L’IMPEGNO DELLE CHIESE EUROPEE E DELLE CONFERENZE EPISCOPALI
Le Chiese europee sono state pioniere nella lotta contro questo traffico, denunciando il fenomeno prima ancora che gli Stati se ne preoccupassero. Sono state tante le Conferenze Episcopali che hanno fatto sentire la loro voce tramite la pubblicazione di documenti che sottolineano questo argomento.
Il CCEE (Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee) ha trattato questo tema in numerose occasioni.
Nel 1999 il Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (CCEE) e la Conferenza delle Chiese Europee (KEK) lanciarono un appello comune contro i maltrattamenti alle donne, nella Lettera intitolata “La violenza contro le donne”, firmata dal Cardinale Miloslav Vlk, Arcivescovo di Praga e allora Presidente del CCEE e dal Metropolita ortodosso di Parigi, Jèremie, Presidente della KEK. Nella lettera affermavano che “ogni forma di violenza contro le donne è un peccato. La violenza che si compie sul corpo o sullo spirito delle donne deve essere condannata” e denunciavano “le violenze durante le guerre, la violenza sessuale o psichica dentro le mura domestiche, il traffico e la schiavitù di donne e bambine costrette a prostituirsi, lo sfruttamento tramite i mass media che mostrano le donne in maniera degradante o la violenza sessuale presentata come mero divertimento”.
La Lettera fu inviata a tutte le Chiese cristiane insieme ad una dichiarazione con la quale diverse donne, vittime di questa violenza, offrivano la loro testimonianza sulla terribile esperienza subita e sui suoi effetti, e invitava le Chiese cristiane dell’ Europa a interrogarsi sulle responsabilità pastorali riguardo alle vittime di questa violenza.
Allo stesso modo, in una riunione tenuta dai Direttori Nazionali di 15 Paesi europei incaricati della pastorale delle migrazioni, organizzata dal Comitato delle Migrazioni della CCEE dal 27 al 30 settembre 2001, questi constatarono come, negli ultimi venti anni, la migrazione femminile fosse notevolmente aumentata a causa principalmente del traffico di donne e della prostituzione; ragione per cui chiesero che tutte le Chiese si adoperassero per arrestare questa piaga, partecipando nell’impegno dei governi nazionali e delle istituzioni europee a favore della lotta contro il traffico di donne e della loro protezione, sia nel paese di origine, sia in quello di destinazione.
Nel 2002 i Vescovi ed i Direttori nazionali incaricati della pastorale dei Migranti si sono riuniti in un Congresso in Turchia dedicato al tema: “Donne e famiglie nelle migrazioni”, ed hanno constatato che la situazione più drammatica e preoccupante delle donne che emigrano è quella che riguarda le vittime del traffico della prostituzione, segnalando le nuove sfide che questo problema lancia alla Chiesa.
La Commissione Sociale dei Vescovi Francesi, presieduta da Monsignor Olivier de Berranger, Vescovo di Saint-Denis, nel dicembre 2000 lanciò un grido di allarme riguardo alla situazione della prostituzione in Francia ed in Europa tramite un documento dal titolo: “La schiavitù e la prostituzione” in cui i Vescovi rivelavano la loro intenzione di andare fino in fondo al problema e di non accontentarsi di fare vaghe dichiarazioni sulla morale. In primo luogo, i Vescovi descrivevano il mondo della prostituzione (20.000 persone in Francia di cui 5-6.000 al lavoro in strada); primo anello di una catena di criminalità, che include, tra gli altri, il commercio di armi e di droga.
In questa analisi la Commissione, avvalendosi dell’esperienza di numerose associazioni che lottano contro la prostituzione, sottolinea come il rapimento, la tortura, la vendita all’asta, il passaggio tra una banda e l’altra, il trasferimento ogni quindici giorni e la morte in caso di ribellione rientrino nella normalità.
Dinanzi al fenomeno della prostituzione, i Vescovi francesi avvertivano: “attenti a non cadere nella trappola della banalizzazione; la vendita del corpo è incompatibile con la dignità della persona umana”, e affermavano con chiarezza che la prostituzione non può essere mai considerata un “lavoro”, come invece si vuole far apparire attualmente in numerosi paesi. Non si può neanche parlare di una “buona” e di una “cattiva” prostituzione distinte, da un punto di vista giuridico, dal libero consenso della persona che si prostituisce.
“La prostituzione - si dice nel documento - nel mercificare le relazioni umane, disconosce l’opera del Creatore. Rappresenta un rifiuto del progetto divino che tocca ogni essere umano e, quindi, dal punto di vista della fede, costituisce un peccato sia personale, sia collettivo”.
I Vescovi invitando a prendere provvedimenti contro questo fenomeno, propongono tra le altre cose: di aiutare le prostitute ad uscire da questo ambiente, di aiutare le famiglie i cui figli si trovano in una situazione a rischio e di fare conoscere i danni provocati dalla prostituzione. Chiedono, inoltre, allo stato francese di impegnarsi concretamente dichiarando nel codice civile che il corpo non può mai diventare oggetto di commercio e, a livello europeo e mondiale, invitano gli organismi internazionali ad opporsi alla posizione di alcuni stati europei, decisi a regolamentare la prostituzione concedendole lo status di lavoro, e di fare pressione su quegli stati che non hanno ancora ratificato la Convenzione Internazionale del 2 dicembre 1949 “contro la tratta di esseri umani e lo sfruttamento della prostituzione”. E chiedono, altresì, che l’ONU crei un “sistema di controllo” che vigili sull’applicazione della convenzione del 1949.
La Conferenza Episcopale Spagnola ha pubblicato il 27 aprile 2001, al termine della LXXXVI Assemblea Plenaria, una dichiarazione intitolata “Il dramma umano e morale del traffico di donne” in cui si fa una profonda analisi dell’argomento, che in Spagna costituisce un grave problema, dal momento che è uno dei principali paesi di arrivo delle donne avviate alla prostituzione.
Il documento è composto di cinque parti di cui la prima, dal titolo “Una realtà allarmante”, presenta l’obiettivo centrale della Dichiarazione: “aiutare i cristiani (…) e la società in generale a prendere coscienza del dramma morale e umano che rappresenta il traffico di queste donne”.
I Vescovi spagnoli si dichiarano fortemente preoccupati dal fiorire di questa attività, spesso gestita dalle stesse reti che trafficano la droga e riciclano il denaro sporco. A titolo di esempio, presentano la situazione in Spagna, dove la “Dirección General de la Guardia Civil” nel 2000, controllando 900 night clubs, identificò 14.118 persone che esercitavano la prostituzione, sgominò 37 reti di trafficanti ed arrestò 204 persone per reati connessi con il traffico di persone e la prostituzione di minori.
Nella seconda parte della dichiarazione, dal titolo “Le cause di questa situazione”, si stabilisce la relazione tra il fenomeno del traffico di donne e quello dei “flussi migratori” provocati in primo luogo, dalla fuga dalla povertà, a cui spesso si aggiungono le violenze ed i conflitti che inducono “l’esodo verso luoghi più sicuri”.
Ma non finisce qui l’analisi delle cause: i Vescovi spagnoli, con grande spirito di osservazione, indicano come causa scatenante “la società consumistica in cui viviamo, dominata dalle leggi di mercato, così come la banalizzazione della sessualità” e individuano il “cliente” come “elemento chiave” e “collaboratore fondamentale” nel sussistere di questa attività. A tutto ciò si aggiunge, come elemento che facilita il traffico di donne, “una certa tolleranza sociale e legale verso le reti dei trafficanti”.
Questa seconda parte si conclude con un richiamo ai mass media e alle moderne tecnologie che, per ragioni economiche, possono contribuire in grande misura a favorire situazioni di questo tipo “tramite la pubblicità, gli annunci con offerte sessuali e la pornografia”, diventando così “complici di questo mercato di esseri umani”. “Sarebbe un buon segnale di recupero morale - si dice infine in questa parte- vagliare attentamente il tipo di messaggi che circolano in questi potenti mezzi di comunicazione”.
Nella terza parte, la preoccupazione dei Vescovi si concentra su “Le vittime del traffico”. Donne la cui “vita quotidiana è, in molti casi, peggiore dell’ antica schiavitù”, spesso sottomesse a maltrattamenti e a condizioni di vita disumane, quando “decidono di ritornare ad una vita degna e libera, la loro strada è piena di difficoltà”. Alle minacce e alle rappresaglie da parte delle reti mafiose, ai problemi psicologici, al rifiuto familiare e sociale… si devono aggiungere solitamente anche problemi legali di diversa natura.
La quarta parte, “Grave attentato ai diritti umani”, assume il tono di denuncia contro una “cultura economista e materialista che ha dimenticato il carattere sacro e la dignità della persona umana, creata ad immagine di Dio (Gen 1,27)” e condanna il traffico di donne come “una delle forme più scandalose di ridurre l’essere umano a semplice merce”, e insiste nel ruolo che assume “il cliente” nel “mercato del sesso”, attività che, come qualunque altra, viene condizionata dalla “domanda” del prodotto. In questa parte si segnala come alla radice “dell’immoralità della prostituzione (…) vi sia la negazione dell’amore umano” in quanto all’essenza dell’amore “appartiene il dono personale e affettivo disinteressato, mentre che, all’essenza della prostituzione, corrisponde contrariamente, il lucro e l’uso della persona come merce. Occorre, dunque, imparare a “guardare queste persone e tutte le persone come Dio le guarda” ed urge, quindi, “educare ad una cultura fermamente radicata in valori come la dignità incorruttibile ed il rispetto dei diritti umani”. L’essere umano non può mai essere considerato “un oggetto di sfruttamento commerciale, uno strumento per l’interesse personale o di piacere”.
Il documento si conclude elencando “I compiti da svolgere nella società e nella pastorale delle comunità cristiane”, perché non basta descrivere il problema, ma “urge che la società dia risposte adeguate a questa situazione e alle loro vittime”. “Da un lato bisogna recuperare l’educazione nei valori morali, quali il rispetto degli altri in quanto esseri umani e la loro dignità; dall’altro, rifiutare ogni discriminazione e strumentalizzazione disumana”. I vescovi spagnoli lamentano “come siano pochi gli Stati che si sono impegnati decisamente ed efficacemente nella lotta contro questo male”, nonostante “nell’ambito internazionale esistano strumenti legali” per farlo. Desiderano che si promuova “il trattamento favorevole delle vittime”, proteggendole in maniera efficace e sviluppando un “concreto intervento della legge contro gli sfruttatori di esseri umani”. Consapevoli che “il cambio di mentalità necessario non sarà possibile senza il coinvolgimento dei mass media” chiedono la loro collaborazione “nell’informare senza trionfalismi”, offrendo un messaggio che aiuti “la comprensione del problema e la sensibilizzazione sociale nei suoi riguardi”.
Alle donne “che soffrono la terribile degradazione che rappresenta questo sfruttamento”, i Vescovi spagnoli rivolgono parole di conforto e di speranza, incoraggiandole a “trovare le forze dalla loro debolezza” e dicono: “Siamo sensibili alla vostra grave e penosa situazione che così tanto dolore vi procura e ci procura”, cercando al tempo stesso, di renderle consapevoli che “la loro denuncia e la loro testimonianza possono far sì che altre persone recuperino la dignità perduta”.
Gli ultimi due paragrafi presentano una “supplica” ed un “ringraziamento”. La supplica riguarda le comunità ecclesiali, a cui i Vescovi chiedono di diventare “casa aperta” per le vittime. Il ringraziamento, invece, va a tutti coloro che lavorano, già da tempo, “accogliendo le donne che decidono di affrontare la loro situazione”: comunità cristiane, congregazioni religiose e organizzazioni sociali. A loro dicono: “La Chiesa ha il compito di difendere e promuovere la dignità di ogni persona umana, che in Cristo è stata elevata ad una dignità senza uguali. Seguendo l’esempio di Gesù, la Chiesa deve servire i poveri, far sua la causa dei più deboli e proclamare che tutti siamo nati per vivere come figli di Dio (Cfr. Lc 4, 18)”:
Nel gennaio di quest’anno, inoltre i Vescovi hanno pubblicato un Direttorio della Pastorale della Famiglia in cui denunciano questa mentalità ormai diffusa, della perdita di dignità della persona e del vero valore della sessualità, che viene ridotta ad un semplice oggetto di consumo.
La Conferenza Episcopale Nigeriana ha pubblicato una lettera nel febbraio 2002 dal titolo: “Ridare la dignità alla donna nigeriana”, in cui si evidenzia come una delle più inquietanti manifestazioni dell’edonismo sfrenato che regna, è quella di aver fatto della sessualità un mercato in cui le persone, specie le donne, vengono sfruttate in cambio di denaro. Vi si sottolinea con preoccupazione, l’allarmante ed attuale fenomeno per cui le giovani donne sono portate fuori dai loro Paesi di origine con promesse di migliori condizioni di vita in Europa, dove invece sono costrette a prostituirsi, cosa che costituisce una palese violazione della dignità della persona e della femminilità. I Vescovi sono molto preoccupati dinanzi ad un fenomeno che, dalle ultime stime, ha costretto a prostituirsi soltanto in Italia circa 15.000 donne nigeriane e a molte altre in tutta Europa. Un problema che esiste, quindi, e di cui bisogna parlare.
“Anche nei casi, ormai numerosi, in cui le giovani e le donne scelgono la prostituzione per volontà propria e la vedono come una professione, come un modo in più di guadagnarsi da vivere, bisogna far capire loro che certi modi di guadagnarsi la vita sono moralmente scorretti e denigrano la persona e questo è il caso della prostituzione: un abuso evidente della sessualità umana ed un’ offesa alla dignità femminile. Nessuna donna timorosa di Dio e che rispetti sé stessa dovrebbe prostituirsi per alcuna ragione, tanto meno per guadagnarsi da vivere”.
I Vescovi, iniziano la loro lettera con un elogio alla dignità della donna, riferendosi a diversi documenti del Magistero e della Bibbia. Poi fanno un’esposizione del problema che esiste attualmente in Nigeria: il traffico di donne, “un meccanismo per cui molte giovani e donne sono vendute e comprate al fine di offrire piacere sessuale a clienti che pagano”. Infine, i Vescovi analizzano le cause e le terribili conseguenze di questo fenomeno.
Tra le cause principali, i Vescovi segnalano: la povertà, la mancanza d’istruzione, la disoccupazione, la corruzione generalizzata, le reti criminali della Nigeria, la rinuncia da parte dei genitori ad occuparsi dei propri figli una volta che hanno raggiunto l’adolescenza, senza preoccuparsi di come continueranno a vivere, l’ avidità di tante persone disposte a tutto, anche a vendere il proprio corpo pur di guadagnare soldi. Quindi - segnalano i Vescovi - alcune di queste vittime non sono davvero tali, ma persone pienamente consapevoli di recarsi all’estero per guadagnare denaro. Infine la degenerazione morale, per cui si perde completamente il senso di Dio e “se un popolo non ha il senso di Dio, non può neanche avere il senso del peccato”.
Per dare una soluzione a questa piaga, i Vescovi chiedono vivamente, per trovare linee di azione congiunte, la partecipazione di vari settori della comunità sociale. Dovrebbero partecipare:
L’opinione pubblica: i genitori ed i mariti non devono far pressione sulle donne affinché scelgano questo modo per guadagnare denaro; tutti devono essere più comprensivi con le donne implicate nel traffico e devono aiutare le autorità denunciando i responsabili di questa vergognosa attività.
Anche la Chiesa deve adoperarsi attivamente in questo campo ed i vescovi della Nigeria si sono già impegnati a farlo nell’Assemblea plenaria del marzo 2001.
Il governo della Nigeria, che deve avviare una vigorosa campagna di sensibilizzazione, creare nuovi posti di lavoro, ridurre con ogni mezzo a disposizione la povertà, prendere misure contro la corruzione, colpire con decisione il cliente, vero sostenitore di questa attività, adottare provvedimenti adeguati alla riabilitazione delle vittime della tratta che rientrano in patria ed offrire protezione a loro e alle loro famiglie, essere di sostegno alle ONG che lavorano per combattere questa piaga.
I Vescovi del Ciad hanno pubblicato recentemente una lettera pastorale in difesa della dignità della donna (che in questa società subisce tanti abusi, quali la discriminazione nell’educazione, il trattamento come semplice oggetto, le mutilazioni sessuali), nella quale dicono: “Non possiamo rimanere in silenzio dinanzi a certi abusi”. “Le donne hanno bisogno di riconoscimento e rispetto, quali creature amate da Dio”, e rifiutano con fermezza la pratica delle mutilazioni sessuali alle donne, che “rappresentano un attentato all’integrità della persona come Dio l’ha creata”.
In America, i Vescovi del CELAM (Consiglio Episcopale dell’America Latina) hanno pubblicato, nel febbraio del 2001, un documento dal titolo “Le cause della migrazione in America, viste dalla prospettiva della Chiesa in America Latina e del CELAM” in cui manifestano la loro preoccupazione riguardo al traffico di persone; un fatto allarmante ed umiliante che accompagna il fenomeno della mobilitazione umana.
I Vescovi del Guatemala, in una lettera firmata il 25 novembre 2002, in occasione della Giornata internazionale della non-violenza contro le donne, indicano, tra le offese contro la dignità della donna, “l’aumento della prostituzione, che rispecchia non soltanto la povertà del paese, ma anche la degradazione morale che implica la considerazione della donna come oggetto di piacere al servizio dell’istinto maschilista di tanti uomini”, e segnalano come “l’aggressione alla dignità della donna provenga da una mentalità maschilista che ha creato nella società una visione distorta della missione e della dignità della donna”. Esortano quindi, principalmente gli uomini a cambiare la loro mentalità in modo tale che la donna possa essere rispettata e valorizzata. (Agenzia Fides, 4/8/2004)