AMERICA/STATI UNITI - Attraversare il deserto a piedi alla ricerca di un destino migliore

giovedì, 18 settembre 2008

Washington (Agenzia Fides) - Veronica ha 30 anni, è di Puebla, in Messico, e vive a New York con suo marito. Lavora tutto il giorno per una famiglia a Manhattan, dove guadagna 600 dollari a settimana; si occupa della casa e si prende cura di due bambini. I suoi bambini, invece, sono rimasti in Messico: hanno rispettivamente 7 e 9 anni e vivono con la sorella di Veronica a Città del Messico, la capitale. “Abbiamo tentato molte volte di farli arrivare qui, volevamo pagare un passaggio in macchina con documenti falsi. Sarebbe costato più o meno 5.000 dollari a bambino, ma non abbiamo trovato nulla di abbastanza convincente”, ha raccontato Veronica all’Agenzia Fides. “Non voglio che i miei figli attraversino il deserto come ho dovuto fare io e, prima di me, mio marito”.

Per unirsi al marito, e perseguire una vita più decente per sé e per i suoi figli, Veronica tre anni fa aveva attraversato il deserto partendo dallo stato messicano di Sonora, nella cittadina di Nogales, insieme a un gruppo di dodici connazionali, e a una guida esperta. In genere, il passaggio degli immigrati illegali in quella zona va da Nogales nello stato messicano di Sonora, a Nogales, in Arizona. Si tratta di uno dei deserti più grandi e più caldi del Nord America, il deserto di Gila, che comprende vaste aree di Arizona e California, ed è caratterizzato da una notevole varietà di animali, principalmente rettili, alcuni dei quali velenosi.
“Nel deserto avevamo un accompagnatore molto bravo che ci aveva spiegato tutto, anche come comportarci in caso di cattura degli agenti”, ha proseguito la donna. “Potevamo camminare solo di notte, per sfuggire non tanto al caldo, ma ai controlli aerei e alle telecamere; però c’è un punto nel quale si deve strisciare per un po’ sul terreno, al di sotto di un filo allarmato. Era buio, avevamo paura, e qualcuno quella notte ha fatto suonare l’allarme”, ricorda Veronica. “Si sono accesi i fari a giorno, e dopo poco è arrivata la polizia di frontiera”, i Border Patrol che gli ispanici chiamano “la migra”:
La donna ricorda il terrore di quella notte, l’attesa, poi le perquisizioni. Alla fine sono stati tutti arrestati e portati in caserma. “Abbiamo dato le nostre vere generalità e mostrato i documenti, come ci aveva raccomandato di fare la nostra guida. Non siamo stati maltrattati dagli agenti, e alla fine ci hanno solo fatto firmare una dichiarazione che non avremmo più tentato di entrare negli Stati Uniti”, racconta la donna.
La mattina dopo, il gruppo è stato rilasciato dall’altra parte del confine, tutti liberi. “La guida era fuggita appena scattato l’allarme per non essere arrestata, rischiava più di noi essendo un immigrato legale. Però è stato di parola e ci ha aspettato tutta la notte a Nogales, nell’albergo che ci aveva detto il giorno prima, lo abbiamo ritrovato lì”.
“Eravamo tutti intenzionati a ritentare l’attraversamento la notte successiva, anche se avevamo firmato quella dichiarazione e la cosa un po’ ci spaventava”, ha proseguito Veronica. “Oramai eravamo arrivati a quel punto, anche se la sensazione di paura ti resta dentro”. Quella stessa sera, il gruppo lasciava l’albergo di Nogales per ritentare il destino, questa volta con successo.
In totale, il viaggio le è costato 3.000 dollari, compresi i trasferimenti fino ad Amarillo, in Texas, stipati in un furgone dove ci si sedeva a turno e a turno si rimaneva distesi sul fondo, guidato da un cittadino Usa per non destare sospetti, e infine, sempre in furgone, destinazione New York.
Ma la storia di Veronica non finisce qui: a distanza di poco più di un anno dal suo arrivo, la donna ha voluto tornare in Messico per vedere i suoi figli. E ha dovuto ripetere la traversata nel deserto, per ritornare infine al suo lavoro a New York. “Questa volta è stato terribile”, ha raccontato la donna, “molto più duro della precedente. Il caldo era insopportabile, camminavamo con difficoltà. Non mi sentivo più i piedi, e nemmeno le gambe”. Si faceva pochissima strada, e il gruppo ha dovuto nascondersi per un giorno intero nel deserto, senza cibo e con acqua insufficiente. Per via del caldo e degli agenti, ricorda Veronica, “non si poteva camminare alla luce del sole”.
“La seconda notte quando abbiamo iniziato a camminare pensavo di non farcela, anche se la volontà era tanta. È vero, ce l’ho fatta, però questa volta se vado in Messico non torno qui”. Veronica non è più disposta a correre questo rischio per sé, o per i suoi figli. “Sono troppo piccoli, non potrebbero farcela con quelle condizioni climatiche e tutta la paura che si prova nel deserto. Per questo avevamo pensato di comprare documenti falsi e farli arrivare in macchina. Per esempio, mi avevano detto che c’era una donna americana che poteva portarli, ma gli agenti in genere iniziano a interrogare i bambini, a chiedere il nome e a fare anche domande più specifiche. Se per qualche motivo dovessero sbagliare o emozionarsi, tutto andrebbe in fumo”.
Non potendo ricongiungersi con i suoi figli a New York, Veronica ha deciso di tornare in Messico definitivamente nel giugno 2009, sperando di aver guadagnato abbastanza per quella data e di riuscire a comprare una casa decente nella capitale. Certamente, nulla e nessuno potranno mai ripagarla di quattro anni trascorsi lontano dai suoi figli. “Comunque”, conclude, “spero che ne sia valsa la pena”. (F.M.) (Agenzia Fides 18/9/2008)


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