Città del Vaticano (Agenzia Fides) - La Francia è diventata in meno di 40 anni la nazione dell’Europa occidentale dove la popolazione di origine musulmana è la più importante numericamente. Secondo le dichiarazioni fatte nel 2003 dal Ministro degli Interni, Nicolas Sarkozy (attualmente Ministro dell’Economia e delle Finanze), in Francia vivono 5 milioni di musulmani e l’Islam è la seconda religione del paese dopo il cattolicesimo (43 milioni, 75% dei francesi, su 58 milioni di popolazione) ed è molto più diffusa del protestantesimo (800 mila), dell’ebraismo (700 mila) e del buddismo (400 mila).
Dal 1913 il numero dei musulmani residenti in Francia è passato da 5 mila ai 5 milioni di oggi. Di questi, quasi 3 milioni sono cittadini francesi. Tuttavia il loro peso politico è ancora abbastanza debole. Quanti ministri, deputati, senatori, prefetti, ambasciatori, sindaci sono figli dell’immigrazione? Molto pochi. E questo è già un primo segnale che rivela una integrazione ancora difficile, che la recente legge sulla proibizione dei segni religiosi “ostentati” nell’ambiente scolastico non fa che sottolineare.
Ogni 5 gennaio, per la cerimonia degli auguri, il Presidente della Repubblica riceve all’Eliseo i rappresentanti delle tre grandi religioni della Francia: cattolica, protestante ed ebraica, assente la religione musulmana. Soltanto il 13 gennaio del 2000 il presidente Chirac ha invitato per la prima volta, separatamente, una piccola delegazione di Imam e di rettori di moschee, tra cui il rettore della moschea di Parigi, Dalil Bubakeur.
Ma, se lo Stato francese ha fatto poco per aggiornare la vecchia macchina dell’integrazione, per anni anche numerosi musulmani francesi non hanno mai voluto considerare la Francia come il loro Paese, ma soltanto come una terra di passaggio. Arrivati dopo gli anni ’50 dalle colonie del Nord Africa, gli immigrati rimandavano tutti i loro soldi alle famiglie. Nemmeno la legge del ricongiungimento familiare del 1974 è riuscita è cambiare la loro convinzione che la loro vera vita era dall’altra parte del Mediterraneo. Poi questa tendenza è lentamente cambiata, ma si è presentato un grande problema: come rimanere di cultura e di religione musulmana in un Paese laico senza rinnegare le proprie origini ? Occorre prendere in considerazione anche queste annotazioni, sollecitati dai sondaggi sulla pratica religiosa dei musulmani in Francia pubblicata dal quotidiano “Le Monde” (vedi allegato).
Di fatto, il cambiamento è avvenuto gradualmente negli ultimi 10 anni quando la popolazione immigrata ha preso coscienza che ormai era francese a tutti gli effetti. Lo dimostra anche un fatto che non è sfuggito agli uffici statistici: dagli inizi degli anni ’90 sono aumentate le richieste di musulmani che vogliono essere sepolti nei cimiteri francesi. Questo significa abbandonare il mito del ritorno e adeguarsi al posto in cui si vive, adattarsi alle leggi, ai valori e allo stile di vita francese. Ma è possibile farlo senza abbandonare la propria identità arabo-musulmana?
E’ una sfida difficile in una Francia che non è ancora del tutto guarita dal dramma algerino, e che è percorsa, adesso, dalla nuova paura del terrorismo islamico. Oggi si possono considerare integrati tra il 60 e l’80 per cento dei musulmani, comprese molte star televisive, molti artisti e intellettuali. Una coppia su dieci si dice mista e i matrimoni franco-magrebini sono al primo posto. E’ in aumento costante anche il numero delle magrebine sposate a francesi non musulmani. Tutto questo sta cambiando il panorama sociale francese. Ma va sottolineato che le storie riuscite sono individuali e non derivano da una politica di integrazione condotta a livello nazionale, che invece è mancata. E che ci sono anche molti casi di magrebini tornati nei loro Paesi dopo un divorzio e dopo avere sottratto alle ex mogli francesi i figli che, secondo le regole dell’Islam, sono sempre sotto la potestà del padre.
Una profonda frattura sta dividendo la comunità arabo musulmana: da una parte ci sono quelli, in netta maggioranza, che hanno “preso l’ascensore”, come dicono in Francia, e dall’altra quelli lasciati a loro stessi, per lo più giovani senza educazione e lavoro. I più vulnerabili a tutte le tentazione e le derive, spesso verso la delinquenza o l’integralismo islamico, soprattutto nelle città-ghetto, costruite negli anni ’60, che i ministri successivi non sono riusciti a sradicare. E l’una a volte segue l’altra. Delinquenza, macchine danneggiate, aggressioni, risse tra bande, rapine a mano armata. La logica è quasi semplicistica: la società ci ignora? Proveremo la nostra esistenza !
Prima dell’11 settembre, il conflitto israelo-palestinese, amplificato dai media, ha esacerbato tale attitudine in certi strati della popolazione. L’11 settembre ha cambiato molte cose. Alcuni di questi giovani marginali avevano bisogno di un credo, di una causa. Oggi i servizi di intelligence francesi hanno scoperto che la rete di Bin Laden era già impiantata e attiva e che dei giovani talebani francesi avevano scelto il percorso iniziatico dell’Afganistan e sono poi finiti nelle prigioni di Guantanamo.
Al governo non rimaneva che una strada: prendere atto dell’esistenza dell’Islam e organizzarlo. Jean Pierre Chevenement, Ministro degli Interni e dei Culti, aveva messo in cantiere già alla fine del 1999 un processo di consultazione delle autorità islamiche. La situazione si era presentata subito catastrofica perché l’Islam in Francia era frammentato, non aveva una comunità unita e i luoghi di culto si erano sviluppati in modo selvaggio. Nel ‘78 c’erano 72 moschee, nel 2002 erano diventate centinaia. I musulmani avevano cominciato a pregare nei garage, nelle cantine; chiunque si poteva proclamare imam e improvvisare delle prediche più o meno infiammatorie. In questa anarchia i gruppi estremisti, più organizzati, hanno preso il sopravvento in un certo numero di luoghi di preghiera.
Uno di questi gruppi, chiamato Tabligh è un movimento nato in India nel 27, arrivato in Francia negli anni ’70, e predica il ritorno all’Islam duro e puro delle origini. Questo gruppo, considerato il più grande movimento missionario dell’Islam, seguiva una tecnica impeccabile: all’inizio faceva un “porta a porta” con un discorso di reislamizzazione semplicistico, ma efficace, poi cominciava a organizzare delle riunioni a casa delle famiglie. Ogni nuovo adepto doveva passare tre giorni al mese in una nuova città per predicare l’Islam. Dopo tre anni di prova i discepoli partivano in missione per 40 giorni all’estero. Prima in Gran Bretagna poi in Pakistan o in Afganistan. E dopo? Mistero, li si perdeva di vista, impossibile sapere, tutto era segreto.
Allarmati da questo “proselitismo delle cantine” che guadagnava molto terreno nelle comunità locali, dietro la spinta dei vari governi si è facilitata la costruzione di moschee-cattedrali regolarmente censite che potevano offrire all’Islam dignità e visibilità. Ma lo Stato in Francia non può né costruire né finanziare i luoghi di culto. Chi avrebbe finanziato allora queste moschee così costose? I fedeli no, perché troppo poveri. Sono intervenuti gli Stati arabi. Oggi le otto più grandi moschee della Francia sono finanziate in tutto o in parte dall’Arabia Saudita, dal Marocco e dall’Algeria che nominano gli Imam delle moschee dove si predica la versione moderata o più spesso radicale dell’Islam. All’uscita delle moschee infatti si è cominciato a vedere donne anche con il burqa afgano. Una nota recente dei servizi segreti ha segnalato la presenza nella regione parigina dei predicatori salatiti estremamente violenti legati al Gia algerino.
In questo contesto il Ministro degli Interni, dopo l’11 settembre 2001, ha dato un’accelerazione per arrivare all’elezione di un Consiglio francese del culto musulmano e avere finalmente un interlocutore capace di canalizzare e, se possibile, controllare il mondo musulmano in ebollizione. Ma la consultazione si è limitata ai soli praticanti i luoghi di preghiera omologati, cosa che ne ha ridotto l’autentica portata. Il Consiglio francese del culto musulmano (Cfcm) si occupa degli aspetti culturali e religiosi dell’Islam. Ma i musulmani laici o poco praticanti, che sono l’80% della comunità musulmana francese, si rifiutano di essere rappresentati da quelli che definiscono dei “barbuti” che non hanno nessuna nozione di che cosa sia vivere in un Paese come la Francia e chiedono che sia separato il piano sociale da quello religioso e che venga eletto anche un Consiglio laico per discutere con i poteri pubblici dei problemi di integrazione.
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