenzia Fides.
Qual è il carisma della sua Congregazione e quale tipo di lavoro realizza?
Il principio ispiratore della Congregazione, nei molteplici servizi apostolici in cui operano le suore, è quello di “impegnarsi con ogni studio per il bene, la salvezza e la perfezione del prossimo attendendo alle opere di misericordia sia spirituali che corporali”(Cost. n.1), cioè impegnarsi in una vita di solidarietà, condivisione e consolazione unitamente allo studio e all’attività di promozione umana, sociale e religiosa, attraverso uno stile operativo che predilige la semplicità e pone al centro di tutti i possibili interventi la persona nella sua dignità e nei suoi diritti.
L’istituto, sito in via Torfanini, 27 a Roma zona Labaro, è sorto nel 1960 come risposta ad un bisogno sociale del tempo, cioè come centro di accoglienza per le collaboratrici familiari le quali, provenendo da diverse regioni d’Italia, trovavano qui, nei giorni di libertà, nelle ferie e festività, calore familiare, amicizia, difesa dei propri diritti, possibilità di migliorare la propria cultura e condizione.
Oggi la casa si apre a nuovi “bisogni” e si pone come “Centro di Accoglienza per Donne in difficoltà anche con bambini” a causa di prostituzione, sfruttamento e violenza familiare o extra, senza distinzione di provenienza, religione o razza, in collaborazione con gli Organi Competenti. Non abbiamo altre Comunità che si sono aperte in modo specifico alle vittime della tratta anche se, in caso di emergenza, non esitano ad aprire le porte anche altre comunità. Sono impegnata in questo apostolato da tre anni, ma anche prima frequentavo e cercavo di portare il mio contributo al Centro, nei tempi liberi da altri servizi.
Quale aiuto si può offrire a queste donne così ferite nel profondo della loro dignità?
Le persone che arrivano al Centro sono molto provate e la loro personalità molto spesso risulta frantumata da un vissuto che le disorienta e le porta a perdere la propria dignità e la capacità di rispettare le più elementari norme della convivenza.
Ci proponiamo di accompagnare ogni giovane donna a ritrovare se stessa, la propria dignità e la propria capacità di vivere e di affermarsi; riallacciare relazioni corrette e costruttive col resto della società; integrarsi nel mondo della famiglia e del lavoro; riacquistare il proprio “posto” nella società con responsabilità e consapevolezza; regolarizzare la loro situazione individuando soluzioni abitative in comunità o famiglie ed eventualmente rientrare nel Paese d’origine.
Quale 'assistenza concreta offre il suo Centro d'accoglienza a queste ragazze?
Offriamo ospitalità alle donne (e ai loro figli) per un breve periodo, di solito si cerca di non superare i 6 mesi. Poi si verifica la situazione sanitaria, la volontà di uscire dalla situazione problematica (prostituzione, disagio familiare o sociale ecc.); si stabiliscono i percorsi necessari per la possibile soluzione del problema. Quindi si attiva con loro la ricerca delle soluzioni per rendersi autonome economicamente: lavoro, studio, abitazione, eventuale rimpatrio, ecc
La donna vive con le altre, come in una famiglia, impara la discrezione nel rispetto della propria e dell’altrui riservatezza. Se vuole apprende la condivisione, la solidarietà e impara le regole di una convivenza corretta. Lo stile di semplicità favorisce lo scambio di idee, un sereno rapportarsi con le altre ospiti e con le operatrici, stempera il disagio dei drammi vissuti e fa nascere la speranza di un futuro migliore.
A volte aspettano un figlio e vivono male la maternità, forse non voluta, come un’esperienza di solitudine, di abbandono, di violenza con l’incapacità di provvedere a se stesse e al loro figlio.
La ricerca di soluzioni è riservata per la maggior parte agli Organi competenti: Servizi sociali, Questura, Tribunale, ecc. Offriamo loro una vicinanza discreta che può aprirsi al dialogo, lo stimolo ad avvalersi di quanto offre il servizio sociale, l’accompagnamento nell’iter burocratico e l’accesso ai servizi specialistici (psicologo, psichiatra, avvocato..)
Che età hanno le ragazze che arrivano e da dove procedono nella maggioranza dei casi?
Il margine di età oscilla tra 15 e 35 anni. La nazionalità continua a variare molto col tempo: all’inizio erano soprattutto albanesi, dopo nigeriane ed ora sono nella sua maggioranza dei paesi dell'Est europeo: Romania, Moldavia, Russia.. Continuano ad aumentare anche le giovani dell'America Latina.
Dopo il periodo di soggiorno presso di voi, le ragazze riescono realmente a reinserirsi nella società o tornano a cadere nello stesso giro?
Con l’aiuto dei volontari che fanno da tramite con il territorio, le giovani riescono, adattandosi a ogni tipo di lavoro, a trovare qualche buona sistemazione presso famiglie o ad affittare locali dove iniziano un periodo di autosufficienza. Tutto dipende dal loro impegno e da come si adattano alla nostra cultura. Poche, attirate da guadagni facili, ritornano sulla strada richiamate da amiche o amici.
Le giovani hanno ricevuto qualche minaccia?
Le giovani hanno denunciato i loro sfruttatori pertanto sono a rischio e devono collaborare per un periodo con la giustizia. Sono protette. Infatti nei primi tempi escono solo accompagnate, ma le minacce sono rivolte soprattutto ai loro familiari e ciò procura sensi di colpa e tanta angoscia.
ORGANIZZAZIONI CHE LAVORANO CONTRO IL TRAFFICO DI DONNE
L'USMI (Unione Superiore Maggiori d'Italia) riunisce 627 Congregazioni religiose femminili che lavorano in diversi campi e tra essi possiede un settore speciale dedicato alle donne immigrate vittime del traffico umano - sezione di mobilità etnica - Settore "Traffico" - che funziona dal 1995. Attualmente a capo di questo dipartimento si trova Suor Eugenia Bonetti, IMC.
Suor Eugenia afferma che sul problema della "tratta" delle donne, soprattutto africane, sta crescendo l’impegno a livello europeo e a livello delle religiose, così come il coinvolgimento di organismi di diversi paesi in progetti riguardanti la lotta contro la tratta.
Attualmente ci sono 220 religiose in Italia dedite a questo lavoro, che operano tramite 108 organizzazioni. La presenza della vita religiosa nel settore si concretizza in maniera variegata: nelle Unità che lavorano direttamente sulla strada per realizzare il primo contatto e nei Centri di ascolto, che si fanno carico dei problemi delle donne e nella sensibilizzazione delle comunità religiose.
Le principali sfide - secondo quanto asserisce Suor Eugenia - che si presentano alla vita religiosa nell'aiuto che prestano alle vittime, sono quattro: la preparazione di sussidi da distribuire nelle scuole e comunità; le visite settimanali al centro di detenzione temporanea che si trova vicino a Roma per potere conoscere direttamente la realtà delle donne vittime della tratta; la partecipazione dei monasteri e delle religiose di clausura ed infine, i contatti con le Conferenze delle religiose della Polonia e di altri paesi europei che si stanno realizzando attualmente.
Per quanto riguarda i modi di avvicinare queste donne, le religiose mettono in primo piano il rapporto umano, l'importanza della persona, facendo capire a queste persone che, nel centro della relazione, non sta il commercio, bensì l'incontro tra persone.
Dall'USMI si lavora in contatto e collaborazione con diverse entità ed istituzioni per rafforzare l'azione di tutte le forze che lavorano in questo campo. In modo particolare questa collaborazione si realizza tramite:
Coordinamento Nazionale "Tratta". Il Coordinamento fu istituito nel 1995 raggruppando diverse organizzazioni, alcune di esse di carattere ecclesiale ed altre no (Caritas, Immigrati, USMI, UISG, CISM e Gruppo Abele), sensibili alla problematica dello sfruttamento della donna, per unire le forze di personale, risorse e di visione del problema, al fine di rispondere meglio e in modo più efficace a questa schiavitù.
Ambasciate. Una delle esigenze per poter realizzare pienamente il reinserimento sociale-lavorativo di queste donne è la documentazione. Nessuna di esse normalmente possiede passaporto valido per cui è importante ottenere un passaporto valido dalle ambasciate e ridare a queste persone un nome e una identità. L’USMI ha lavorato molto soprattutto con l'Ambasciata Nigeriana che ha rilasciato circa 2000 passaporti per ragazze che si trovano nei nostri progetti di reinserimento sociale dal 2000, quando è iniziata la collaborazione.
Mezzi di comunicazione. C'è stata anche collaborazione con questi mezzi per offrire una corretta informazione sul problema. Ci sono stati interventi a Radio Vaticana, nel sito "Vidimus Dominus", su diverse riviste missionarie ed alcuni giornali.
Organizzazione Internazionale per le Migrazione (OIM). Si sono realizzati vari rimpatri volontari di alcune vittime che hanno chiesto di ritornare a casa. Ad altre è stato offerto l’aiuto psicologico e di mediazione per far maturare in esse la decisione di ritornare a casa, soprattutto nei casi particolari in cui sono subentrati problemi di salute o di confusione mentale.
La Conferenza delle Religiose della Nigeria (NCWR). A maggio del 2000 Suor Patrizia Ebegbulem SSL, Presidente della NCWR insieme ad altre due religiose, vennero in Italia per vedere con i loro occhi quello che stava succedendo a migliaia di loro connazionali. La realtà che videro provocò una tale emozione in loro che appena tornarono in Nigeria immediatamente misero in azione diverse strategie di intervento:
- Rendere consapevoli di questo problema tutti i membri della Conferenza Nigeriana delle Religiose per coinvolgerle in questo progetto.
- Informare la Conferenza Episcopale sulla situazione di sfruttamento e schiavitù di molte donne portate in Europa per “l'industria del sesso”. I Vescovi risposero con una Lettera Pastorale intitolata "Ricostruire la Dignità della Donna Nigeriana"
- Collaborare con le autorità governative per contrastare questo traffico di esseri umani e punire severamente i trafficanti; accogliere le ragazze che hanno vissuto questa esperienza e sono state rimpatriate perché non avevano documentazione. Sfortunatamente il 10-15 % di queste donne ritorna al suo paese con l’HIV.
- Iniziare a Benin City, da dove proviene il 90 % delle vittime, un "Comitato di Appoggio alla dignità della Donna" diretto da religiosi e laici col fine di trasmettere e scambiare informazione con l'USMI ed altre ONG e poter controllare il fenomeno, offrire informazioni per prevenire l'esodo di tanti giovani, proteggere le famiglie delle vittime in Nigeria contro eventuali rappresaglie da parte degli sfruttatori ed accompagnare queste ragazze verso una reintegrazione sociale.
Uno dei principali progetti dell’USMI è di lavorare anche in collaborazione con altre Conferenze di religiose, specialmente dell’Est europeo per realizzare un'effettiva collaborazione in questo settore che è ancora inesistente. Le religiose di questi paesi potrebbero svolgere un ruolo molto prezioso nella sensibilizzazione circa il problema, impegnandosi anche in un lavoro educativo di prevenzione, aprendo centri di accoglienza per le ragazze che ritornano al loro paese di origine ed appoggiando le ragazze nel loro cammino di reinserimento.
Attualmente si sono stabiliti già i primi contatti con la Conferenza delle Religiose della Polonia. La Presidente della Conferenza, Madre Jolanda Olech, Superiora Generale delle Orsoline del Cuore di Gesù Agonizzante, desiderosa di conoscere meglio il problema, per poi spronare le religiose della Polonia ad accogliere questa nuova sfida, è venuta personalmente in Italia. A gennaio di quest’anno, si è tenuto un incontro in Italia con il Direttore della Caritas e la religiosa coordinatrice del nuovo progetto per un scambio di esperienze e di aiuti.
Dal mese di marzo 2003, dopo un lungo periodo di trattative per ottenere i permessi necessari dalle autorità competenti, alcune religiose di lingua inglese hanno cominciato a realizzare visite settimanali al Centro di permanenza temporanea di Ponte Galeria per offrire assistenza religiosa a numerose donne detenute in attesa della loro espulsione. È un'iniziativa che è stata appoggiata dal gruppo di lavoro Giustizia e Pace delle Congregazioni Religiose Internazionali femminili e maschili (UISG/USG) che lavorano in questo settore. Le religiose lavorano soprattutto con le donne africane. È offerto loro un momento di preghiera con canti, scambi ma soprattutto di ascolto della Parola di Dio che dà sempre luce, forza e consolazione. Sono donne che hanno bisogno di forza per affrontare il futuro incerto che le aspetta perché, una volta di ritorno al loro paese, si trovano senza sicurezza, senza mezzi di appoggio, senza progetti di reintegrazione ed inoltre sono disprezzate e rifiutate dalle loro stesse famiglie e della società. Si cerca anche di stabilire relazioni con esse per ascoltare i loro problemi e tentare di cercare soluzioni.
"Una delle maggiori difficoltà è il rapido cambio di donne, perché le detenute non possono stare più di 60 giorni nel centro", afferma Suor Eugenia Bonetti. "Perciò, è difficile stabilire relazioni, comprendere situazioni ed offrire soluzioni adeguate. Ultimamente per petizione di alcuni gruppi linguistici abbiamo cominciato anche ad offrire incontri di preghiera al gruppo latinoamericano di lingua spagnola."
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L’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII è un ente ecclesiale con personalità giuridica riconosciuta dallo Stato italiano, fondata dal sacerdote Don Oreste Benzi, a Rimini. Da più di trenta anni opera nel vasto mondo dell’emarginazione in Italia ed in altri Paesi del mondo: Albania, Bangladesh, Bolivia, Brasile, Cile, Venezuela, Croazia, India, Kenya, Kosovo, Russia, Sierra Leone, Sri Lanka, Cina, Tanzania, Zambia. Dal 7 ottobre 1998 l'Associazione è stata riconosciuta dal Pontificio Consiglio per i Laici come Associazione internazionale privata, di diritto pontificio. I membri della Comunità possono vivere in distinti stati di vita: celibi; sposati; consacrati con voto di povertà, castità ed obbedienza; sposati con voto di povertà, castità coniugale ed obbedienza; sacerdoti.
Sospinti dallo Spirito a seguire Gesù povero e servo, i membri della Comunità Papa Giovanni XXIII, per vocazione specifica, s’impegnano a condividere direttamente la vita degli ultimi mettendo la loro vita al servizio di essi, facendosi carico della loro situazione. L'amore ai fratelli poveri coi quali si condivide la vita deve spingersi fino a rimuovere le cause che provocano i bisogni e quindi porta la Comunità a compromettersi seriamente nell'ambito sociale, con un'azione non violenta, per un mondo più giusto, trasformandosi in voce di quelli che non hanno voce.
Tra le molte attività che realizzano hanno un ampio settore dedicato alla “tratta” nazionale e internazionale, al fine di liberare e recuperare queste donne. In Italia conducono una dura battaglia contro la prostituzione, soprattutto dall’inizio degli anni Novanta, quando aumentò considerevolmente il fenomeno in Italia ed in tutta Europa. Lavorano con 15 squadre, formate da uomini e donne che vanno per le strade a contattare queste donne ed offrire loro un aiuto ed un numero di telefono in caso di necessità. La Comunità offre loro tutto l'aiuto necessario per uscire dalla situazione in cui si trovano, così come per il loro recupero ed inserimento nella società. "Andiamo con la coscienza di andare all'incontro di un fratello e con un messaggio di liberazione" afferma Gianpiero Cofano, responsabile internazionale della Comunità. La Comunità ha aiutato 4.500 donne ad uscire dalla prostituzione, conta su 250 strutture in Italia per servirli e ha 600 programmi di protezione.L'Associazione lavora anche fortemente per ottenere una legge che punisca il cliente, principale colpevole di questo traffico mondiale (come succede in Svizzera).
Tra i programmi che ha in atto ne segnaliamo i seguenti:
- creazione di reinserimento nei paesi di origine, con micro progetti d’integrazione delle ragazze nei loro paesi d’origine.
- Sensibilizzazione nei paesi dove le organizzazioni criminali reclutano alle loro vittime
- Proporre una legislazione di pronunciamento Europeo sulla Schiavitù.
- Canalizzare fondi europei, in progetti di sviluppo sociale per la donna, dando loro la dignità che spetta.
La Fondazione Speranza è nata in Olanda in risposta all'iniziativa di due donne che, agli inizi degli anni ‘90, si dedicarono ad offrire appoggio volontario alle donne di origine latinoamericana. Decisero di cercare un appoggio governativo e da altre istituzioni, così nel 1993 riuscirono a consolidare il loro lavoro attraverso la costituzione della Fondazione Speranza.
Tra le diverse aree di lavoro che offre si trovano: area di prevenzione, area di accoglienza, centro di documentazione e missione. L'organizzazione offre informazione e consulenza gratuita e riservata in Colombia attraverso il numero 9800-919032. In Spagna lavorano in associazione con la Comunità delle Religiose Adoratrici Schiave del Santissimo Sacramento e della Carità, AASC, sotto il nome di Progetto Speranza. L'Agenzia Fides ha contattato le religiose per una breve descrizione del progetto Speranza:
"Il Progetto Speranza è la risposta della Congregazione delle Religiose Adoratrici alla realtà crescente della tratta delle donne in Spagna. Sviluppiamo un programma di accoglienza integrale per donne vittime della tratta di esseri umani a fini di sfruttamento nella prostituzione, nel servizio domestico, ed in altri lavori in condizioni di schiavitù. Il nostro obiettivo è soprattutto combattere la tratta delle donne attraverso la protezione dei diritti umani delle vittime e della denuncia in questa forma attuale di schiavitù.
Le nostre azioni principali in questo campo sono: centri di accoglienza, dove offriamo un'accoglienza integrale alle donne vittime con alloggio protetto, copertura delle necessità di base ed assistenza psicologica, medica, giuridica e sociale; lavoro in rete con operatori pubblici e privati per dare una risposta effettiva al ritorno volontario delle donne ai loro paesi di origine o l'integrazione se preferiscono rimanere nel nostro paese; sensibilizzazione informando la società sull'esistenza e sulle condizioni di questa forma di schiavitù tanto estesa; analisi e studio dell'evoluzione costante della tratta di donne e scambio di esperienze con operatori sensibili alla “tratta."
Contatto: Aurelia Agredano. Progetto Rassicura.
Tl: 34.91.386.06.43 fax: 34.91.373.21.41 e-mail: p.esperanza@terra.es
Impagina web: http://www.fundacionesperanza.org.co
COANET, Christian organisations against Trafficking in Women, è una rete internazionale di organizzazioni contro il traffico di donne. La responsabile in Germania, Martina Liebsch, contattata da Fides spiega la finalità di questa rete: "Siamo una rete di organizzazioni cattoliche, protestanti ed ortodosse che lavora per contrastare questo problema. Uno degli obiettivi è di incoraggiare la cooperazione tra i paesi di origine, di transito e di destinazione. Un'altra funzione è di sensibilizzare le strutture connesse alla Chiesa circa questo problema. Infine vogliamo fare un lavoro in comune per la prevenzione e per assicurare la protezione delle vittime. Questa rete ha incominciato a lavorare nell'anno 2001 come progetto pilota con il coordinamento della Caritas della Germania. Da gennaio 2004 il coordinamento lo svolge Caritas Europa, che conta sulla rete della Caritas Europea, ed è membro di Caritas Internationalis, con una Coordinatrice nella Caritas Ucraina.”
Contatti: Responsabile in Ucraina: Natalia Bandera - natalia@Càritas-ukraine.org
Responsabile in Germania: Martina Liebsch - martina.liebsch@Càritas.dev
Impagina web: www.coatnet.org
SOLWODI (Solidarietà con le Donne in Difficoltà), fa parte del programma pastorale della Chiesa, fu fondata a Mombasa (Kenya) nel 1985 da Suor Legga Ackermann, MSOLA. I servizi offerti da SOLDOWI si situano nell'area dell'accompagnamento e dell'appoggio morale; della presa di coscienza e dell'educazione sul problema del traffico di donne per la prostituzione; i progetti per il reinserimento sociale delle vittime, con l’aiuto economico, la formazione professionale e programmi di creazione di lavoro.
Contatto: Propstei sta. 2, 56154 Boppard. Germania
Tel. + 49 6741 2232, fax: + 49 6741 2310
Werkgrep Religieuzen Tegen Vrouwenhandel, WRTV, o Fondazione Olandese di Religiose contro il Traffico di Donne. Fondata nel 1991 da Suor. Michel Keesen che prese l'iniziativa di creare una Rete nazionale olandese di Religiose contro il Traffico di Donne. L'obiettivo principale di questo gruppo è lavorare nella prevenzione di questa piaga, rendere consapevole la società ed offrire un rifugio sicuro alle vittime nei Paese Bassi. Hanno pubblicato opuscoli che sottolineano i rischi di cadere nelle reti dal traffico; questi opuscoli sono stati tradotti in 30 lingue e sono distribuiti in 60 paesi.
Contatto: PO Box 104-NL 2120 AC Bennebroek. Paese Bassi.
E-mail: srtv@antenna.nl.
COLWOD (assistenza a donne in difficoltà). Organizzazione fondata da Suor. Constance Gemini, MSOLA, a Tamale (Ghana), Africa Occidentale, per prendersi cura delle donne in difficoltà. Alcuni degli obiettivi di COLWOD sono: identificare bambine e donne che possono trasformarsi in preda facile dei trafficanti o i loro agenti; sensibilizzare l’opinione pubblica circa la pratica inumana del traffico umano; offrire appoggio, assistenza ed accompagnamento alle donne in difficoltà, in collaborazione con altri gruppi.
Contatto: P.O. Box 163. Tamale (Ghana). Africa Occidentale.
Religiose del Buon Pastore. La missione di questa Congregazione è la riconciliazione e la vicinanza alla gente, specialmente alle donne e alle bambine che hanno sperimentato l'ingiustizia, l'oppressione e l'alienazione, a causa delle circostanze della vita e delle ingiuste strutture sociali. Le suore del Buon Pastore sono impegnate nel lavoro contro il traffico di donne. Hanno stabilito una rete di contatti internazionali che abbraccia le loro comunità, così come altre ONG che si occupano del traffico ed di qualsiasi forma di sfruttamento sessuale della donna. Le suore del Buon Pastore sono riconosciute dall'ONU, come organizzazione non governativa con categoria speciale di membro consultivo, nel Consiglio Economico e Sociale (ECOSOC).
Comitato di aiuto alla dignità della donna (COSUDOW). È un organismo creato a Benin City nel 2001, dalla Conferenza delle Religiose della Nigeria (NCWR). Tra i suoi obiettivi: far circolare informazione nelle parrocchie, scuole e villaggi per ostacolare l’esodo della gioventù verso la 'terra promessa'; sostenere le famiglie e proteggerle contro le possibili estorsioni ed abusi dei trafficanti; accogliere ed accompagnare le vittime quando ritornano al loro paese; tutto ciò, attraverso un Progetto finanziato dal Governo italiano. Collaborano anche con le autorità del Governo per aiutare le bambine che sono state espulse dei paesi europei come emigranti illegali.
Contatto: Committee for the Support of the Dignity of Women.
Suor. Florence Nwaonuma, SSH.P.O. Box 35. Benin City - Edo State - Nigeria.
Tel. / Fax 00234 52 255763.
E-mail: cosudow@infoweb.abs.net
Coordinamento Nazionale contro il traffico di donne e minori. Questa organizzazione è stata creata da rappresentanti di diverse istituzioni cattoliche: Caritas Italiana. Migranti, USMI, UISG, USG, CIMI, Gruppo Abele. Si riuniscono in maniera regolare per informarsi ed essere consci del fenomeno del traffico, e per studiare nuove forme di intervento. Partecipano ad incontri dei gabinetti ministeriali, a livello nazionale ed europeo, col fine di presentare alle autorità quelle proposte che richiedono un'adeguata soluzione e la legislazione pertinente. Questo gruppo pubblica importanti materiali di studio ed organizza corsi e seminari per membri di congregazioni religiose e per personale laico. La sua attività risale all'anno 1995.
Contatto: Coordinamento Nazionale contro la "Tratta di donne e minori"
Caritas Italiana. Viale Baldelli, 41, 00146 Roma. Tel. 06 541 921, Fax 06 541 0300
CNCA, Coordinamento Nazionale della Comunità di Accoglienza. Una rete italiana che ha iniziato a lavorare nel 1998, funziona a livello nazionale. È composta da 197 membri e 59 gruppi di appoggio, tutti operano in diversi campi dall'assistenza sociale. Circa 30 gruppi locali lavorano contro il traffico di donne, incentrandosi, in maniera speciale, nell'aiuto sociale e nei programmi orientati alla protezione delle vittime, in accordo con l'Art. 18 del Decreto Governativo, non 286/98.
Contatto: Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza, c/o Associazione "On the Road."
Via Aldo Moro, 88/90. 64014 Martinsicuro. Teramo. Italia.
UNA SFIDA ANCHE PER LA VITA CONTEMPLATIVA
Anche per la vita contemplativa questo problema costituisce una sfida dei tempi ed è grande l'apporto che essa può dare. Potrebbe sembrare che con la sua vita nascosta, di preghiera, di separazione del mondo, si trovi lontano da questa realtà, da questo problema, e quindi il suo contributo in questo campo sia poco prezioso. Niente è più lontano dalla realtà.
Suor Letizia Tinti, religiosa appartenente alle Sorelle della Redenzione, contattata dall'Agenzia Fides, racconta la sua esperienza in questo campo. Suor Letizia, appartiene ad un Ordine che si dedica fondamentalmente al lavoro con ragazze e donne in difficoltà, immesse nel mondo della droga, della prostituzione ecc.... Precisamente la sua fondatrice volle che l'Ordine avesse due rami: uno attivo, dedito al lavoro diretto con le ragazze, ed uno contemplativo, dedito fondamentalmente alla preghiera perché il lavoro delle sorelle attive sia fruttuoso. Essendo un lavoro tanto difficile, la fondatrice volle che venisse in qualche modo assicurato e fortificato dalla preghiera, unico mezzo capace di produrre frutti veri.
Suor Letizia afferma: "la nostra vita è incentrata fondamentalmente sulla preghiera e quindi dedichiamo tutto il tempo che possiamo a pregare per le sorelle che sono impegnate nella vita attiva, e non hanno molto tempo da dedicare alla preghiera. Questa contemplazione è un perdersi in Dio, per presentare a Dio tutte le necessità. Poiché senza Dio non c'è niente. La cosa più importante è l'unione con Dio perché chi veramente agisce è Lui. Quindi se non c'è questa unione, il nostro lavoro sarà sterile molte volte. Anche quelle che si dedicano di più al lavoro devono avere questa unione con Dio per poter realizzarlo, ed ancor di più in questo tipo di lavoro, considerata la sua speciale difficoltà. Proprio per questo la nostra fondatrice volle un ramo contemplativo per avere una forza maggiore per realizzare questo tipo di apostolato. Riceviamo molte petizioni di preghiere e le nostre sorelle di vita attiva percepiscono il frutto della nostra preghiera e dà loro la forza per proseguire."
Le Religiose Clarisse di Porto Maurizio (IM), sono anch’esse coinvolte in questo apostolato. Contattate da Fides, ci offrono due testimonianze di come nacque la loro preoccupazione ed il loro lavoro in questo campo e la loro visione del problema.
"Il problema della tratta delle donne ci era già noto da tempo, conosciuto attraverso le notizie dei quotidiani e delle riviste che riceviamo, ma in modo generale. Una conoscenza più approfondita l’abbiamo avuta quando abbiamo conosciuto suor Eugenia Sonetti, che abbiamo ospitato per qualche giorno nella nostra casa. Dalle sue parole ci è apparsa tutta la drammaticità e la gravità di questa realtà che riguarda migliaia di giovani donne, trattate come schiave, private di ogni dignità. Le storie che ci ha raccontato suor Eugenia con la passione con cui essa si dedica a questa sua missione, ci hanno fortemente colpito, suscitando in noi il desiderio di poter fare qualcosa per queste nostre sorelle sfruttate, ingannate con il miraggio di un lavoro onesto, sradicate dalla loro terra, affidate a persone senza scrupoli e avide di guadagno, private della loro identità, costrette a battere i marciapiedi, sfruttate come cose da usare e gettare. Come donne ci sentiamo solidali con loro, provando di riflesso anche su di noi l’offesa di essere trattate come merce, come oggetto da sfruttare per le proprie passioni. Ci siamo sensibilizzate a questo problema portandolo anzitutto nella preghiera, affidando a Dio queste ‘sorelle della notte’ perché Egli riversi su di loro la sua misericordia. Affidiamo nella preghiera anche le persone che si occupano di loro, donando tempo, energie, aiuto materiale e spirituale, cercando, dove è possibile, di farle uscire dalla loro situazione dolorosa, assistendole in tutti i modi per offrire a queste donne ferite un po’ di serenità e tanto calore umano. Le suore e le persone che si occupano di questo problema hanno tutta la nostra ammirazione e la nostra solidarietà per il loro impegno di vera carità cristiana e umanitaria.
Per sensibilizzare anche le persone della nostra città abbiamo organizzato una veglia di preghiera il 21 novembre scorso, nella festa della Presentazione al tempio di Maria, giorno che la Chiesa dedica alle claustrali. L’intervento di suor Eugenia e di due giovani donne di un’associazione che si occupa delle immigrate che finiscono sulla strada, ha fatto conoscere in tutta la sua gravità la realtà complessa di questo problema, che in Italia è diventato, purtroppo, di grande proporzione. Le persone intervenute a questa serata hanno dimostrato interesse e partecipazione, chiedendo informazioni e offrendo anche un contributo materiale.
Nella nostra vita di silenzio e di preghiera non ci sono estranei i problemi e le sofferenze di tanti fratelli e sorelle del mondo intero. Le notizie che ci giungono dai mezzi di informazione sono ben presenti nel nostro cuore, che spesso si sente come oppresso da tanti dolori e situazioni drammatiche. Non si spegne però la luce della speranza, perché Dio è più grande del nostro cuore e anche dalle profondità del male sa suscitare miracoli di bontà e di amore.
«Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze,le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore.» (Gaudium et spes 1)
È la vita della Chiesa, del cristiano, della sorella povera.
Ogni volta che la dignità del bambino, della donna, dell’uomo è negata, ferita, calpestata ci sentiamo coinvolte in prima persona, anche noi impegnate a porre fine a tanta ingiustizia. È altrettanto vero che la tratta delle donne, dopo l’incontro con suor Eugenia Bonetti che ci ha aiutato a comprendere questa nuova schiavitù, ci interpella prima di tutto come donne che desiderano che si manifesti il genio femminile, la nostra specificità, la nostra vera bellezza; e come donne contemplative che nello sguardo di Dio, nell’ascolto della sua Parola invocano il Regno di Dio è la sua giustizia.
C’è un duplice aspetto che ci lega a queste ‘sorelle della notte’. Guardiamo a loro come a collaboratrici di Dio stesso che prendono su di sé tutta la violenza, la rabbia e l’incapacità di relazionarsi dell’uomo. Testimoni della Pasqua ogni volta: testimoni quando accettano la sfida della libertà che mette a repentaglio la vita loro e dei loro cari; testimoni quando dopo tanta umiliazione vengono uccise.
Guardiamo a loro come alle membra deboli e vacillanti del corpo di Cristo da liberare, da custodire, da medicare, e abitano la nostra preghiera, perché forte come la morte è l’amore ed è quindi possibile sciogliere le catene inique, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo.
Il nostro impegno è quotidiano, nella conversione personale e comunitaria ; nella preghiera che è silenzio, ascolto, gesto, parola e offerta perché … «nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel nostro cuore»”
Non è questo l'unica iniziativa realizzata da Religiose contemplative. Anche un altro convento di Clausura di Milano che preferisce rimanere nell'anonimato, ha appoggiato economicamente una comunità di accoglienza in Ucraina durante l'anno 2003, diretta dalla Caritas locale. La struttura, in affitto, ospita 10 persone e durante l'anno molte piccole rimpatriate da diversi paesi europei, sono stati accolte ed aiutate psicologicamente e materialmente.
Il monastero aveva ricevuto in eredità da un benefattore una considerevole quantità di denaro e le religiose decisero di usare questo denaro per aiutare le donne in difficoltà. "Noi siamo povere e vogliamo rimanere povere. Perciò, questo denaro non è nostro, ma è di chi è ancora più povero di noi perché ha perso tutto, perfino la propria identità e dignità."
Il responsabile della Caritas Ucraina, si recò di persona al Convento di Milano per riunirsi con tutta la comunità Religiosa, dimostrando come il linguaggio dell'amore non conosce barriere ma crea ponti per arrivare a tutti e costruire così la famiglia di Dio. (Agenzia Fides, 6/8/2004)