VATICANO - Olio sulle ferite: rispondere ai drammi del divorzio e dell’aborto (2)

mercoledì, 9 aprile 2008

Roma (Agenzia Fides) - Pubblichiamo la seconda parte del nostro servizio relativo al Convegno intitolato “L’olio sulle ferite. Una risposta alle piaghe dell’aborto e del divorzio”, che si è svolto il 4 e 5 aprile, per iniziativa del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su Matrimonio e Famiglia, in collaborazione con i Cavalieri di Colombo.

L’aborto, aspetti sociali
L’aborto esiste da sempre, fa parte delle tecniche con cui l’uomo cerca di governare e controllare la vita e la morte. Nella maternità c’è, certamente, un lato oscuro, che nasce dalla complessità dell’evento, in cui si mescolano sentimenti contrastanti: vita e morte, desiderio e rifiuto, onnipotenza e inadeguatezza. Inoltre una crescente medicalizzazione del parto e della gravidanza creano sempre più ansia e preoccupazione nelle donne, mentre la tendenza a concepire l’umano come un essere da laboratorio, cerca di minare quel rapporto, indissolubile fin dall’inizio, tra madre e feto. “L’io è un altro”, ha affermato nel suo intervento Eugenia Roccella, giornalista di Avvenire, citando Rimbaud. La relazione tra madre e figlio è l’unica che ha delle caratteristiche di eternità; inoltre ogni madre sa che dando la vita, prepara alla morte. Le contraddizioni della maternità e la loro comprensione sono l’unica possibilità di intuire cosa porta una donna ad un gesto limite come l’aborto. Occorre ripensare e valorizzare la cultura della maternità, ponendo l’attenzione sul fatto che la donna è l’unico essere che genera, che è due in uno, che si divide. Non una copia della socialità maschile, ma una politica che sottolinei le meravigliose differenze della donna, sulla scia di ciò che ha sempre fatto la Chiesa: ha puntato sulle donne, valorizzandone le caratteristiche ed offrendo loro uno spazio che nella vita pubblica non era loro concesso.

L’aborto, aspetti psicologici
La mentalità abortiva crea danni enormi nel rapporto tra genitori e figli, e danni psicologici gravi soprattutto nei bambini, nati prima o dopo un aborto. Il figlio nato dopo un aborto subisce la tristezza, il trauma, la ferita della madre; sembra che il nato dopo un aborto porti con sé alcune cellule del feto abortito, rendendo ancora più forte e misterioso il rapporto fra madre e figli. Questo figlio è anche una sorta di capro espiatorio, che incarna la giustificazione di aver compiuto, in precedenza un atto come l‘aborto. L’ideologia del bambino desiderato, così, ne soffoca l’identità, perché fa prevalere il desiderio emotivo dei genitori, sulla cultura dell’accoglienza, propria della genitorialità. Il bambino la cui famiglia ha vissuto un aborto non può essere felice, si detesta per tutta la vita e percepisce di essere un sostituto di qualcun altro.Esiste, poi, uno strettissimo rapporto di causa/effetto tra aborto e violenza: chi ha avuto un aborto tende ai maltrattamenti, chi è stato maltrattato tende a praticare l’aborto. Si genera un’assurda spirale della violenza in cui tutti, a turno, sono vittime, testimoni e aggressori. Il perdono, la compassione e l’amore sono l’unica speranza, l’unico olio, per una ferita così profonda. Queste le riflessioni del prof. Philippe De Cathelineau. Si è genitori per sempre, anche di un bambino abortito. In ogni aborto un bambino muore e questa è la perdita più grande da sopportare, da superare. La prof.ssa Joanne Angelo ha illustrato la prospettiva clinica delle ripercussioni di un aborto su bambini e famiglie. I disturbi presenti sono molteplici, si va dall’insonnia e la depressione, fino alla difficoltà di rapporti di coppia stabili, maltrattamenti, disturbi alimentari, anomalie nel rapporto tra genitori e figli. I figli di una famiglia in cui c’è stato un lutto così difficile da elaborare, ne subiscono le conseguenze per tutta la vita. Spesso la non nascita di quel fratellino che aveva visto prendere iniziale forma nel corpo della madre, viene giustificata con un ‘non stava bene, è stato rimandato da Dio’. Inizia a temere di poter subire lo stesso trattamento, qualora si ammalasse, inizia ad aver paura di ammettere i suoi errori, e quindi comincia una spirale di menzogne e di incapacità e paura di ammettere gli errori anche più piccoli. Il perdono sacramentale e la riconciliazione con Dio sono due passi fondamentali, a cui i sacerdoti devono essere aperti e preparati, per trasformare le vittime dell’aborto in guaritori e fiori della speranza della nostra società.

L’aborto, aspetti morali
“L’uomo diviene immagine di Dio non tanto nel momento della solitudine, quanto nel momento della comunione” (Giovanni Paolo II). Queste le parole che ispirano l’intervento della prof.ssa Sutton, che alla fine della prima giornata di lavoro si occupa di una tematica estremamente grave: l’aborto di un feto malato. La tendenza all’eugenetica, molto in voga in questi tempi, e la concezione utilitaristica della qualità della vita, non lasciano spazio al valore della vita umana e alla fitta rete di relazioni che può generare. Il bambino non ancora nato, a partire dall’embrione, è già un membro della famiglia umana, perciò amato da Dio; errata è la dottrina di Peter Singer secondo cui alcune vite umane non hanno diritto di esistere. Il bambino non nato, seppur malato, ha delle potenzialità future che non si possono prevedere, né eludere. Lo stesso Gesù, nel Vangelo di Giovanni (Gv 9, 3), dopo la guarigione del cieco nato, affermò che era nato in quel modo ‘perché si manifestassero in lui le opere di Dio’.

L’aborto, quali risposte?
Le risposte pastorali e sociali arrivano da oltreoceano e dall’Europa. Tre i progetti presentati ad esemplificazione, tre possibilità attraverso cui il dramma dell’aborto può essere sanato o, almeno, accompagnato. La solitudine in cui versano le famiglie che vivono un aborto, infatti, è la prima causa di effetti deleteri sulla salute, sulla vita sociale, spirituale, affettiva. Il ‘progetto Rachele’, nato negli USA nel 1984, consiste in una rete di sacerdoti e terapisti che offrono una consulenza psicologica, e la riconciliazione spirituale. In questo modo, i frutti della guarigione risultano più duraturi e radicati. La ricchezza dei sacramenti è, invece, l’olio, la cura delle ‘Sorelle della vita’, gruppo che opera nel territorio di New York. Fin dal 1996, seguendo l’ispirazione dello Spirito Santo, hanno spinto milioni di persone a tornare a casa, a tornare, cioè, alla Chiesa, offrendo loro la possibilità di raccontare la storia, spesso mai raccontata, dell’aborto e di riconciliarsi con la propria vita spirituale. AGAPA è un luogo di accoglienza fondato nel 1994; testimoniando la tenerezza di Dio per ogni creatura, e senza giudicare le scelte altrui, i volontari cristiani di AGAPA hanno studiato specifici percorsi per venire incontro a uomini e donne colpiti dall’aborto; attraverso degli incontri mirati, riescono a far illuminare meglio la tragedia vissuta, a far vivere il lutto per il bambino non avuto, ad aprirsi al perdono, alla riconciliazione, alla rinascita spirituale. (2 - fine) (P.C.) (Agenzia Fides 9/4/2008; righe 80, parole 1103)


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